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Il business può avere risvolti sociali, influenzare positivamente la società, costruirla. Indirizzarla verso una nuova consapevolezza.
Una svolta nel business non è impossibile. Richiede una stretta cooperazione tra i leader del mercato. Devono unirsi non per bandire la competizione, bensì per implementare pratiche socialmente ed ecologicamente responsabili nel proprio settore. Ci sono business leader che potrebbero essere pronti a compiere questo passo non sottoscrivendo più la “shareholder philosophy”.
Tra le maggiori compagnie, molte sono dirette da persone o famiglie di industriali che si identificano con l’azienda, essendone fondatori o alti manager. Sono gli equivalenti odierni dei leggendari “capitani d’industria” dei primi decenni del secolo scorso. I vari John D. Rockefeller, Cornelius Vanderbilt, Henry Ford, Thomas Mellon, Andrew Carnegie, non pensavano a sé puramente come uomini d’affari dediti solo a spremere più soldi possibile al mondo, bensì come “costruttori della società”, forza attiva del bene comune. Come ha detto il fondatore di Ibm Thomas J. Watson, le compagnie non sono create “solo per fare soldi” ma per “tessere insieme la trama della civilizzazione”. Questo spirito non si è estinto, oggi. Bill Gates, Warren Buffett, i fondatori di Google Sergej Brin e Lawrence Page o altri protagonisti del mondo del business, hanno creato fondazioni per sostenere le cause che stanno loro più a cuore, come già avevano fatto prima di loro Rockefeller, Ford, Carnegie. Ma oggi questo non basta più. Negli anni Venti e Trenta del Novecento nessuno avrebbe sospetta che il perseguimento del business a tutti i costi avrebbe avuto conseguenze così negative. Era un’ovvietà, la società abbisognava di automobili, benzina, acciaio e altri beni, e le grandi industrie provvedevano.
Per gli uomini d’affari avere “spirito pubblico” non significava mutare l’orientamento della propria azienda, bensì, al massimo, assicurare un giusto trattamento per i lavoratori, lo staff, e affiancando o sposando determinate cause sociali. Oggi non è più abbastanza fare “del bene” con gesti filantropici periferici, marginali, mentre si rimane strettamente consacrati all’obiettivo del “fare bene” nel mercato.
I danni delle aziende fossilizzate su strategie per la massimizzazione del profitto a breve termine non vengono bonificati finanziando cause sociali, per quanto meritevoli. La necessità oggi, per coloro che hanno potere di controllo nelle maggiori compagnie, è diventare forza trainante per il bene pubblico. Non con la beneficenza, ma ri-orientando le loro compagnie.
L’obiettivo sociale riconosce che il portatore d’interesse di un’azienda è la società stessa. Abbracciandolo, il settore privato si proietta nel novero degli attori sociali dedicati alla causa del benessere dell’umanità e della sostenibilità ecologica.
Fondamentalmente il mercato produce quello che la gente vuole, quindi sono le persone che massimamente decidono il futuro, allo stesso tempo però il mercato crea i modelli di comportamento. Le aziende quindi hanno una responsabilità importante, più che educare il fruitore dei suoi prodotti e servizi, seguire un trend ormai ben delineato e partecipare alla costruzione di un nuovo modello di business che non è più rappresentato da una crescita infinita su un mondo finito.
Perché esista un futuro le aziende obbligatoriamente dovranno essere People Planet e Profit. Molte ci arriveranno con il cervello, qualcuna ci arriverà anche con il cuore.
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