Guerra in Ucraina, chi pagherà le conseguenze delle sanzioni economiche contro la Russia

Le sanzioni economiche contro la Russia sono state pensate per indebolire il regime di Vladimir Putin. Ma le ripercussioni sui cittadini sono inevitabili.

Le guerre si combattono in tanti modi. Con le armi, con la tecnologia e anche con le manovre economiche. La guerra che stiamo vivendo in Europa, a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, non fa eccezione. Le durissime parole della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ne sono la prova. “L’Unione europea e i suoi partner stanno lavorando per paralizzare la capacità del presidente russo Vladimir Putin di finanziare la sua macchina da guerra. Abbiamo deciso che la Russia dovrà pagare un prezzo senza precedenti per questa aggressione. Tutto ciò eroderà la loro economia. Vogliono distruggere l’Ucraina, ma quello che stanno facendo è distruggere anche il loro stesso paese”, ha dichiarato in conferenza stampa. Ma come funzionano, nel concreto, le sanzioni economiche contro la Russia? E su chi si ripercuoteranno? L’intento dichiarato è quello di colpire gli oligarchi legati al regime di Vladimir Putin, ma inevitabilmente peseranno anche sui cittadini. Tanto più perché, non conoscendo l’esito dei negoziati tra Russia e Ucraina, è impossibile prevedere la loro durata.

Le principali sanzioni economiche contro la Russia

  • Le principali banche russe sono state escluse dal sistema Swift.
  • Congelati i beni all’estero di Vladimir Putin e di membri del suo governo, alti ufficiali delle forze armate, miliardari e altre figure ritenute strategiche. Tra di loro ci sono, per esempio, Igor Sechin (a capo del colosso petrolifero Rosneft), gli imprenditori Alisher Usmanov e Mikhail Fridman e Alexei Mordashov, proprietario del gruppo siderurgico Severstal.
  • I 351 membri della Duma che hanno votato per riconoscere le repubbliche popolari di Lugansk e di Donetsk non possono più entrare nell’Unione europea. I loro beni all’estero sono stati congelati.
  • Le riserve in valuta straniera della banca centrale russa sono state bloccate.
  • Alcune importanti banche russe, come Sberbank e Vtb, non possono più eseguire operazioni all’estero o in valuta straniera.
  • A cittadini e imprese statunitensi è stato impedito di svolgere operazioni finanziarie che coinvolgono la banca centrale della Russia e il suo fondo sovrano.

Il sistema Swift, cos’è e come funziona

Una delle scelte su cui gli stati dell’Unione si sono dovuti confrontare più a lungo è l’esclusione di alcune banche russe dal sistema Swift. Questo acronimo sta per Society for worldwide interbank financial telecommunication. Non si tratta di una banca che muove denaro in prima persona, bensì di una piattaforma che consente agli istituti finanziari di scambiarsi transazioni in modo sicuro, attraverso un codice (il codice Swift, appunto) con cui possono verificare reciprocamente la propria identità. A gennaio 2022 lo utilizzavano oltre 11mila istituti, attestandosi su una media di oltre 40 milioni di transazioni al giorno. Se non esistesse, ciascuna di esse dovrebbe essere gestita manualmente da un impiegato, con un tempo di latenza di qualche ora. E un costo aggiuntivo stimato in cento dollari a transazione.

Le banche russe sono state escluse dal sistema Swift

Dopo giorni di discussioni, i leader di Stati Uniti, Commissione europea, Francia, Germania, Italia e Regno Unito hanno deliberato: alcune banche russe saranno tagliate fuori dalla rete Swift. Sulla carta, scrivono loro stessi, ciò significa essere “disconnesse dal sistema finanziario internazionale”. Perché d’ora in poi qualsiasi operazione all’estero (anche solo il banale pagamento di una fattura) dovrà essere effettuata manualmente, con tempi più lunghi e un maggiore rischio di errori.

Nei fatti, però, le conseguenze potrebbero essere “fondamentalmente simboliche”. Ne è convinto Alistair Milne, professore presso l’università di Loughborough University e autore di diversi studi sul tema. Questo perché la piattaforma Swift serve per comunicare e validare le transazioni, non per eseguirle materialmente. Le banche russe saranno quindi libere di adottare circuiti alternativi, come Sfps (creato proprio dalla banca centrale russa dopo l’invasione della Crimea nel 2014) o il cinese Cips. O anche un banale sistema di messaggistica come Whatsapp.

Per impedire a una società del calibro di Gazprom di vendere il suo gas all’estero, sostiene il professor Milne, l’unica strada è quella di bloccare i suoi conti. Viceversa, le piccole imprese potrebbero trovarsi in difficoltà. Perché, quando il valore della transazione è basso, un aumento dei costi di gestione incide proporzionalmente di più. Fino a diventare insostenibile.

Crolla il valore del rublo rispetto al dollaro e all’euro

“In secondo luogo – continua il comunicato congiunto che annuncia le sanzioni economiche contro la Russia – ci impegniamo a imporre misure restrittive che impediscano alla Banca centrale russa di fare uso delle sue riserve internazionali in modi che minano l’impatto delle nostre sanzioni”. Tradotto: la banca centrale russa, per prepararsi in anticipo a simili shock, nel corso degli anni aveva accantonato riserve in valuta estera per un valore complessivo di 643 miliardi di dollari. Riserve che, però, adesso non può toccare. Ed è anche impensabile che in questa fase arrivino capitali da parte di investitori internazionali.

Anche per questo, all’indomani dell’annuncio delle sanzioni economiche contro la Russia, il valore del rublo rispetto al dollaro è crollato. Fino a martedì 22 febbraio bastavano 78,8 rubli per comprare un dollaro americano; il 2 marzo ne servivano 110. Stesso discorso per il cambio rublo-euro: domenica 27 febbraio servivano 90,9 rubli per comprare un euro, mercoledì 2 marzo 120.

Il 28 febbraio la banca centrale russa ha cercato di correre ai ripari raddoppiando il tasso di interesse, passato così dal 9,5 al 20 per cento. Nonostante ciò, l’agenzia S&P Global ha comunque tagliato il rating del debito sovrano russo al livello BB+, ritenuto speculativo. “Riteniamo che le sanzioni annunciate potrebbe avere effetti significativi diretti e indiretti sull’attività economica, la fiducia e la stabilità finanziaria”, scrive l’agenzia tramite una nota.

Vladimir Putin Ucraina Russia
Il presidente russo Vladimir Putin © Kremlin Press Office/Handout/Anadolu Agency via Getty Images

La corsa agli sportelli dei cittadini russi

L’improvviso rialzo dei tassi di interesse è spinto anche da un’altra considerazione. Quando il costo del denaro aumenta e l’accesso al credito diventa più difficile, infatti, c’è meno valuta in circolazione e si tiene così a bada l’inflazione, cioè l’aumento generalizzato del livello dei prezzi. Questo fenomeno si ripercuoterebbe immediatamente sui cittadini che, da un giorno all’altro, sarebbero costretti a pagare cifre molto più alte per qualsiasi cosa (dalla spesa al supermercato alle bollette dell’energia elettrica) e vedrebbero diminuire il valore dei risparmi custoditi nel conto corrente bancario. Se la banca centrale russa decidesse di stampare altri rubli per risollevare l’economia, finirebbe invischiata esattamente in questa dinamica.

Impauriti da questa situazione, i cittadini russi si sono riversati in massa agli sportelli delle loro banche. In parte per fare scorta di contante, visto che alcuni sistemi di pagamento elettronico – come Apple pay e Google pay – non funzionano più. Erano gestiti dalla banca Vtb, colpita dalle sanzioni economiche contro la Russia. Molti si erano abituati a usarli per pagare più in fretta il biglietto della metropolitana; si spiegano così le lunghe code ai tornelli.

Altri ancora si sobbarcano ore di attesa di fronte alla propria banca per accaparrarsi valuta straniera, soprattutto dollari, divenuti ormai introvabili in molte filiali. La speranza è quella di salvaguardare il valore dei propri risparmi, prima che il rublo si svaluti ulteriormente.

Volano le transazioni in criptovalute, per aggirare le sanzioni economiche contro la Russia

Per aggirare l’ostacolo, c’è anche chi opta per le criptovalute. Gli scambi con il rublo sono raddoppiati dall’inizio della guerra in Ucraina, raggiungendo i 60 milioni di dollari al giorno lunedì 28 febbraio. Impossibile sapere se si tratti di cittadini che provano a mettere in salvo i loro risparmi (o quantomeno a diversificare il rischio), oppure di oligarchi legati al governo e intenzionati a spostare i propri capitali altrove, sottraendosi alle sanzioni mirate contro di loro.

Tant’è che Mykhailo Fedorov, vicepremier e ministro per la Digital transformation dell’Ucraina, ha esortato le piattaforme di scambio a bloccare gli ip russi. Una richiesta che in un primo momento è stata respinta senza appello. “Sarebbe in contraddizione con la ragione per cui le criptovalute esistono”, ha replicato Binance, il primo exchange al mondo per volume di transazioni gestite. Salvo poi fare una parziale retromarcia, promettendo all’agenzia Reuters di respingere soltanto gli account di persone politicamente esposte.

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