
Le sfilate di Milano, Copenhagen e Parigi saranno online, salvo poche eccezioni. La pandemia costringe la moda a ripensarsi, con benefici per l’ambiente.
La sostenibilità è al secondo posto fra le priorità del settore moda, preceduta solo dalla soddisfazione dei clienti. Lo rivela un’indagine dell’Economist.
La sostenibilità scala la classifica e si piazza al secondo posto tra gli obiettivi strategici dell’industria globale della moda, preceduta solo dall’incremento della soddisfazione dei clienti. Lo rivela una recente ricerca dell’Economist intelligence unit per lo U.S. cotton trust protocol – basata su interviste a marchi come Adidas, H&M e Puma – che testimonia un interesse e un impegno crescenti delle aziende del settore nel costruire un futuro sostenibile. Il 60 per cento dei top manager della moda, della vendita al dettaglio e del tessile intervistati ritiene che la svolta green sia un fattore cruciale per la sopravvivenza del proprio business. Di più importante di questo c’è solo la soddisfazione dei clienti, prioritaria per il 64 per cento degli intervistati.
Le misure sostenibili che si prevede di adottare coinvolgono tutta la filiera produttiva, a partire dall’approvvigionamento di materie prime, che per il 65 per cento degli intervistati dovrà essere svolto in maniera sostenibile. Il 51 per cento invece sta lavorando su un approccio basato sull’economia circolare e un altro 51 per cento sulla riduzione dei gas serra. Il 41 per cento poi decide di investire in nuove tecnologie come la stampa 3D e la blockchain. In generale c’è ottimismo sul fatto che la fast fashion possa essere sia accessibile sia sostenibile: è il 70 per cento a pensarlo.
C’è però bisogno di dati, che possano dare la misura delle prestazioni: la raccolta dei dati riguardanti l’azienda e la supply chain è infatti tra le priorità per il 53 per cento dei top manager, seconda solo allo sviluppo e all’implementazione di una strategia di sostenibilità ambientale con target misurabili, posti in cima dal 58 per cento. Guardando al lungo periodo, il 28 per cento degli intervistati ha affermato che la disponibilità di dati affidabili è la chiave per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità nel prossimo decennio. Inoltre, il 73 per cento ha dichiarato di promuovere parametri di riferimento e soglie globali come strumenti efficaci per misurare le performance di sostenibilità e guidare il progresso del settore.
Il 29 per cento degli intervistati ha riscontrato che la mancanza di dati disponibili e facilmente accessibili potrebbe ostacolare il processo di collaborazione verso l’obiettivo della sostenibilità in tutto il settore. Come affermato da alcuni intervistati, “raccogliere informazioni è difficile, ma fondamentale”. I risultati rilevano infatti che per i maggiori marchi di moda, rivenditori e aziende tessili è difficile ottenere dati di buona qualità.
E se da un lato i capi azienda affermano di possederne un buon numero sulle pratiche di sostenibilità dei fornitori (65 per cento), sui diritti dei lavoratori e sulla salute e sicurezza sul lavoro nella catena di fornitura (62 per cento), il 45 per cento delle imprese non tiene traccia delle emissioni di gas serra generate durante la produzione e distribuzione dei prodotti e il 41 per cento non tiene traccia della quantità di acqua ed energia utilizzata per produrre le materie prime di cui si rifornisce.
Non c’è futuro senza collaborazione: la moda, il commercio al dettaglio e il settore tessile non possono ovviamente guidare il cambiamento singolarmente, è necessario che tutto il fashion system lavori all’unisono. Ma secondo gli intervistati, questo sta già accadendo. Se però ci fosse bisogno di aiuti esterni per il percorso verso la sostenibilità, non si ritiene essenziale l’introduzione di un’ulteriore regolamentazione. Ci sono già gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e la regolamentazione governativa, cui è stato attribuito lo stesso peso e che sono citati da un quarto degli intervistati (24 per cento ciascuno).
I requisiti normativi sono stati classificati solo da un terzo dei top manager intervistati tra i primi tre fattori che governeranno il progresso della sostenibilità nel prossimo decennio. E sempre guardando al futuro, quando è stato chiesto agli intervistati il loro punto di vista sulla pandemia di Covid-19, poco più della metà (54 per cento) ha affermato di ritenere che il virus potrebbe rendere la sostenibilità un fattore meno prioritario all’interno del settore.
Le sfilate di Milano, Copenhagen e Parigi saranno online, salvo poche eccezioni. La pandemia costringe la moda a ripensarsi, con benefici per l’ambiente.
Le borse e gli accessori di lusso di Carolina Rocha sono ecologici al 100 per cento e vengono confezionati da artigiane colombiane.
In un momento di “pausa” forzata, anche il settore moda ha capito che deve cambiare: trasparenza, tracciabilità e circolarità sono le parole chiave per tornare a nuova vita.
Brunello Cucinelli, imprenditore e fondatore dell’omonima casa di moda, è l’ospite dell’intervista settimanale che Marco Montemagno dedica alla sostenibilità.
Una lista da salvare con alcuni tra i migliori film sulla moda etica e sostenibile che hanno partecipato al Fashion Film Festival Milano.
I fili di plastica riciclata che escono dalla penna 3D diventano un’opera d’arte indossabile che sensibilizza sul tema della violenza contro le donne.
Lo stilista americano Tommy Hilfiger si è prefissato 24 obiettivi da raggiungere in dieci anni per una moda che “non sprechi nulla e accetti tutti”.
Si chiama Modern artisan la prima collezione di abiti classici e sostenibili realizzata dal principe Carlo per l’e-commerce Yoox net-a-porter.
Il calendario Lavazza 2021 chiede a fotografi, musicisti, designer, poeti e architetti di dare un’interpretazione al concetto di “nuova umanità”. L’intervista alla fashion designer Stella Jean, ambassador del progetto.