Per la Giornata mondiale dell’ambiente del 5 giugno, abbiamo scelto otto tecnologie che combattono l’inquinamento da plastica nei mari e nei fiumi.
I pesci mangiano plastica. E noi?
I pesci nell’oceano Pacifico ne ingeriscono almeno 24mila tonnellate all’anno, insieme a un carico di sostanze tossiche. Una ricerca condotta percorrendo 2.375 chilometri sui mari e pubblicata su Marine Ecology Progress Series lo documenta.
Negli stomaci dei pesci del Nord del Pacifico ogni anno si
accumulano fino a 24mila tonnellate di plastica. Lo ha scoperto una
spedizione dell’Istituto californiano Scripps di Oceanografia, che
ha analizzato diverse specie che vivono nella North Pacific
Subtropical Gyre, la corrente che contiene la famosa “isola di
plastica”.
La spedizione, i cui risultati sono pubblicati dalla rivista Marine
Ecology Progress Series, ha analizzato residui plastici, pesci e
campioni d’acqua in 132 ‘stazioni’ durante un viaggio di 2.375
chilometri nell’oceano.
Il 9,2% dei 141 pesci (appartenenti a 27 specie diverse) catturati
nell’arco di 20 giorni aveva plastica nello stomaco. Si trattava di
pezzettini di grandezza inferiore a un’unghia: troppo piccoli per
determinarne la natura. Del resto nei vortici dei rifiuti si trova
soprattutto plastica ridotta in frammenti minuti dall’azione delle
onde e del sole. La più difficile da vedere, e probabilmente
la più temibile.
“La quantità stimata di 24mila tonnellate è
probabilmente sottostimata – spiegano gli autori – perché la
plastica può essere rigurgitata o espulsa e molti pesci
possono morire per l’ingestione”. Il numero è comunque molto
alto: “I più colpiti sembrano essere i ‘pesci lanterna’, che
vivono tra 200 e 1000 metri di profondità di giorno e
salgono in superficie di notte – continua l’articolo – che sono
molto importanti perché connettono il plancton con gli
anelli superiori della catena alimentare”.
Questa ricerca si è limitata all’aspetto quantitativo.
Tuttavia la plastica rilascia sostanze tossiche e si comporta come
una spugna assorbendo sostanze inquinanti disperse nell’ambiente,
come i Pcb (policlorobifenili) e il Ddt – sostanze bioaccumulabili
che non si degradano e restano all’interno di ogni organismo,
accumulandosi via via fino al vertice della catena alimentare.
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