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Innalzamento del Mediterraneo: una minaccia crescente per la risorsa acqua
Innalzamento del Mediterraneo: quali impatti su acqua e coste? Lo abbiamo chiesto a Grammenos Mastrojeni, tra minacce e soluzioni sostenibili.
Cosa succederebbe se il mare invadesse le nostre terre fertili? E se i siti archeologici simbolo della nostra storia venissero sommersi? Questo è ciò che sta accadendo, anche nel Mediterraneo. L’innalzamento del livello del mare è un fenomeno strettamente legato ai cambiamenti climatici e, sebbene spesso sottovalutato rispetto ad altre emergenze climatiche, rappresenta una minaccia concreta anche alle nostre latitudini.
Quando pensiamo a questo fenomeno, infatti, immaginiamo scenari drammatici in luoghi lontani, come le isole del Pacifico che rischiano di scomparire sommerse dall’acqua, o città costiere fragili, come Venezia. Ma l’impatto non si limita a coste sommerse o città vulnerabili: coinvolge anche l’accesso e la qualità dell’acqua dolce, aggravando un problema che già affligge numerose aree del bacino mediterraneo.
Come ha sottolineato Grammenos Mastrojeni, coordinatore per l’ambiente della cooperazione allo sviluppo e vicesegretario aggiunto dell’Unione per il Mediterraneo, il Mediterraneo è il mare che si sta innalzando più velocemente al mondo a causa della dilatazione termica, ovvero l’espansione dell’acqua dovuta all’aumento delle temperature. Questo fenomeno, pur graduale e impercettibile nel quotidiano, rischia di avere effetti devastanti nel giro di pochi anni, soprattutto sulle risorse idriche e agricole.
Questi temi sono stati al centro del dibattito anche a Ecomondo 2024, la fiera di riferimento per la transizione ecologica e la sostenibilità. In particolare, durante l’evento Mediterranean sea level rise: the forgotten threat, incontro che ha offerto un’importante occasione per diffondere consapevolezza e per promuovere soluzioni condivise a livello internazionale.
L’impatto sulle comunità costiere e la sicurezza alimentare
Secondo i dati del MedECC (Mediterranean experts on climate and environmental change), presentati di recente alla Cop29 di Baku, il Mediterraneo è uno dei bacini più vulnerabili alla crisi climatica. Studi condotti da Enea ne stimano un aumento del livello compreso tra 0,94 e 1,45 metri entro la fine del secolo, a seconda degli scenari climatici considerati. Tuttavia, un incremento di soli venti centimetri, che potrebbe avvenire nei prossimi quindici anni, sarebbe già sufficiente a provocare conseguenze significative sulle nostre coste.
Il problema non si limita alle terre sommerse: il vero pericolo è rappresentato dall’acqua salata che si infiltra nelle falde e nei terreni agricoli, compromettendo la produzione alimentare. “I nostri antenati Romani dicevano che se si voleva dominare qualcuno bisognava batterlo in guerra, ma se non se ne voleva mai più sentir parlare bisognava spargere sale sui loro campi”, spiega Mastrojeni. “Acqua salata significa sterilizzare una parte consistente delle piane costiere, soprattutto nei delta, che ospitano una porzione fondamentale della nostra sicurezza alimentare”.
Un esempio concreto di questa minaccia è il delta del Po, dove l’intrusione salina, aggravata dai lunghi periodi di siccità, danneggia coltivazioni tradizionali e riduce la produttività agricola. Una situazione analoga si registra nel delta del Nilo, in Egitto, dove oltre cento milioni di abitanti dipendono direttamente da queste terre fertili.
Secondo Mastrojeni, la consapevolezza pubblica di questi fenomeni gioca un ruolo cruciale nella mobilitazione politica e sociale: “Questa minaccia viene ignorata perché non è percepibile nella quotidianità come un evento come quello di Valencia, per esempio, che attrae l’attenzione e spinge alla mobilitazione. Per questo è essenziale educare e coinvolgere il pubblico con campagne mirate. La mia organizzazione, per esempio, sta proprio per lanciare una campagna di mobilitazione per cercare di fare qualcosa a livello multistakeholder”.
Le radici della nostra identità a rischio
Oltre alle risorse naturali, l’innalzamento del Mediterraneo mette in pericolo anche il patrimonio culturale della regione. Una ricerca recente ha rilevato che 147 dei 464 siti esaminati sono a rischio di inondazione nei prossimi cinquant’anni, mentre più della metà dei siti costieri situati in Grecia e Turchia potrebbe finire sott’acqua entro la fine del secolo.
Un caso simbolo è l’isola di Delo, in Grecia, un sito archeologico tra i più importanti della civiltà occidentale. Qui, il mare ha già sommerso alcune aree, con danni visibili anche dallo spazio.
Come spiega Mastrojeni, la Grecia ha assunto un ruolo guida: “La Grecia è capofila alle Nazioni Unite nella protezione del patrimonio culturale dagli effetti del cambiamento climatico. A Delo, si sta lavorando per limitare l’ingresso dell’acqua salata attraverso barriere fisiche e, allo stesso tempo, valorizzare il sito come patrimonio sommerso”.
Questo esempio rende evidente come l’innalzamento del mare non minacci solo il nostro presente e futuro, ma anche il nostro passato, rischiando di cancellare tracce fondamentali della nostra identità collettiva.
Ambiente, pace e diritti umani: un triangolo fragile
Come spiega Mastrojeni, l’innalzamento del mare può essere anche catalizzatore di tensioni geopolitiche. La perdita di risorse fondamentali, costringe intere popolazioni a spostarsi, alimentando tensioni e conflitti, soprattutto nelle aree più fragili.
Mastrojeni cita esempi concreti, le cui conseguenze potrebbero presentarsi anche nei paesi del bacino del Mediterraneo: “Se il delta del Niger perde la sua capacità di sostenere piccole comunità, queste persone saranno costrette a spostarsi. Lo stesso avviene in Bangladesh e nel delta del Mekong. La fragilità delle comunità più vulnerabili amplifica il rischio di instabilità politica ed economica”.
Questi spostamenti forzati di popolazioni rappresentano una delle conseguenze più gravi e richiedono strategie globali per prevenire crisi umanitarie e conflitti.
Innalzamento del mare: quali soluzioni?
Secondo Mastrojeni, le soluzioni esistono e possono essere di due tipi complementari. Da un lato, ci sono le infrastrutture artificiali, come dighe o barriere di cemento, che però comportano costi elevati, enormi quantità di anidride carbonica e impatti spesso significativi sugli ecosistemi.
Dall’altro, esistono soluzioni naturali, che spesso vengono definite innovative, ma che di fatto si ispirano tecniche antiche. Nel delta del Nilo, ad esempio, è stata riscoperta la pratica di rafforzare le dune con steccati di bambù e vegetazione naturale, con un potere di assorbimento dell’acqua molto forte.
Un altro esempio virtuoso viene dalle Isole del Pacifico, dove è stato abbandonato l’uso di cubi di cemento a favore della rivitalizzazione delle mangrovie, che proteggono le coste in modo naturale. Questa soluzione ha ricevuto un finanziamento di quattro miliardi di euro alla Cop28, dimostrando l’efficacia di questo tipo di approccio.
Lo stesso può essere adottato anche per affrontare l’innalzamento del mare nel Mediterraneo. Come spiega Mastrojeni: “Affidarsi più alle piante che ai condizionatori, pianificare infrastrutture in cui sia la vegetazione a trattenere le terre dal franare, piuttosto che reti metalliche complesse. Se i cittadini diventano consapevoli che un parco in città non è solo un abbellimento, ma un servizio economico prezioso, a un costo minore dei surrogati artificiali, faremo un gigantesco passo avanti”.
Questi interventi, semplici ed economici, si basano su servizi ecosistemici e dimostrano di essere più sostenibili rispetto alle grandi infrastrutture artificiali.
Soluzioni locali per un impatto globale
L’impegno individuale e collettivo rappresenta la chiave per affrontare questa sfida. L’innalzamento del Mediterraneo richiede azioni immediate e coordinate, in grado di proteggere le risorse idriche, il patrimonio culturale e le comunità costiere. Preservare questa regione significa salvaguardare non solo l’ambiente, ma anche il futuro di un’area che è stata il cuore pulsante della civiltà per millenni.
Le parole e la visione di esperti come Grammenos Mastrojeni e la divulgazione di questi temi in eventi come Ecomondo tracciano una rotta chiara: è possibile costruire risposte concrete e sostenibili, a patto che si agisca con tempestività e con una cooperazione che coinvolga governi, organizzazioni e persone.
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