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Dopo l’ennesimo attacco da parte degli estremisti islamici locali, l’Iran ha vietato alle donne di arrampicare nella falesia di Kooh Sefid.
Poco fuori Dorche, una cittadina iraniana della provincia di Isfahan, gli appassionati di arrampicata sanno di dover cercare le pareti di Kooh Sefid, una montagna alta circa 3.943 metri, e le sue più di 40 vie sportive per poter passare una piacevole giornata su roccia. Tra di loro, da sempre, ci sono anche numerosissime donne, nonostante l’opposizione da parte dell’Imam di Dorche riguardo il fatto che si dedichino a quest’attività e per giunta assieme agli uomini, nonostante gli insulti e i tentativi ripetuti di cacciarle via.
Il 22 febbraio è stata una di quelle giornate tutt’altro che piacevoli: un gruppo di uomini e donne che partecipavano a un corso di torrentismo, in un luogo poco più vicino al villaggio, sono stati brutalmente interrotti da alcuni estremisti islamici locali. Il vano tentativo dei partecipanti di fermare i disturbatori non ha fatto altro che provocare una reazione ancora più violenta da parte loro.
Se l’Isfahan Mountaineering Board ha subito rilasciato una dichiarazione in sostegno dei climber e ha offerto loro assistenza legale, l’imam di Dorche ha preso una posizione decisamente diversa: durante la preghiera del venerdì ha lodato gli estremisti locali, ha condannato il fatto che uomini e donne avessero viaggiato assieme nella stessa macchina per raggiungere il luogo del corso, per praticare un’attività – l’arrampicata – non approvata dall’Islam e, per concludere, ha minacciato lo stesso Isfahan Mountaineering Board, consigliando loro di tenersi fuori dalle questioni di cultura islamica.
Con la scusa della vicinanza della falesia di Kooh Sefid al centro culturale e alla tomba dei martiri ignoti, nonché ad un luogo di pellegrinaggio, Mehdi Nasr Esfahani, capo della Isfahan mountaineering board, ha deciso di vietare alle donne l’accesso alle pareti fino alla risoluzione della questione, relegandole nelle palestre e in collaborazione con lo stesso imam, il governatore di Khomeini Shahr e altre personalità in carica, dare vita ad una falesia esclusivamente dedicata a loro.
Qualcuno quel 22 febbraio ha filmato tutto e condiviso il contenuto sui social media, dove numerosissime ragazze iraniane hanno fatto sentire la loro voce, ricordando che questo divieto si aggiunge inoltre a quello già esistente dell’uso della bicicletta da parte delle donne nella provincia di Isfahan. Ma sono parole che sembrano non riuscire a scalfire anni e anni di limitazioni culturali e religiose che sono giunte spesso addirittura fino al mondo sportivo, quel mondo che forniva loro, soprattutto con l’arrampicata e l’alpinismo, un oasi dove sentirsi più libere dalle imposizioni della città. Nel 2016, alla rivista Uk climbing, una insegnante di arrampicata iraniana con base in Inghilterra, Shirin Shabestari, raccontava:
In città, ero una ragazza trattata diversamente. Quando andavo in montagna con mio padre, mi sentivo finalmente uguale a lui. Le montagne offrivano un mondo completamente diverso. Un mondo dove era possibile lasciare che il velo cadesse, dove poter lasciare che il vento scompigliasse i capelli.
La realtà è che oggi in molte altre province iraniane, le arrampicatrici non possono avere allenatori di sesso maschile, l’uso delle palestre è limitato a un breve periodo di tempo, hanno accesso a molte meno risorse rispetto agli atleti uomini.
E poi se anche il divieto ora cadesse, chi garantirebbe loro la possibilità di tornare ad arrampicare con tranquillità? Senza essere insultate, minacciate, cacciate via.
Il mondo continua a sentirsi sufficientemente distante da lasciarle sole a combattere una battaglia che emette un suono di allarme per tutto il genere femminile, non solo quello iraniano. Servirebbe la voce di tutti per sovrastarlo, servirebbe ammettere l’assenza di senso delle limitazioni che le sovrastano, servirebbe il coraggio di accompagnarle sotto quelle pareti e ricordare loro che hanno tutto il diritto di arrivare in cima e godere del panorama, servirebbe ricordare loro che esiste una vita senza paura, una vita libera.
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