Prendiamoci cura del clima

Jennifer Morgan di Greenpeace. Smascheriamo i politici che pensano prima alle fossili e poi alle persone

Che ruolo giocano i governi, le ong e la questione della parità di genere nella lotta ai cambiamenti climatici? Alla Cop 23, lo abbiamo chiesto a Jennifer Morgan di Greenpeace International.

Greenpeace, come centinaia di altre ong da tutto il mondo, è presente alla Cop 23 in corso a Bonn, in Germania. Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International, ci ha raccontato quali sono le richieste avanzate dall’organizzazione che si batte per la protezione dell’ambiente dal 1971 ai negoziatori dei 197 paesi che hanno aderito alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc). Coloro che in queste ore stanno decidendo cosa fare per raggiungere gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi adottato alla Cop 21 di Parigi: limitare l’aumento della temperatura media globale “ben al di sotto dei 2 gradi centigradi” rispetto ai livelli pre-industriali, entro la fine del secolo.

jennifer morgan greenpeace
Membri del Greenteam (squadra verde) di Greenpeace presentano il Libro del clima al segretario generale del Unfccc Patricia Espinosa (terza da sinistra) alla Cop 23 di Bonn. Era presente anche Jennifer Morgan (a sinistra) © Greenpeace

Cosa (dovrebbe) succedere alla Cop 23 di Bonn

“L’obiettivo di questa Cop è che venga implementato l’Accordo di Parigi, quindi abbiamo bisogno di una buona base affinché le regole vengano rispettate, perché ci sia trasparenza e ci siano fondamenta solide per alzare l’asticella nel prossimo futuro”, ha commentato Morgan. Ha inoltre detto che questa conferenza è un’occasione per dimostrare che la decisione degli Stati Uniti sotto la presidenza di Donald Trump di uscire dall’accordo ha causato l’isolamento del paese, rafforzando e non indebolendo la determinazione della comunità internazionale a combattere contro i cambiamenti climatici.

Nei giorni precedenti alla conferenza sul clima, Morgan ha dichiarato di essere rimasta delusa dai leader mondiali che “hanno fallito nel rispettare le promesse fatte” per limitare l’aumento delle temperature globali a 1,5 gradi, come auspicato nell’Accordo di Parigi entrato in vigore un anno fa. “Non abbiamo tempo da perdere. Il nostro clima sta cambiando, mettendo le persone e le comunità sempre più a rischio”, ha precisato Morgan. “Abbiamo l’opportunità di prendere azioni concrete rapidamente nel nome di una reale sicurezza e della giustizia per ognuno di noi”.

Commentando la decisione di Trump di ritornare sui passi fatti dal suo predecessore Barack Obama alla Cop 21, aggiunge: “Non si può tornare indietro e non ci sarà alcuna rinegoziazione dell’accordo, e questo messaggio deve essere chiaro alla Cop 23. Ci aspettiamo che a Bonn emergano nuovi leader e che gli occhi del mondo siano puntati sull’Unione europea, sulla Cina e su altri attori perché facciano dei passi avanti”.

jennifer morgan marcia clima cop 23
Jennifer Morgan partecipa alla marcia per il clima che si è tenuta a Bonn pochi giorni prima dell’inizio della Cop 23 © Greenpeace

Cosa fanno le ong, come Greenpeace

Una delle opportunità che presenta la Cop 23 è quella di riunire molteplici attori internazionali che hanno quindi la possibilità di confrontarsi e dialogare: dalle delegazioni nazionali alle istituzioni internazionali, fino al settore privato e ai rappresentati della società civile come le organizzazione non governative, tra cui ovviamente Greenpeace. “Le ong giocano moltissimi ruoli: dal fare pressione sui decisori, all’avanzare idee precise, sostenute dalla ricerca, per influenzare i negoziati, all’educare le persone riguardo a quello che succede nel corso della conferenza e spiegare di cosa si tratta”, precisa Morgan.

Leggi anche: Centrali nucleari e terrorismo. Il rapporto “non pubblicabile” di Greenpeace

La partecipazione della società civile è fondamentale per mettere pressione affinché i governi agiscano per contrastare i cambiamenti climatici. Come esempio Morgan cita la manifestazione che si è tenuta per le strade di Bonn prima della conferenza, il 4 novembre – a cui hanno partecipato 25mila persone secondo gli organizzatori – che ha chiesto la fine dell’utilizzo del carbone nel mondo. Questo messaggio è diretto soprattutto alla Germania, paese ospitante: se da un lato è leader europeo nella lotta al riscaldamento globale, dall’altro si affida ancora al carbone per generare il 40 per cento della sua energia elettrica e non ha ancora dichiarato di volerlo abbandonare.

Secondo Morgan, i vertici come la Cop sono “una piattaforma eccellente per i paesi che vogliono dichiarare la loro intenzione di abbandonare il carbone”. A confermare la sua tesi è l’annuncio fatto il 16 novembre dall’alleanza Powering past coal composta da una ventina di paesi tra cui l’Italia, il Canada, il Regno Unito, la Danimarca e il Messico di rinunciare totalmente all’utilizzo del carbone entro il 2030.

Cosa possono fare le persone

Morgan ha anche parlato del ruolo cruciale che giocano gli individui nel sostenere le ong e mettere pressione sui loro governi. “Sempre più persone stanno cominciando a impegnarsi. Gli individui sono sempre più coinvolti. Questo rafforza la consapevolezza delle persone e dovrebbe spronare i governi a fare la cosa giusta”, ha dichiarato.


Un esempio sono gli sforzi dei cittadini norvegesi che con il supporto della campagna di Greenpeace Save the Arctic sono ora in causa contro il loro governo per aver concesso nuove licenze per la trivellazione petrolifera nell’oceano Artico, “perché questa decisione viola la costituzione norvegese e l’obbligo del governo di proteggere i diritti delle future generazioni”. Analoga all’ipocrisia della Germania che non vuole rinunciare al carbone, l’azione della Norvegia è nettamente in contrasto con il suo ruolo di leader internazionale sul clima: è stato il primo paese industrializzato a ratificare l’Accordo di Parigi.

“Negoziare per agire contro i cambiamenti climatici a Bonn è semplicemente incompatibile con l’intenzione di consentire le trivellazioni nell’Artico. I politici che mettono il petrolio prima delle persone devono essere chiamati a rispondere alle loro scelte”.

(Jennifer Morgan)

Perché la parità di genere è così importante

L’attenzione verso la parità di genere e su come questo concetto influisca sui e venga influenzato dai cambiamenti climatici ha contribuito ad approfondire ed espandere il dibattito sulla lotta internazionale. Da sei anni la giornata dedicata alla parità, il Gender day, si festeggia nell’ambito della conferenza sul clima dell’Unfccc. Quest’anno si è celebrata il 14 novembre con la presentazione di un piano d’azione (Gender action plan) per rendere operativa l’integrazione di questo tema nei programmi per contrastare i cambiamenti climatici.

Morgan ha evidenziato la relazione tra le questioni di genere e il riscaldamento globale: “Il genere gioca un ruolo importante perché le donne sono spesso tra le persone più vulnerabili. Gioca un ruolo fondamentale perché le donne sono spesso quelle che devono far fronte ai suoi impatti. Ma fanno anche parte della soluzione perché c’è bisogno di più cooperazione e di più collaborazione”. Per tutti questi motivi “abbiamo bisogno di più leader donne”. Come lei? “Come tutte, dalle bambine alle nonne”. Perché essere leader vuol dire essere aperti all’ascolto e anche coraggiosi, per saper dire quando si è raggiunto il limite. E se non sono i politici farlo, allora tocca a Jennifer Morgan, ai manifestanti di Bonn e alla persone come noi.

Immagine in evidenza: Jennifer Morgan partecipa alla marcia per il clima che si è tenuta a Bonn pochi giorni prima dell’inizio della Cop 23 © Greenpeace

Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

L'autenticità di questa notizia è certificata in blockchain. Scopri di più
Articoli correlati
Restiamo obiettivi, persino a Dubai

Riuscire a non farsi influenzare dal contesto è sempre difficile per un giornalista. A Dubai lo è ancora di più, ma questo non deve inquinare il racconto del risultato che verrà raggiunto dalla Cop28.