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Da una parte, l’Italia stringe un accordo sulle rinnovabili con Emirati Arabi Uniti e Albania. Dall’altra, continua la corsa al gas fossile.
Il 15 gennaio 2025, Italia, Albania ed Emirati Arabi Uniti hanno siglato un accordo ad Abu Dhabi per un quadro di partenariato strategico volto a rafforzare la cooperazione nel settore delle energie rinnovabili e delle infrastrutture strategiche. L’intesa è stata sottoscritta dalla presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, dal primo ministro albanese Edi Rama e dal presidente degli Emirati Arabi Uniti, Mohamed bin Zayed.
Secondo quanto dichiarato in una nota ufficiale di Palazzo Chigi, l’accordo prevede lo sviluppo di “progetti di energia rinnovabile su larga scala in Albania”, con particolare attenzione al fotovoltaico, all’eolico e alle soluzioni ibride con capacità di accumulo tramite batterie. Una parte significativa di questa energia rinnovabile, si legge nel comunicato, sarà destinata al mercato italiano. Il partenariato prevede inoltre la realizzazione di un’interconnessione elettrica transfrontaliera tra Albania e Italia.
Il premier albanese Edi Rama ha dichiarato che l’accordo con Roma e Abu Dhabi ha un valore di circa un miliardo di euro. Sebbene i dettagli precisi degli impegni non siano stati ancora divulgati, la strategia annunciata dalla presidente Meloni è quella di trasformare l’Italia in un ponte tra l’Africa e il Medio Oriente per lo sviluppo delle infrastrutture legate alle energie rinnovabili.
Ma un po’ di diffidenza rimane. Qual è, infatti, la reale strategia energetica del governo italiano che da una parte stringe accordi di nuovi impianti di energia pulita con i paesi del golfo Persico e dall’altro prevede di triplicare la capacità di rigassificazione da qui al 2026, a fronte di un calo di domanda e consumo di gas importante: in particolare, il consumo di gas dell’Italia è sceso del 19 per cento tra il 2021 e il 2024, mentre le importazioni di gnl (gas naturale liquido) sono diminuite del 12 per cento nel 2024. Per non parlare dell’intesa tra Meloni e Trump: forse per compiacere un potente alleato, l’Italia non smentisce apertamente la retorica trumpiana del drill, baby drill, senza contare che, attraverso la società Eni, l’Italia è ancora alla ricerca di nuovi giacimenti fossili da sfruttare, stringendo accordi con grandi esportatori di gas come Algeria e Azerbaigian.
Ora, però, l’intesa con i paesi del Golfo (la presidente Meloni, infatti, è stata anche in Arabia Saudita e Bahrein) indica forse un tentativo da parte dell’Italia di posizionarsi in modo strategico sullo scenario geopolitico internazionale al fianco di chi – nonostante rimanga ancora un petrostato – sta riconoscendo che l’era dell’oil&gas sta volgendo al termine.
Dunque i paesi del Golfo, sebbene ancora fortemente dipendenti da gas e petrolio, hanno avviato un processo di riposizionamento nel contesto globale, puntando sempre più sulla transizione energetica. Gli Emirati Arabi Uniti, per esempio, hanno ospitato la Cop28 e sono diventati tra i maggiori sostenitori dell’agenzia sulle rinnovabili in Africa, Apra. “In tutto questo, l’Italia ha capito quanto sia necessario investire in cooperazione”, spiega a LifeGate Silvia Francescon, esperta senior di politica estera del think tank Ecco. Secondo Francescon, questa strategia si inserisce in una visione più ampia di un “Mediterraneo allargato”, che il governo italiano intende estendere fino all’India, definendolo piuttosto un “Mediterraneo globale” e facendo rientrare tali avvicinamenti con i Paesi del Golfo in un più ampio Piano Mattei, che prevede l’impiego di fondi per realizzare progetti, ma la cui operatività dipende in larga parte dalle risorse finanziarie, risorse che i sultani arabi possiedono in abbondanza. “Nonostante alcuni comportamenti ancora conservativi, i Paesi del Golfo stanno progressivamente assumendo un ruolo centrale nei temi della transizione energetica, nei quali desiderano diventare protagonisti”, aggiunge.
Per l’esperta, diventa a questo punto imprescindibile coinvolgere questi Paesi, soprattutto per l’Italia, che da tempo investe nella cooperazione grazie ai giacimenti e ai legami commerciali di Eni con questi Stati. “Un rapporto privilegiato con questi Paesi potrebbe davvero contribuire a consolidare il nostro ruolo di hub energetico”, osserva Francescon. “D’altronde, essere accreditati da questi Paesi del Golfo ha un chiaro intento geopolitico”.
In futuro, gli Stati Uniti guidati da Donald Trump potrebbero beneficiare di petrolio e gas domestici a costi più bassi, mentre l’Europa – e con essa l’Italia – punta a rafforzare la propria indipendenza energetica. Per raggiungere questo obiettivo, le fonti rinnovabili sono un tassello imprescindibile. Tuttavia, resta aperta la questione dei diritti umani, un aspetto che l’Italia ha già dimostrato di mettere in secondo piano, come nel caso dell’accordo con l’Albania sulla gestione dei flussi migratori. Ora, a questa intesa si aggiunge quella sulle rinnovabili: il Paese balcanico fornirà energia pulita all’Italia, ma la contropartita non è ancora del tutto chiara. “Dietro ogni impianto, anche se rinnovabile, c’è sempre una rete di relazioni geopolitiche”, sottolinea Francescon.
Se da un lato l’accordo tripartito richiederà un attento monitoraggio, dall’altro si può intravedere un risvolto positivo: “La strategia di localizzare gli impianti in paesi terzi, come Albania o Algeria, può contribuire alla stabilità economica di questi Stati”, osserva Francescon. “Se, ad esempio, l’Algeria utilizzasse le rinnovabili per alimentare il proprio settore manifatturiero, potrebbe rafforzare la diversificazione della sua economia, riducendone le fragilità strutturali”.
La cooperazione con i paesi del Golfo si configura quindi come una mossa strategica per affrontare le sfide future del settore energetico ma resta cruciale vigilare sul rispetto dei diritti umani che accompagnano queste decisioni, un aspetto su cui, al momento, permangono molte incognite.
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