Come raccontare i cambiamenti climatici, secondo Vice e Buzzfeed

Buzzfeed e Vice sono tra i siti che più strenuamente provano a fare informazione sui cambiamenti climatici. Al Festival internazionale del giornalismo di Perugia hanno svelato qualche segreto.

I cambiamenti climatici sono una delle minacce più gravi del nostro tempo, ma questo non è sufficiente per far sì che i politici la trovino degna di essere affrontata o semplicemente inserita nelle loro agende politiche. Non ha dominato le elezioni presidenziali americane che hanno visto vincere Donald Trump, tra i meno sensibili sul clima. Non ha in alcun modo trovato spazio nella campagna referendaria britannica, nonostante l’Unione europea sia fondamentale per gli stati e sia da sempre in prima linea a livello internazionale nella lotta al riscaldamento globale. E i britannici hanno votato “leave” (Brexit). Anche per questo sono sempre di più i giornali e i magazine che stanno studiando e testando ogni mezzo a disposizione per trasformare le conseguenze del riscaldamento globale in un trending topic e diffondere consapevolezza tra le persone.

Un piccolo spazio per il clima all’International journalism festival

L’undicesima edizione del Festival internazionale del giornalismo di Perugia ha rispettato, in proporzione, l’interesse generale in termini di spazio concesso al tema con un solo appuntamento dedicato. All’incontro hanno partecipato alcuni tra i protagonisti principali del mondo dell’informazione mondiale come Milène Larsson, senior producer e reporter di Vice, che ha coperto la conferenza sul clima (Cop21) che ha dato vita all’Accordo di Parigi, Stuart Millar, direttore delle news di Buzzfeed UK e precedentemente giornalista di una delle testate più attive sul fronte climatico come il Guardian, e moderato da James Painter, direttore del journalism fellowship programme del Reuters institute for the study of journalism.

Il clima nei video di Vice

Durante i giorni della Cop21, che si è svolta alla fine del 2015, Larsson ha dato vita a quello che viene chiamato “immersive journalism”, ovvero una forma di giornalismo che vede il reporter immergersi nella folla e confondersi con i protagonisti della notizia per vivere con loro le emozioni e percepire le stesse sensazioni per catapultare lo spettatore al centro dei fatti.

“Ho pensato a come rendere interessante questo appuntamento cruciale, come organizzare la copertura, come far parlare i protagonisti”, ha affermato Larsson. “In questi vertici istituzionali si parla molto e questo fa crollare l’attenzione di chi ascolta. Ho pensato a come rendere interessanti persone in giacca e cravatta che parlano e che ti fanno addormentare. Alla fine ho scelto di concentrarmi sugli altri protagonisti, ovvero su tutte le persone arrivate a Parigi da 18 Paesi del mondo e che sono le vittime dirette dei cambiamenti climatici. Persone mosse dalla passione e dalla paura perché per loro il clima che cambia è una situazione di emergenza”, ha continuato Larsson.

Nella capitale francese, però, in quel momento era in vigore lo stato d’emergenza che ha impedito il libero svolgimento di quella che sarebbe stata la più grande marcia per il clima della storia. “Avevo una telecamera in mano e migliaia di persone vogliose di esprimersi nonostante in Francia in quel momento erano appena avvenuti alcuni attacchi terroristici, come quello del Bataclan del 13 novembre 2015. Così ho ritenuto importante dar loro voce e fare da megafono verso le migliaia di persone che guardano i nostri video”.

Il clima nelle liste di Buzzfeed

Una strategia simile, ma meno “immersiva” è quella spiegata da Millar parlando di Buzzfeed: “Per noi i cambiamenti climatici sono una questione fondamentale. Abbiamo due team di scienziati, uno basato a Londra e l’altro a New York e come per ogni altra storia di Buzzfeed cerchiamo di trovare un quadro diverso che metta al centro il lato emotivo, che porti il lettore ad avere voglia di leggere, condividere ed essere coinvolto attivamente sul tema”. In questo senso l’approccio di Vice e di Buzzfeed sono molto simili: “La cosa che ci contraddistingue è che proviamo a trattare storie serie in un modo divertente e, al contrario, trattare storie divertenti in modo serio. Questa è la nostra forma di giornalismo e i cambiamenti climatici non fanno eccezione”.

Uno degli esempi che Millar ha voluto portare durante il suo intervento al Festival del giornalismo di Perugia è quello che ha visto protagonista, durante la campagna elettorale, l’allora candidato repubblicano alla Casa Bianca Donald Trump: “Ha cercato di far trasformare i cambiamenti climatici in una ‘cazzata’ mediatica, così abbiamo fatto un pezzo che mostrava come, in base a studi scientifici, l’innalzamento del livello dei mari avrebbe affondato i palazzi del presidente, come la Trump Hollywood di Miami”. A meno di 100 metri dal mare, si legge sul sito della Trump organization, “offre una vista spettacolare sull’oceano”. Una caratteristica esclusiva che nel giro di pochi anni verrà sommersa dai fatti e dall’acqua salata dell’oceano Atlantico. “In questo caso il modo di raccontare un fatto è stato divertente, ma le sue implicazioni umane e politiche sono davvero serie e gravi”.

Parlare di clima rimane uno degli aspetti più difficili per ogni redazione

Su una cosa non ci sono dubbi comunque, raccontare un tema apparentemente lontano nonostante le visibili ripercussioni quotidiane sulle popolazioni, in particolare nei paesi in via di sviluppo, è davvero difficile: “Dobbiamo lavorare molto duramente per fare in modo che le persone si attivino e si interessino – conclude Millar – e molto spesso anche la nostra idea migliore su come trattare un tema legato al clima non riesce a volare alto” perché la gente pensa sia un problema troppo alto, ostico, qualcosa di cui si dovrebbe occupare l’establishment.

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