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Quando si parla di sua maestà il pane non occorre fare lunghe presentazioni. Lo conoscono tutti, è l’alimento più conosciuto in ogni angolo della Terra. A leggere un censimento portato avanti dall’Istituto Nazionale di Sociologia Rurale (Insor) nel nostro Paese ce ne sono ben 200 tipi, quota che si attesta sui 1500 non appena si
Quando si parla di sua maestà il pane non occorre fare lunghe presentazioni. Lo conoscono tutti, è l’alimento più conosciuto in ogni angolo della Terra. A leggere un censimento portato avanti dall’Istituto Nazionale di Sociologia Rurale (Insor) nel nostro Paese ce ne sono ben 200 tipi, quota che si attesta sui 1500 non appena si prendono in considerazione varianti regionali e forme varie.
In questi ultimi anni sta incontrando una consistente crisi nei consumi. La prova? Durante i primi anni ’60 se ne consumavamo 400 g pro-capite al giorno, con il terzo millennio ci si è attestati sui 200 g. Nella classifica dei consumi europei veniamo addirittura dopo tedeschi, francesi e inglesi. La ragione? La credenza, completamente pseudoscientifica, che faccia ingrassare.
Il bel risultato è che ogni anno, in nome della leggerezza, ne finiscono ben 15 mila tonnellate nelle discariche.
La sua ricetta si perde nella notte dei tempi: la composizione media di una pagnotella è sempre costituita da acqua (26%), lievito (1,5%), farina (71%), sale (1,5%, se aggiunto). Le farine impiegate sono 0; 00; 1; integrale; sfarinati di frumento in combinazione con altri cereali: avena, mais, soia, segale, miglio, orzo, ecc.
Ora – senza dilungarci sul fatto che ormai solo nei pani di qualità si trova il lievito a pasta acida, che il mercato è dominato dai finti integrali e che il grano per la farina è in larga parte proveniente da altri paesi – c’è il grosso handicap di sapere se contiene o meno additivi.
Eh sì, perché, anche se ci sofferma a leggere il cartello degli ingredienti esposti dal fornaio, capirci qualcosa è un vero e proprio rompicapo.I negozianti commercializzano diverse varietà di pane nello stesso scomparto e purtroppo in base all’articolo 16 del decreto legislativo n. 109/1992 (sui prodotti da panetteria), l’elenco degli ingredienti può essere riportato su un unico cartello, purché sia tenuto bene in vista.
E le sorprese non finiscono qui. Se nell’elenco non compare il minimo riferimento agli additivi ciò non vuol dire che non ci siano. La ragione? Possono trovarsi nella farina di partenza e allora non c’è nessun obbligo di dichiararli. Tanto per fare un esempio, nella farina può essere celato l’acido ascorbico (induce una lievitazione artificiale, aumentando il volume e l’alveolatura della mollica e abbassando così i tempi di lavorazione), e un bel gruppetto di emulsionanti che permettono di ricavare un pane di maggiore volume.
Il bel risultato è un pane gonfio ma non certo più buono: farina di scarsa qualità con poco glutine (la proteina del frumento), o troppo raffinata cioè super-raffinata (privata interamente del glutine).
Scegliendo pane realizzato con farina tipo “1” non ci si imbatte negli additivi perché i livelli di glutine assicurano una buona lievitazione. Per non scivolare sulle frodi acquistatelo biologico o tipico: vi mette al riparo anche da impasti precotti e poi surgelati.
Il segreto per mantenerlo fresco, addirittura per una settimana, è di conservarlo in una cassetta di legno, con coperchio bombato, pulita, asciutta e ben aerata: nel sacchetto di carta diventa rapidamente duro, in uno di plastica rammollisce e tende ad ammuffire. In alternativa, casi estremi, può essere tenuto in un freezer a surgelazione rapida.
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