![Trento, l’orsa KJ1 per ora non sarà abbattuta. E adesso che succede?](https://cdn.lifegate.it/1szwuIGZW1uHElCDjPUlwp3H0nM=/470x315/smart/https://www.lifegate.it/app/uploads/2024/03/bear-838688-1920.jpg, https://cdn.lifegate.it/Ia8KznV6dKUUJaRlccNlHTLkMtI=/940x630/smart/https://www.lifegate.it/app/uploads/2024/03/bear-838688-1920.jpg 2x)
L’animale, con 3 cuccioli, aveva ferito un turista: Il Tar ha sospeso l’ordinanza della Provincia, accogliendo il ricorso di associazioni come la Lav.
Il cervo deve far fronte alle problematiche che sono appannaggio degli animali selvatici in Italia. Per la sua sopravvivenza è tempo di agire. E in fretta
Il cervo nel nostro paese potrebbe diventare presto un animale a rischio. E l’uccisione di Bambotto, che era il beniamino e il simbolo del paese che lo ospitava da piccolo, rappresenta la punta di un iceberg. Eppure i cervi erano un tempo ampiamente diffusi nel nostro paese. La popolazione è stata, però, oggetto di un intenso prelievo, al punto che alla fine degli anni ’40 si trovavano esemplari solo in alcune località alpine al confine con Austria e Slovenia, presso il Bosco della Mesola in provincia di Ferrara e in Sardegna. A partire dagli anni ’50 sono state avviate numerose operazioni di reintroduzione che hanno consentito a questo ungulato di ritornare in molte delle aree dove una volta era presente maggiormente. Gli interventi sono stati effettuati principalmente all’interno delle aree protette. Oggi il cervo è presente su tutto l’arco alpino e in un’ampia porzione dell’Appennino settentrionale, con nuclei residenti nell’area del Pollino e della Sila. La morte di Bambotto, ucciso dalla fucilata di un giovane cacciatore perché mostrava “aggressività”, sta a dimostrare comunque come la fauna selvatica sia nel nostro paese oggetto di una sistematica distruzione e di una serie di scelte sbagliate da parte di chi dovrebbe averne a cuore il benessere e la diffusione. E, come nota il biologo Mauro Belardi della cooperativa Eliante, a volte è proprio un’eccessiva confidenza verso il selvatico e una poca conoscenza dei meccanismi specifici della specie a cui appartiene, a decretarne la morte precoce. E’ accaduto con gli orsi in Trentino, succede coi lupi e ora, con il povero Bambotto, anche il maestoso cervo ne diventa la vittima.
Per il cervo è obbligatorio usare un termine ormai troppo abusato: iconico. Ma, in effetti, l’ungulato dal grande palco di corna è davvero una specie iconica da secoli per la storia umana. I cervi occupano attualmente un areale vastissimo, che va dall’Europa fino al nord Africa e arriva all’Asia centrale, alla Siberia, per raggiungere poi il Canada e gli Stati Uniti. In passato questo animale era largamente diffuso in gran parte di queste zone, ma agli inizi del ventunesimo secolo si incontrano cervi solo nelle regioni occidentali del Nordamerica, con piccole popolazioni reintrodotte in altre aree del continente. E, ai giorni nostri, le popolazioni isolate europee che si trovano in paesi come la Grecia sono il frutto di reintroduzioni successive, a eccezione degli esemplari presenti nel Parnete, che molto probabilmente rappresentano la popolazione originaria della zona. Nei secoli, comunque, emblema di stendardi e di scudi, di case nobiliari e di dinastie vittoriose, il cervo è diventato, ed è ancora, il simbolo della forza, della virilità e della maestosità della natura.
I maschi adulti possono essere lunghi sino a 2,55 metri. Generalmente, gli esemplari delle popolazioni dell’Europa orientale raggiungono dimensioni maggiori, mentre quelli della zona mediterranea hanno dimensioni inferiori (per esempio il cervo sardo che non supera quasi mai il quintale di peso). Tuttavia, se alimentati abbondantemente i cervi sono in grado di crescere ben al di sopra delle misure medie raggiungibili dalla popolazione. Il cervo cosiddetto nobile che con la sua presenza, caratterizza le zone dell’Europa e il nostro paese, deve il suo nome al portamento “altezzoso”. Con il collo eretto, il palco di corna e la camminata elegante si distingue dagli abitanti del bosco e ne diventa il re designato. Si tratta di un animale che si muove leggero ed elegante nella boscaglia più fitta, nelle praterie a diverse altitudini. E’ veloce sia nel trotto che nel galoppo, tanto che in piena corsa può raggiungere e superare i 60 km/h, ed è agile e abile nel salto che, talvolta, può raggiungere in altezza anche i 2 m e più del doppio in lunghezza. Sia i maschi che le femmine vivono in gruppi monosessuali, con queste ultime che portano con sé anche i cuccioli non ancora indipendenti. Nell’ambito dei gruppi, solitamente vi sono sempre un paio di esemplari che fanno da sentinelle mentre il resto del branco si nutre. Durante l’estate, i cervi tendono a migrare ad altitudini maggiori, raggiungendo le praterie in quota, dove il cibo è presente in maggiori quantità. E ciò garantisce la sopravvivenza della specie.
All’inizio dell’autunno, precisamente da metà settembre a metà ottobre, inizia la stagione degli amori. In questo periodo, i maschi, che solitamente vivono in piccoli gruppi monosessuali, si separano e iniziano a sfidarsi bramendo per rivendicare il possesso delle femmine su altri pretendenti. Avrà la meglio chi riesce a bramire più forte intimorendo, con il suo verso, gli altri cervi. La forza e la potenza del bramito dipendono dalla stazza dell’animale e dalle sue condizioni di vita. In inverno i palchi vengono persi e i maschi si ritirano nella fitta boscaglia allontanandosi dalle femmine. Gli abbondanti pascoli primaverili hanno rafforzato il loro organismo e gli esemplari sono divenuti vigorosi e pronti a mettersi in cammino per la lunga ricerca delle compagne. Durante questo periodo, i cervi abbandonano le loro consuete abitudini e i luoghi prima frequentati, divenendo inquieti e irascibili. Nella stagione degli amori il cervo raduna intorno a sé da 5 a 15 femmine, che custodisce gelosamente, a prezzo di lotte furiose contro tutti i rivali. Le uccisioni e le ferite tra i maschi sono rare: infatti, prima di “passare alle armi” i contendenti si sfidano “a voce”. Il potente bramito del cervo (una via di mezzo fra un muggito bovino e un ruggito) serve appunto ai rivali per capire chi hanno di fronte. Solo quando le capacità vocali si equivalgono, i maschi si affrontano in campo aperto, ma anche a questo punto, prima di combattere, mettono in atto una serie di comportamenti rituali, come per esempio cominciare a marciare avanti e indietro lungo linee parallele per osservare le dimensioni del palco e la robustezza dell’avversario. La speranza di vita in natura dei cervi si aggira fra i 10 e i 15 anni, ma in cattività essi vivono tranquillamente oltre i 20 anni.
La carne derivante dai capi abbattuti è normalmente commerciata e viene venduta a ristorazione, macellerie, grossisti. Spesso deriva anche da mercati esteri, dove la caccia al cervo viene praticata con meno restrizioni (un esempio è quello dell’Ungheria). In Italia ci sono pochi allevamenti di cervi. Sono situati in Veneto, Friuli e Alto Adige. L’allevamento richiede la concessione di particolari permessi e quindi non è alla portata di tutti gli allevatori di bestiame. In altre nazioni – come la Svizzera – gli allevamenti di questi animali sono più diffusi e la carne di cervo è più facilmente reperibile ( nel paese ci sono, infatti, 300 allevamenti e circa 12.000 capi sono destinati ad alimentazione umana).
Bracconaggio, caccia indiscriminata, incidenti stradali…ecco alcuni dei pericoli più grandi per i cervi nel nostro paese. Della situazione attuale della specie abbiamo parlato con Gianluca Catullo, responsabile specie e habitat del WWF Italia. Ecco cosa ci ha detto.
Dopo la morte di Bambotto si sono moltiplicate le iniziative delle varie associazioni animaliste per ottenere una giusta condanna dell’azione del cacciatore, ma purtroppo a oggi non sono ancora pervenute notizie certe sui provvedimenti adottati. Come nel caso dell’orsa Amarena e di suo figlio Juan Carrito, è proprio l’eccessiva confidenza di questi animali verso l’uomo a decretarne la fine precoce. I selvatici vanno protetti e aiutati nel loro ambiente, e non trasformati in fenomeni da baraccone privi di un’identità specifica, capaci solo di attirare frotte di turisti e pubblicità occulta nei paesi che li ospitano. Ma al momento l’azione distruttiva dell’uomo verso gli animali e la natura che ci circonda è ancora in una fase attiva. Un esempio per tutti? L’abitudine di lasciare liberi i cani in zone montane o collinari. L’invadenza degli inconsapevoli quattrozampe cittadini, attirati da odori e rumori del bosco che li circonda, porta spesso a incidenti ed eventi pericolosi che l’uomo non è in grado di controllare. Il rispetto per l’habitat naturale dovrebbe essere privilegiato anche e soprattutto quando ci si reca in luoghi ancora incontaminati. Ma, purtroppo, la mancanza di comprensione delle leggi naturali e dell’ecosistema continua a esporre i soggetti più deboli a sofferenze e inutili sacrifici. Il 2024 sarà un anno di svolta? Lo speriamo, malgrado i segnali distruttivi che ci arrivano in questi ultimi mesi. Ma la speranza, si sa, è l’ultima a morire.
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