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Tiziano Terzani scriveva questo libro tra 2001 e 2002, immediatamente dopo l’attacco alle Torri Gemelle. Ricordiamo il suo lungo pellegrinaggio di pace che non smette mai di essere attuale.
La prima cosa che fece Tiziano Terzani, giornalista e scrittore scomparso nel 2004, collaboratore di testate importanti come Der Spiegel, Repubblica e Corriere della Sera, all’indomani dell’11 settembre fu scrivere una lettera all’amico e direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli. La intitolò “Una buona occasione” e in essa raccolse le sue considerazioni sull’attacco alle Torri: secondo l’autore, se si fosse cercato di comprendere le ragioni degli altri, anziché rispondere con la forza all’attacco appena subìto, l’umanità avrebbe colto una volta tanto un’importante occasione per crescere e cambiare. La lettera, che venne pubblicata da de Bortoli qualche giorno dopo, restò un appello alla pace isolato ed inascoltato e di lì a poco scoppiò la guerra in Afghanistan.
Da buon giornalista quale era, Terzani, che all’epoca si trovava ad Orsigna con la famiglia per una vacanza, decise che invece di tornare subito in India, sua dimora da tanti anni, avrebbe prima compiuto un viaggio nei teatri di guerra per vedere di persona cosa stava realmente accadendo in quelli che esano stati definiti dai grandi del mondo “stati canaglia”.
Questo libro raccoglie tutte le lettere – alcune sono state pubblicate dal Corriere della Sera, altre no – che l’autore scrisse prima da Orsigna, poi da Firenze, dal Pakistan e dall’Afghanistan ed infine dall’India nell’arco dei quattro mesi successivi allo scoppio del conflitto.
Quanti civili sono morti per vendicare le vittime del World trade center? A quanti giovani musulmani è stato insegnato ad odiare gli occidentali dopo l’inizio dei bombardamenti? Quante volte la verità sulle azioni dei talebani è stata “ritoccata” in Europa e negli Stati Uniti per far apparire il nemico più cattivo e temibile? Questo è quello che il giornalista si domanda.
Quello di Terzani non è solo un affresco sulla miseria, la devastazione e il risentimento che la guerra porta con sé, ma anche una riflessione quantomai attuale su come noi occidentali facciamo fatica a metterci nei panni degli altri, di quanto preferiamo negare ed eliminare la diversità anziché sforzarci di capirne almeno le ragioni, determinando noi stessi quei “mostri” che finiamo poi per combattere ed odiare. Da qui l’esortazione dell’autore a “ostinarsi a pensare con la propria testa e soprattutto a sentire col proprio cuore”.
Dopo più dieci anni l’umanità tenta ancora di risolvere i propri problemi attraverso la guerra. Chissà che cosa avrebbe scritto Terzani della situazione in Siria e nel resto del Medio Oriente…
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