Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale, era al G8 di Genova e a vent’anni di distanza lo racconta in un podcast, Limoni. L’abbiamo intervistata.
Esattamente vent’anni fa, Genova era a ferro e fuoco. Mentre i capi di stato e di governo delle maggiori potenze economiche mondiali dibattevano a Palazzo Ducale, tra le strade, la scuola Diaz e la caserma di Bolzaneto si consumava quella che Amnesty International avrebbe poi descritto come “la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale”. Riassumere cos’è stato il G8 di Genova è impossibile. Poche righe non sono sufficienti per riportare alla memoria la violenza inaudita di quelle lunghissime giornate, ma nemmeno per restituire la complessità dei temi per cui si batteva il Genoa Social Forum, un’amplissima coalizione di formazioni politiche di sinistra, organizzazioni ambientaliste, sindacati, movimenti religiosi. Temi che, a due decenni di distanza, sono ancora di stretta attualità: i rischi connessi alla globalizzazione, le storture del nostro modello di sviluppo, la disuguaglianza economica, lo strapotere delle multinazionali, la finanziarizzazione dell’economia.
La testata Internazionale all’epoca ospitava una rubrica fissa di Naomi Klein e pubblicò la foto del cadavere di Carlo Giuliani in copertina. Oggi al G8 di Genova ha dedicato un postcast, Limoni. Quelli che i manifestanti tenevano nello zaino perché, spremendone il succo sui fazzoletti, si sarebbero protetti dai gas lacrimogeni. La voce narrante è Annalisa Camilli, giornalista che era a manifestare per le strade di Genova e, da allora, non ci è più voluta tornare. L’abbiamo raggiunta per chiederle cosa ha significato per lei confrontarsi un simile spartiacque della storia italiana. E spiegarlo anche ai ragazzi che all’epoca erano troppo piccoli per capire, o addirittura non erano ancora nati.
Una frase che si sente dire nel podcast è che c’è stato un prima e un dopo il G8 di Genova. Perché? Prima sicuramente c’era la consapevolezza dell’importanza del momento che si stava vivendo e anche della possibilità di condividerlo. All’epoca ero una studentessa di vent’anni e la preparazione, l’indecisione fino all’ultimo momento, la scelta di andare, derivano tutte dal fatto che ci si rendeva conto della portata del movimento e dell’appuntamento. Poi per quello che è successo in quei giorni, cioè la violenza massiccia delle forze dell’ordine ma anche la presenza così numerosa dei manifestanti; c’erano 300mila persone in piazza anche dopo la morte di Carlo Giuliani.
Carlo Giuliani, 20 anni fa la morte al G8 di Genova. Aveva 23 anni, era in piazza Alimonda tra i manifestanti, durante gli scontri con le forze dell’ordine, un proiettile lo colpì al volto #archivioANSAhttps://t.co/vGmRQmrTN1
C’è stato un dopo perché quello che è avvenuto in termini di violenza e sospensione dei diritti fondamentali ha segnato un passaggio per tutti. Negli anni successivi c’è stato un intenso attivismo che però è durato appena un paio d’anni, direi fino al Social forum di Firenze, e via via ha esaurito la sua carica. Molti esponenti dei movimenti hanno provato a entrare nelle istituzioni, senza però riuscire a portare le loro istanze.
Genova non sa ancora niente, lenta agonizza, fuoco e rumore,
Ma come quella vita giovane spenta, Genova muore.
Per quanti giorni l’odio colpirà ancora a mani piene.
Genova risponde al porto con l’urlo alto delle sirene.
Francesco Guccini
Oltre al livello politico, c’è stato un prima e un dopo anche a livello personale per il rendersi conto in modo improvviso dell’intensità e del grado della violenza. Dire che sia stata eccezionale fa pensare che quello che si è verificato al G8 di Genova non sia destinato ad accadere mai più, ma purtroppo i video di Santa Maria Capua Vetere ci dimostrano che c’è un lato di ordinarietà. Ad ogni modo, sicuramente a Genova c’è stata una violenza straordinaria; pensiamo all’irruzione nella scuola Diaz o alle incarcerazioni nella caserma di Bolzaneto senza l’autorizzazione di un giudice. Quest’esperienza è stata molto forte per chiunque l’abbia vissuta.
Nel podcast cerchiamo di storicizzare, visto che il G8 di Genova era due mesi prima dell’11 settembre, seguito dalle guerre in Iraq e Afghanistan. La crisi economica del 2008 ha chiuso un passaggio di epoca. Il mondo che viviamo oggi è un’altra fase: alcune questioni che avevamo posto all’epoca sono ancora qui, seppure in una forma diversa.
Proprio in merito alle istanze portate dai movimenti, alcuni in questi giorni affermano: “Avevamo ragione noi”. Condividi questa visione? Le questioni di Genova, in realtà, erano state poste da un decennio. Non so se avevamo ragione noi, mi sembra un po’ semplicistico – e anche consolatorio – fare un bilancio di questo tipo. Sicuramente quel movimento, anche con una dialettica interna molto forte, poneva la questione dei limiti della globalizzazione e dei suoi costi umani e ambientali, cercando di tenere insieme approcci molto diversi, dai più radicali ai più moderati e riformisti. Negli anni successivi abbiamo visto che la globalizzazione ha realmente prodotto gli effetti che venivano annunciati, ma mi sembra semplicistico dire: “Avevamo ragione noi”. Ora siamo in una fase storica molto diversa in cui le questioni sono poste in modo molto diverso. Quel movimento aveva tante ragioni ma si è scontrato con i suoi limiti e non ha avuto la forza di imporle. Con il passare degli anni certi processi si sono radicalizzati.
Quel movimento, come dicevi, ha esaurito ben presto la sua carica. Negli ultimi anni ne sono nati altri di carattere ambientalista, come i Fridays for future ed Extinction Rebellion. Li vedi come figli dei no global o ti sembrano troppo diversi? La questione ambientale veniva posta già da un decennio prima del G8 di Genova; il vertice di Rio de Janeiro è del 1992. In qualche modo è stata assorbita dai governi e dalle grandi multinazionali che addirittura vedono l’economia verde come un’occasione da cogliere. È quasi paradossale, perché quei movimenti criticavano fortemente quel modello economico e di sviluppo, facendone emergere i limiti anche ambientali. I movimenti di oggi mi sembrano più riformisti: non c’è quella forte carica anti-globalizzazione, si chiede piuttosto una riconversione.
La forza del movimento di vent’anni fa, inoltre, era la capacità di tenere insieme molte questioni: l’ambiente, il lavoro, le disuguaglianze erano visti come fortemente interconnessi. Oggi invece assistiamo alla specializzazione delle vertenze. Alcuni temi restano attuali ma, per fare un esempio, non vedo una grande connessione tra il movimento antirazzista di allora, che aveva forti radici nell’attivismo anti-apartheid in Sudafrica, e Black lives matter.
Qual è la difficoltà di spiegare quello che è successo ai ventenni di oggi? Hai ricevuto riscontri da parte loro? Per me è stato del tutto inaspettato. Il direttore di Internazionale, Giovanni de Mauro, ha avuto l’idea di realizzare il podcast perché sentiva la forte esigenza di raccontare il G8 di Genova anche a chi allora non era nemmeno nato. Io la sentivo meno. Considerato che nella vita faccio la giornalista, per me c’era un doppio livello: il primo era quello di cercare la verità, il secondo era quello di tornare indietro, capire che fine hanno fatto certe persone, affrontare una mia ferita personale.
Mi riempie di gioia il fatto che tanti giovani e giovanissimi stiano ascoltando il podcast, lo stiano trovando interessante e si stiano facendo un’idea di cosa è successo a Genova. Mi fa piacere che si stiano appassionando, nonostante la durezza di ciò che raccontiamo. Mi sembra un risultato davvero commovente.
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