Campionato mondiale di calcio femminile, il 2023 è l’anno della svolta?

Come la coppa del mondo di calcio femminile 2023 in Australia e Nuova Zelanda può diventare teatro di molte proteste con prese di posizione importanti.

Con un colpo di testa su un calcio di punizione dalla trequarti, Lineth Cedeño ha permesso alla sua nazionale, Panama, di battere uno a zero il Paraguay e qualificarsi per la nona edizione del mondiale di calcio femminile. Panama è la 32esima – e ultima – squadra che volerà in Australia e Nuova Zelanda, dove dal 20 luglio si terrà la Coppa del mondo. Un torneo che si preannuncia chiave per la storia presente e futura del calcio femminile; perché il movimento è in costante crescita; perché sul piatto ci sono discorsi che partono dallo sport e che arrivano a lotte sociali; e perché la Fifa conferma di essere un’entità piuttosto ambigua, come dimostra la decisione di fare di Visit Saudi Arabia, l’Ente nazionale che promuove il turismo in Arabia Saudita, il main sponsor del torneo. Una scelta che ha già creato molte polemiche, dato che è tristemente nota la condizione di repressione e subalternità agli uomini in cui sono costrette a vivere le donne in Arabia Saudita. Inoltre, esattamente come successo per i mondiali maschili, ospitati dal Qatar a dicembre 2022, tante persone hanno sottolineato come questa scelta dell’Arabia Saudita rientri in un ampio progetto di sportwashing, il cui fine è usare lo sport e i suoi principali eventi per diffondere un’immagine diversa di questi Paesi totalitari; non è un segreto che l’Arabia Saudita abbia messo nel mirino i mondiali maschili del 2030, che vorrebbe ospitare, e quindi mostrarsi al fianco della Fifa anche in quelli femminili può aiutarla a raggiungere il suo scopo.

Panama calcio femminile
Panama si è qualificata per la Coppa del mondo di calcio femminile © Joe Allison – FIFA/FIFA via Getty Images

Cose da sapere sul campionato mondiale di calcio femminile 2023

Il gol di Cedeño, attaccante tra l’altro che gioca in Italia con la Sampdoria, non ha solo un valore simbolico per il suo Paese, che per la prima volta riesce a qualificarsi al mondiale; il suo gol-qualificazione ha fatto di Panama la squadra qualificata numero 32: mai una Coppa del mondo femminile aveva avuto così tanti partecipanti. Segno, questo, di un movimento che a ogni latitudine del globo sta crescendo diventando, in molti casi, il punto di partenza per migliorare la condizione di vita delle donne.

Il primo Mondiale si è giocato nel 1991, in Cina, con appena dodici squadre, il fatto che 32 anni dopo le nazionali partecipanti siano quasi triplicate dice molto sul lungo viaggio del calcio femminile. L’aumento delle partecipanti vuol dire che sono sempre di più i Paesi dotati di un movimento calcistico femminile di livello; più squadre vuol dire anche più partite, e quindi la possibilità di vendere i diritti tv della competizione a prezzi maggiori. Lo sport professionistico moderno, quindi non solo il calcio, fa della vendita dei suoi eventi ai network televisivi la principale fonte di guadagno, e quindi questo fa pensare che la crescita del calcio femminile possa diventare di proporzioni ancora maggiori in futuro. Questo mondiale, tuttavia, non sarà caratterizzato soltanto da dinamiche sportive e agonistiche; a quattro mesi dal via, sono già diversi gli aspetti che connotano questo mondiale di un’aurea superiore rispetto alla pura componente sportiva.

Il tema della parità salariale tra calciatrici e calciatori

Le calciatrici lo chiedono da tempo, non è una novità: “Vogliamo essere pagate quanto i colleghi maschi”, urlano un po’ da ovunque. Questo in termini non solo puramente salariali, ma anche di investimenti: nei servizi e nelle possibilità delle nazionali, certamente, ma anche in generale per quanto riguarda i soldi federali usati per lo sviluppo del calcio femminile. Il caso più eclatante da questo punto di vista riguarda il Canada, campione olimpico in carica e tra le squadre più quotate per la vittoria finale. La nazionale canadese, per bocca della sua capitana Christine Sinclair, ha iniziato una battaglia contro la propria federazione. Le giocatrici accusano i vertici del calcio canadese di trattarle peggio rispetto ai colleghi maschi, pagandole meno e destinando cifre insufficienti per la crescita del movimento, soprattutto se confrontate a quelle degli uomini. Le calciatrici erano arrivate anche a minacciare uno sciopero, rifiutando di allenarsi e mettendo a rischio anche una serie di partite internazionali già in calendario, ma la federazione ha usato il pugno duro, dicendosi pronta ad agire per vie legali contro ogni singola calciatrice, ritenendo la loro decisione di sciopero non supportata dalla legge canadese. A questo punto, per evitare pesanti conseguenze, le calciatrici hanno ritirato lo sciopero; hanno perso una battaglia però, non la guerra.

Qualche giorno dopo infatti erano attese negli Stati Uniti per giocare contro la nazionale americana: tutte le calciatrici sono scese in campo indossando una maglietta viola con la scritta “Enough is enough” (quando è troppo è troppo), portando quindi la loro protesta sotto gli occhi di milioni di persone. Le calciatrici americane, dal canto loro, hanno sposato in pieno la causa delle colleghe canadesi, solidarizzando sia in campo – durante gli inni nazionali – sia poi davanti ai giornalisti. “Faremo di tutto per portare attenzione su ciò per cui stanno combattendo, soprattutto perché meritano di ottenerlo”, ha detto Alex Morgan, una delle calciatrici americane più note e influenti. La nazionale femminile di calcio statunitense, lo scorso maggio, è riuscita a sottoscrivere con la federazione un accordo per raggiungere la parità salariale. Per questo hanno invitato le canadesi a non mollare e a rendere la loro richiesta il più pubblica possibile, così da coinvolgere anche altre realtà e fare pressioni sulla federazione.

Qualche giorno dopo è stato il turno delle calciatrici inglesi, che durante un riscaldamento hanno indossato il viola come segno del proprio sostegno alla causa. E in effetti la strategia ha funzionato, dato che negli scorsi giorni la federazione ha fatto sapere di aver trovato un primo accordo con le calciatrici per aumentare i logo guadagni, inserendo bonus legati sia alle presenze sia ai risultati sportivi ottenuti; questo è solo il primo passo di una trattativa che sarà ancora più ampia e che vedrà sedere allo stesso tavolo sia le calciatrici sia i calciatori canadesi. Un esempio di questo genere denota la tendenza delle calciatrici, a differenza dei colleghi maschi, ad avere un maggior senso di solidarietà reciproca, probabilmente perché accomunate, un po’ ovunque, dalle stesse difficoltà; e ci ricorda che lottare e scioperare per quello in cui si crede può ancora avere un importante impatto.

campo da calcio
Lo sport può fungere da megafono per portare avanti battaglie politiche e sociali © Ronald Martinez/Getty Images

Un’altra nazionale che sta vivendo momenti molto delicata è quella di Haiti, inserita nel gruppo D con Danimarca, Inghilterra e Cina. Da diversi mesi il calcio haitiano è in condizioni precarie a causa di pesanti accuse di abusi e violenze sessuali portate avanti da un folto numero di calciatrici contro alcuni membri della federazione. Una vicenda ancora da chiarire che coinvolge direttamente la Fifa, che aveva indicato la struttura in cui si allena la nazionale, e dove sono avvenute le molestie, a Croix-des-Bouquets, nei pressi di Port-au-Prince (la capitale del Paese) come luogo simbolo del suo impegno per portare il calcio anche nei Paesi più poveri. Su quanto successo e su quali siano le responsabilità della Fifa non vi è ancora limpidezza.

calcio femminile Haiti
Diverse giocatrici haitiane hanno dichiarato di aver subito violenze e abusi da alcuni membri della federazione © Luis Veniegra/SOPA Images/LightRocket via Getty Images

L’ultima nazionale, in ordine temporale, a essere coinvolta in una situazione complicata è la Francia, il Paese dove si è giocata l’ultima Coppa del mondo. La capitana della squadra, considerata tra i migliori difensori al mondo, Wendie Renard, ha comunicato la sua decisione di non prendere parte al Mondiale dicendo di non “essere più in grado di sopportare l’attuale sistema, troppo lontano dai requisiti che dovrebbe avere”. Renard è una giocatrice molto influente, vanta 142 partite in nazionale e infatti, subito dopo la sua decisione, altre due giocatrici francesi Marie-Antoinette Katoto e Kadidiatou Diani, hanno deciso di seguirla. “Devo preservare la mia salute mentale”, ha detto Renard. Secondo i mezzi d’informazione francesi le sue accuse sarebbero rivolte verso la sua allenatrice Corine Diacre, simbolo di tutta la mala gestione della federazione francese. L’Unione nazionale dei calciatori francesi ha definito la scelta di Renard molto coraggiosa, invitando poi la federazione francese ad apportare le necessarie modifiche.

I passi falsi della Fifa

In questo marasma di polemiche e proteste, “la Fifa che fa?”, per dirla con uno slogan da social. Per ora, poco, e quel poco lo sbaglia. Ad esempio, nella scelta degli sponsor e delle personalità da affiancare alla Coppa del mondo.

Prima ancora che si fossero qualificate tutte e 32 le nazionali, la Fifa aveva già annunciato che Visit Saudi Arabia sarebbe stato lo sponsor principale del torneo. Una scelta che ha creato malcontenti un po’ ovunque, sottolineando l’incongruenza tra le condizioni in cui sono costrette a vivere le donne in Arabia Saudita e il fatto che poi quello stesso Paese sponsorizzi un evento di cui sono proprio le donne le protagoniste. La federazione di calcio australiana per prima ha fatto sapere di non essere per niente contenta di questa decisione, lamentandosi del fatto che la Fifa abbia stretto accordi con uno sponsor del genere senza prima comunicarglielo, sottovalutando la portata sociale e politica di questa decisione; ma soprattutto si sono schierate contro la Fifa le realtà che si battono per porre fine a certe ingiustizie, come l’associazione “Human right watch”, la cui presidente, Milky Worden, ha definito questa sponsorizzazione come uno “scioccante disprezzo per la sofferenza che vivono le donne in Arabia Saudita”. La Fifa ha giustificato la sua scelta dicendo che questo è solo il primo passo di una serie di riforme per favorire lo sport al femminile nel Paese del Golfo, eppure l’ombra dello sportwashing e della ricerca di profitti sempre maggiori si continua ad allargare sull’organo che gestisce il calcio mondiale.

E Adriana Lima come ambasciatrice dei mondiali

L’ultima situazione che coinvolge la Fifa e che sta generando molte controversie è la scelta della supermodella e attrice Adriana Lima come ambasciatrice ufficiale dei mondiali. Infantino ha parlato di Lima come di una donna molto appassionata al calcio e un perfetto collante tra gli organi sportivi e i fan di tutto il mondo; qualcun altro, tuttavia, ha intravisto nella scelta l’idea reale del calcio femminile che ha la Fifa, e che quindi va cambiata. Questo è il pensiero di Gen Dohrmann, presidente di Women sport Australia, l’associazione che si batte per proteggere l’uguaglianza di genere nello sport; Dohrmann ha sottolineato che per i mondiali maschili in Qatar sui cartelloni c’erano i giocatori protagonisti del torneo, e non figure esterne, chiedendosi quindi perché non debba essere lo stesso per i mondiali femminili. Come Dohrmann, molti hanno visto nella scelta di Lima come ambasciatrice un grande autogol della Fifa, che a parole cerca di promuovere il concetto di un’uguaglianza che poi viene puntualmente smentita dai fatti.

Insomma, sono veramente tanti i temi sociali, culturali e politici che ruotano attorno ai mondiali. Lo sport, da sempre, può fungere da megafono per chi ha il coraggio di portare avanti battaglie politiche e sociali. Le calciatrici hanno già dimostrato di non avere il timore di far sentire la loro voce, e se quindi uniamo questo alla platea internazionale che offre la Coppa del mondo, possiamo davvero aspettarci un mondiale storico, per una volta non solo per quello che succederà in campo.

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