Daniel Ortega mette a segno il più grande attacco alle ong mai registrato in Nicaragua.
Sale a 5.100 il numero di organizzazioni smantellate negli ultimi anni.
Il governo del Nicaragua ha compiuto quello che a tutti gli effetti pare essere un ulteriore passo verso la repressione degli oppositori del regime di Daniel Ortega, ordinando la chiusura di 1.500 organizzazioni non governative (ong). Questo provvedimento porta il numero totale di ong smantellate a oltre 5.000.
Repressione ininterrotta dal 2018
La repressione contro le ong è iniziata nel 2018, quando il governo ha soffocato con la violenza le proteste antigovernative indirizzate a Daniel Ortega e organizzate dagli studenti. Per Ortega, le rivolte hanno rappresentato un tentativo di colpo di stato orchestrato dagli Stati Uniti con la complicità di settori religiosi. In quell’occasione, più di 300 persone hanno perso la vita durante la brutale repressione delle manifestazioni, secondo le stime delle Nazioni Unite.
Oggi, le accuse formali mosse contro le ong riguardano la mancata dichiarazione dei redditi, ma per molti osservatori esterni si tratta solo di un pretesto per smantellare ogni forma di opposizione. Tra le organizzazioni colpite figurano la Croce Rossa nicaraguense e varie associazioni caritative cattoliche, molte delle quali operavano da anni nel paese con l’obiettivo di fornire assistenza ai più bisognosi. I beni delle ong chiuse saranno sequestrati, privando la società civile di risorse fondamentali.
Il recente annuncio del governo di Managua segna il più grande attacco alle ong mai registrato in Nicaragua, con un totale di oltre 5.100 organizzazioni smantellate negli ultimi anni. La stretta si è ulteriormente inasprita la scorsa settimana con l’approvazione di una nuova norma che obbliga le ong a operare esclusivamente in collaborazione con enti statali, rendendo praticamente impossibile il loro lavoro in modo indipendente. Oltre alle associazioni caritative, nel mirino del governo sono finiti anche club rotariani, associazioni sportive, raggruppamenti di piccoli commercianti e stazioni radio cattoliche.
Lo scorso anno, il governo aveva espulso oltre 300 politici, giornalisti, intellettuali e attivisti, accusati di tradimento. Alla fine del 2023, circa 30 ecclesiastici furono imprigionati e successivamente espulsi dal paese e rimandati in Vaticano. Anche la libertà di stampa è in pericolo: almeno 263 giornalisti sono stati costretti a lasciare il Nicaragua dall’inizio della repressione.
Dopo aver preso parte alla rivoluzione sandinista, Ortega ha guidato il paese come capo della giunta dal 1979 e poi come presidente dal 1985. Dopo aver perso le elezioni nel 1990, è tornato a ricoprire il ruolo di presidente del Nicaragua nel 2007, anno in cui abrogò i limiti del mandato presidenziale. Da allora, Ortega detiene il pieno controllo di tutti i rami dello Stato. Sotto il suo regime, il Nicaragua è diventato un paese sempre più isolato e soggetto a sanzioni internazionali, in particolare da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.
Anche il Venezuela, uno dei pochi alleati rimasti di Ortega, ha approvato la scorsa settimana una legge contro le ong, che secondo i critici verrà utilizzata per reprimere i dissidenti del presidente Nicolas Maduro. Questo segna un inquietante parallelismo tra i due paesi: la Commissione interamericana per i diritti umani ha recentemente sollecitato la fine della repressione e il rilascio immediato di tutti i detenuti incarcerati ingiustamente.
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