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Il Tribunale superiore di Galizia ha obbligato le autorità statali e regionali a riparare i danni degli allevamenti intensivi della regione di A Limia.
Nella zona di As Conchas, nella comunità autonoma di Galizia, nella Spagna nord-occidentale, l’aria è irrespirabile e il bacino fluviale è gravemente inquinato. Colpa delle centinaia di allevamenti intensivi di polli e maiali nella regione di A Limia che quotidianamente contaminano le falde con nitrati e batteri, esponendo l’ecosistema e la popolazione a seri rischi. Con una sentenza storica, il Tribunale superiore di giustizia della Galizia ha decretato che le autorità statali e regionali, ignorando il problema, hanno violato i diritti umani dei residenti. E sono quindi tenute a rimediare ai danni fatti.
Negli ultimi vent’anni la Spagna si è affermata come il primo produttore europeo di carne suina. Tra marzo 2024 e febbraio 2025 sono stati macellati oltre 53 milioni di suini, su un totale di circa 220 milioni all’anno nell’Unione europea. Questa espansione rapidissima e incontrollata degli allevamenti intensivi sta cambiando volto soprattutto alla Spagna rurale, visto che quasi la metà delle strutture si trova in località che contano meno di 5mila abitanti. Le cosiddette zone di sacrificio, in cui si ritiene che l’interesse economico possa passare al di sopra rispetto alla salute e alla qualità della vita della popolazione.
È proprio il caso della zona di A Limia, dove gli allevamenti intensivi sono centinaia. Nel fiume Limia, i livelli di nitrati – sostanze che incrementano il rischio di cancro – arrivano a superare di mille volte i limiti consentiti. Nelle acque, dove le fioriture di cianobatteri sono frequenti, è stata rilevata anche la presenza di batteri resistenti agli antibiotici. Chi abita nella zona lamenta problemi di salute apparentemente inspiegabili, odori nauseabondi nell’aria e una profonda crisi delle attività economiche locali.
I cittadini di As Conchas, però, non sono rimasti fermi a guardare. Sette di loro si sono rivolti al tribunale, insieme all’Associazione di quartiere di As Conchas e a un’organizzazione che rappresenta i consumatori, la Federación de consumidores y usuarios (Cecu) e con il sostegno delle ong ambientaliste ClientEarth e Amigas de la Tierra España. L’azione legale è stata intentata contro le amministrazioni statali, regionali e comunali della zona. E si è conclusa con una netta vittoria.
Facendo riferimento sia alla Costituzione spagnola, sia alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo sia alle normative ambientali europee e nazionali, il tribunale ha infatti affermato che le autorità locali non hanno adempiuto al loro obbligo legale di tutelare la popolazione. “I diritti umani e la protezione dell’ambiente sono interdipendenti. Un ambiente sostenibile è necessario per il pieno godimento dei diritti umani, inclusi i diritti alla vita, a un tenore di vita adeguato, all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, all’abitazione, alla partecipazione alla vita culturale e allo sviluppo”, si legge nella sentenza.
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Di conseguenza, la Xunta de Galicia e la Confederación hidrográfica del Miño-Sil sono obbligate ad adottare subito tutte le misure necessarie per porre fine ai cattivi odori e al degrado ambientale del bacino di As Conchas e delle zone circostanti. “Questa sentenza storica ci dà forza. Non ci fermeremo finché il bacino non tornerà a essere un luogo di vita, dove poter passeggiare, nuotare e bere senza paura. Continueremo a fare pressione affinché le autorità si assumano le proprie responsabilità e attuino soluzioni reali, non promesse vuote”, commenta Pablo Álvarez Veloso, uno dei ricorrenti, presidente dell’associazione di quartiere.
Ma questa sentenza potrebbe cambiare le sorti di molti altri territori. “Non è possibile obbligare le comunità locali a sopportare il peso dell’inquinamento causato dall’allevamento industriale. Le autorità hanno l’obbligo legale di proteggere i diritti fondamentali della popolazione e devono rispettarlo”, ribadisce l’avvocata di ClientEarth Nieves Noval. “Continueremo a sostenere le persone che vivono in zone di sacrificio per chiedere un cambiamento sistemico nei nostri sistemi alimentari e per difendere i loro diritti fondamentali”.
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