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Perché si parla della legge 194 sull’aborto e come viene applicata
L’applicazione della legge 194 sull’aborto sta diventando un problema in tutta Italia. Cosa prevede e perché si è tornati a parlarne.
- Cos’è la legge 194 sull’aborto e cosa prevede
- L’effetto delle elezioni politiche sulla legge 194
- L’applicazione della legge 194 e il caso Marche
- Cosa dicono le istituzioni sulla legge 194
- I dati che non abbiamo
La norma che consente di poter ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, la legge 194, nasce in Italia nel 1978, anno di grandi riforme socio-sanitarie. Furono le lotte dei movimenti femministi a portare la legge in Parlamento dove, tra non pochi compromessi e un iter durato quasi due anni, diverse forze politiche provarono ad apporsi alla sua approvazione. Prima di allora, l’aborto era considerato un reato dal codice penale italiano, che puniva dai due ai cinque anni sia l’esecutore, che la donna stessa.
Tuttavia, di fronte all’elevato numero di aborti illegali, che negli anni lasciarono danni permanenti e portarono in alcuni casi alla morte, ci fu una presa di coscienza della condizione della donna. Una realizzazione possibile di fronte all’affiorare di denunce, inchieste, contestazioni giovanili, della diffusione dell’educazione sessuale, della contraccezione e dell’avanzamento dell’emancipazione femminile. Nel 1981 il Movimento per la vita organizzò un referendum abrogativo per eliminare la legge 194, ma quasi il 68 per cento dei votanti si dichiarò a favore dell’aborto e la legge non fu modificata. L’approvazione della legge richiese però non pochi compromessi, il più grande concesso dall’articolo 9: l’introduzione dell’obiezione di coscienza.
Cos’è la legge 194 sull’aborto e cosa prevede
La legge 194, dal titolo “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, è una direttiva che innanzitutto tutela la maternità, poi concede l’aborto. In Italia si è tornato a parlare dell’argomento a cavallo dell’elezioni politiche di settembre, e a seguito di un articolo uscito sul giornale britannico Guardian che sottolineava le difficoltà ad applicare la 194 nella regione delle Marche, definite ‘laboratorio’ delle politiche di Fratelli D’Italia, oggi a guida del Paese. Il problema nell’applicazione della direttiva, però, è esteso a tutto il territorio italiano: secondo il ministero della Salute, che ha fornito nel giugno 2022 i dati aggiornati al 2020, la percentuale media di obiezione è pari al 64,4 per cento, dato che raggiunge il 100 per cento in ben 31 strutture sanitarie nazionali. Questo nonostante la legge preveda che tutti i servizi garantiscano l’accesso all’aborto: proprio l’elevata percentuale di obiezione, però, complica la possibilità a molte donne di accedere alla procedura.
Secondo i dati forniti dal ministero della Salute, dall’applicazione della legge il numero degli aborti è diminuito di oltre il 70 per cento: mentre nel 1982 le interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg) furono 234.801 – anno con il numero più alto mai registrato – nel 2020 sono state 66.413. La legge 194 dice che l’interruzione volontaria di gravidanza può essere effettuata con metodo chirurgico, o con metodo farmacologico, entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari. Dopo il primo trimestre è concessa solo nei casi in cui una gravidanza costituisca un grave rischio per la vita della donna, o per la sua salute fisica o psichica. Nell’Ivg chirurgica la procedura viene espletata in ospedale o nelle strutture sanitarie private convenzionate e autorizzate dalle Regioni. Con il metodo farmacologico è richiesta l’assunzione di almeno due principi attivi diversi: prima la RU486 e, a distanza di 48 ore, il Misoprostolo.
Questa procedura, tuttavia, arrivata in Italia solo nel 2009, dopo Francia (1988) e Regno Unito (1990), è ancora poco utilizzata: solo dal 12 agosto 2020, infatti, il ministero della Salute ha aggiornato le linee di indirizzo, annullando l’obbligo di ricovero ospedaliero, estendendo la prescrizione del farmaco a 63 giorni (9 settimane), e permettendo la somministrazione della RU486 in consultorio o in ambulatorio. In Italia – diversamente dagli altri Paesi -, prima di allora, la normativa fissava il limite per l’assunzione della RU486 a sette settimane, decretando il ricovero ordinario fino all’avvenuta espulsione del prodotto del concepimento. Contrariamente dalla determina, diverse regioni hanno preso una posizione contraria alle linee di indirizzo, mentre altre non hanno recepito le direttive ministeriali.
L’effetto delle elezioni politiche sulla legge 194
I consultori, istituiti nel 1975, hanno un ruolo fondamentale nella legge 194. Oltre a offrire sostegno psicologico, tutela e sostegno alla salute della donna, forniscono assistenza nell’interruzione volontaria di gravidanza, con visite, colloqui e certificazioni. Con una presenza minore sul territorio rispetto quanto previsto dalla legge, la maggior parte di queste strutture è oggi svuotata: manca la strumentazione, c’è carenza di personale, non viene rinforzata la rete esistente. Nei consultori, inoltre, la contraccezione dovrebbe essere gratuita, così come previsto sia dalla legge 405 del 1975, che dalla 194 stessa, la quale stabilisce, all’articolo 2, che i consultori devono contribuire “a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza”, informandole sui loro diritti.
Tuttavia, la norma viene applicata solo in Emilia Romagna, Toscana, e Puglia. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, criticata durante la campagna elettorale per le sue posizioni sull’aborto, ha più volte chiarito che non intende abolire, né modificare, la direttiva ma “applicare la legge 194, aggiungere un diritto: se oggi ci sono delle donne che si trovano costrette ad abortire, per esempio perché non hanno soldi per crescere quel bambino, o perché si sentono sole, voglio dare loro la possibilità di fare una scelta diversa, senza nulla togliere a chi vuole fare la scelta dell’aborto”. Meloni fa dunque riferimento all’articolo 2 quando parla di “piena applicazione della 194”. Quello che raccontano però le regioni amministrate dalle forze di centrodestra, mostrano una situazione ben diversa da quella descritta dalla premier. Il caso Marche ne è l’esempio.
La 194 dice che tutti i servizi ospedalieri devono garantire l’interruzione di gravidanza. I veri obiettori sono i direttori sanitari e quelli generali che non applicano la legge.
L’applicazione della legge sull’aborto e il caso Marche
Su ‘Mai dati’, l’inchiesta giornalistica che indaga sulla reale applicazione della 194 in Italia, scritto dalla giornalista e bioeticista Chiara Lalli insieme alla giornalista e informatica Sonia Montegiove, al capitolo Marche si legge che la percentuale media di obiezione per il 2021 è pari al 69 per cento, leggermente inferiore a quella riscontrata negli ultimi dieci anni, pari al 70 per cento, ma poco più alta della media nazionale. Su 17 strutture sanitarie, 12 sono punti per l’interruzione di gravidanza: in una non si pratica l’aborto (Fermo) e nelle altre quattro non ci sono ginecologi non obiettori. Quattro su dodici hanno più dell’80 per cento di ginecologi obiettori. “Le Marche sono il la Regione del centro Italia dove meno si pratica l’aborto farmacologico. Sono al 13 per cento, quando la media nazionale, già molto bassa, è al 24-25”, commenta Marina Toschi, dottoressa ginecologa dell’Aied. Da Perugia una volta ogni tre settimane si reca ad Ascoli, dove esegue interventi d’interruzione di gravidanza all’ospedale Mazzoni.
“La 194 dice che tutti i servizi ospedalieri devono garantire l’interruzione di gravidanza. I veri obiettori sono i direttori sanitari e quelli generali che non applicano la legge e, per esempio, lasciano un ospedale come Fermo senza servizio”. È fuori legge, continua Toschi: lo è la struttura, lo è il direttore, non l’obiettore singolo. Tuttavia, le leggi come la 194 mettono un punto: non riesci a toglierle, ma puoi contrastarle al massimo ed esasperare la situazione, partendo dalla formazione stessa. “Ancona, che è l’Ospedale universitario, non esegue Ivg entro i 90 giorni, li fa fare a Villa Igea”, una casa di cura provinciale, continua Toschi.
È di fatto una fabbrica di produzione di obiettori e di inesperti
“I medici e le ostetriche che si formano in quella sede non possono imparare nulla sull’Ivg, né medica né chirurgica. Non l’hanno mai visto fare. È di fatto una fabbrica di produzione di obiettori e di inesperti”, perché vengono messe in atto una serie di azioni che rendono impossibile la pratica, senza vietarla. “Anche se poi deciderò di essere obiettore, io devo essere formato e informato. Diversamente, non posso dare un buon servizio”. Ma le scelte in sanità sono politica, visto che nonostante l’eccellenza del servizio, dal 31 gennaio 2022 l’Aied dovrà interrompere la propria attività presso Ospedale di Ascoli per la sospensione della Convenzione in atto dal 1981. Una decisione comunicata attraverso una lettera di ringraziamento, “senza prima aver preparato alcun tipo di percorso per il futuro”.
Cosa dicono le istituzioni sulla legge 194 oggi
La regione Marche è tra quelle a non aver recepito le linee d’indirizzo ministeriali emanate nel 2020. Per Filippo Saltamartini, assessore alla sanità, “si tratta di una politicizzazione di un problema molto complesso”, a cui ha risposto proponendo, e ottenendo, lo stanziamento “di un milione di euro per aiutare qualunque donna che per ragione economica decidesse di abortire. Abbiamo cercato non di non applicare la legge, ma addirittura di prevedere delle forme di sostegno alle famiglie. Nelle due province di Fermo e Ascoli il numero di medici che fanno l’obiezione di coscienza è quasi totalitario, quindi abbiamo fatto una convenzione con la sanità privata per esercitare l’interruzione di gravidanza”. Per Saltamartini, la proposta rappresenta “un allargamento del welfare molto interessante. Se riusciamo ad aiutare un solo bambino a nascere nel nostro Paese, penso sia un risultato assolutamente positivo”.
Nel 2021 Manuela Bora, consigliera regionale del Partito Democratico, presenta una mozione per la piena applicazione della 194, che viene respinta. “A settembre – vigilia delle elezioni – a Ciccioli, Saltamartini, alla stessa Giorgia Latini, è arrivato un messaggio della Meloni: non rispondere ai giornalisti, e negare quanto affermato fino a quel momento. In aula è sempre stato detto che la Regione non è costretta a recepire la circolare del ministero, poi ai microfoni di La7 Saltamartini ha dichiarato che se non viene applicata la colpa è dei medici”. L’articolo n.15 della 194 promuove ‘l’aggiornamento sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza’, ed è “evidente che nel ’78 non esisteva l’RU486. Se adesso ho questa possibilità, devo avere il diritto di praticarla”, conclude Bora.
Nel 2015 le Marche sono l’unica regione in Italia a non dare la possibilità d’accedere all’Ivg farmacologica: il consiglio comunale di Senigallia invia una proposta alla giunta regionale per poter espletare l’interruzione di gravidanza anche con il metodo farmacologico. Nel 2016 la proposta viene approvata: si avvia un progetto pilota presso il Distretto 4 di Senigallia, dove si sperimenta un modello assistenziale di interruzione volontaria farmacologica della gravidanza. Per un anno è possibile effettuare l’Ivg farmacologica in integrazione tra consultorio e ospedale: i buoni risultati portano nel 2017 ad estendere questa possibilità fino al 30 settembre 2018, per allargare la sperimentazione presso almeno due Aree vaste e procedere, si legge in un comunicato stampa regionale, ‘alla graduale messa a regime del modello assistenziale su tutto il territorio regionale’. Il trattamento, tuttavia, è riservato solo alle donne residenti in quelle zone.
I dati che non abbiamo
Dice Lalli che per capire com’è attuata la 194 in Italia ci vorrebbero la volontà istituzionale e politica, “perché stiamo parlando senza avere un’idea davvero puntuale e precisa della realtà. Non abbiamo delle informazioni e dei dati aggiornati e dettagliati”. Nella Relazione ministeriale del 2020 ci sono quelli chiusi in medie regionali, ma per avere un’idea reale, sapere cioè se in un presidio sì può, o meno, abortire, servirebbero dati aperti per ogni struttura ospedaliera, ma il “ministero non ha mai risposto”, denuncia Lalli. La non completa applicazione della 194 ha una premessa economica alla base: “Quando l’aborto era clandestino si ricavavano belle somme. I cosiddetti cucchiai d’oro ufficialmente non li facevano, ma a suon di milioni di lire li praticavano piuttosto tranquillamente sottobanco”, spiega Toschi. Questi medici “sono diventati tutti obiettori, l’Italia è piena di belle ville costruite con quei soldi”. L’aborto con la 194 non è una cosa su cui si guadagna, le cliniche in Italia sono tutte convenzionate, “e una prestazione gratuita è una cosa fuori mercato”. Quindi non la trovi. “Il tema vero è che l’aborto medico si può fare in telemedicina, non c’è nessun bisogno del medico per farlo: basta un’ostetrica, una buona organizzazione e un ospedale di riferimento nel raro caso ci siano complicanze”, continua Toschi.
Ma se la medicina procede, “culturalmente è inaccettabile che le donne facciano da sé, quando invece possono andare su internet, comprarsi le pasticche, e fare da sole a casa con l’aiuto di altre”. Per questo “deve tornare a essere nascosto. E clandestino è una colpa, mentre fare un aborto non è una colpa”. C’è una premessa disonesta alla base della legge, “che l’unica ragione per cui la donna vuole abortire è che ha delle difficoltà, non che non vuole avere un figlio o averne un altro”, afferma Lalli. “C’è bisogno di una pianificazione politica e istituzionale diversa e complessiva. Questi sono diritti fondamentali di cui tutti, anche quelli non direttamente toccati, dovrebbero occuparsi”. Ma c’è anche chi, come Saltamartini, crede che l’aborto “non sia un diritto”, o meglio, “non come quelli che conosciamo”.
Questi sono diritti fondamentali di cui tutti, anche quelli non direttamente toccati, dovrebbero occuparsi
Un’altra riflessione che meriterebbe un’attenzione a parte è il problema d’accesso ai servizi da parte delle donne migranti, che scontano differenze linguistiche e culturali: con la femminizzazione dei fenomeni migratori sono aumentate le richieste, ma i servizi di mediazione sono stati ridotti nel tempo e i consultori depotenziati. Il caso Marche è il riassunto di questi 44 anni di 194, ma c’è un altro punto. “Io non voglio avere un figlio”, in Italia abbiamo un problema a dire questa frase?
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