
L’ombra di Trump compatta il resto del mondo che fa fronte comune contro i cambiamenti climatici. Nuove promesse di riduzione previste entro la Cop 24 del 2018.
L’economista Nicholas Stern è a Marrakech per partecipare ai lavori della conferenza sul clima (Cop 22). Il suo messaggio è chiaro: “I danni economici sono maggiori delle previsioni”.
A poche settimane dalla conferenza sul clima di Parigi (Cop 21 del 2015) Lord Nicholas Stern dichiarava a LifeGate che l’accordo, poi effettivamente raggiunto, avrebbe potuto risultare “insufficiente” per rispettare la promessa di mantenere l’aumento della temperatura media globale entro i due gradi centigradi. “Raggiungere un accordo è positivo – continuava – ma la vera sfida è metterlo in pratica”. Dopo Parigi, dunque, sarebbe servita “un’accelerazione”.
Oggi, durante i lavori della conferenza sul clima in corso a Marrakech (Cop 22), in Marocco, Stern aggiunge un altro tassello alle sue preoccupazioni sostenendo di aver “sottostimato i rischi”, di aver “sottovalutato i pericoli”. Il riferimento è al celeberrimo Rapporto Stern pubblicato nel 2006 e poi diventato il manifesto sui danni economici causati dai cambiamenti climatici, calcolati sulla base di un eventuale stallo che si sarebbe potuto verificare a livello internazionale nel porre un freno alla minaccia del riscaldamento globale.
Raggiunto a margine di un incontro organizzato dalla London school of economics (Lse), Stern, che ora guida l’istituto di ricerca sui cambiamenti climatici e l’ambiente della Lse, ha fatto il punto sul perché non stiamo facendo abbastanza.
Perché afferma che i dati contenuti nel suo rapporto, che erano già impressionanti dieci anni fa, oggi sono da rivedere al rialzo?
Guardando a questi ultimi dieci anni, successivi alla pubblicazione del Rapporto Stern, e guardando soprattutto di quanto siano aumentate le emissioni di CO2, passate da circa 40 miliardi di tonnellate l’anno alle attuali 50 miliardi di tonnellate, è inevitabile affermare che i pericoli siano aumentati e peggiorati, di pari passo. Ora ci troviamo a un nuovo punto di partenza, ancora più complesso da gestire rispetto a dieci anni fa. Allo stesso tempo la scienza ci ha dimostrato che alcune conseguenze del riscaldamento globale si stanno verificando a una velocità maggiore del previsto e con danni ancor più gravi. Quando avevo previsto che i costi del non fare nulla sarebbero stati maggiori rispetto ai costi dell’azione, probabilmente li avevo sottostimati perché non avevo calcolato i ritardi. E questo gap è ancora più ampio soprattutto perché le innovazioni in campo tecnologico hanno drasticamente abbassato i costi per chi agisce concretamente contro il global warming. Quella che una volta veniva vista come una crescita economica alternativa, ora è inevitabile. Un futuro a basse emissioni di CO2 è l’unica scelta possibile.
Durante un incontro qui alla Cop 22 ha affermato che non dobbiamo avere troppa paura di cosa farà Donald Trump una volta che avrà fatto il suo ingresso alla Casa Bianca. E ha citato il caso opposto del Canada, prima assente con Stephen Harper, e oggi in prima linea grazie al governo di Justin Trudeau. Cosa dobbiamo aspettarci per i prossimi quattro anni?
Penso che dobbiamo cominciare con l’essere ottimisti. Sappiamo che buona parte degli stati, delle città e delle aziende americane si sta muovendo in modo convinto verso un futuro a basse emissioni di CO2 perché ha capito che il futuro è lì. Lì è dove risiede la competitività. E lo vedono chiaramente. Vedremo che politica seguirà Trump, ora si sta concentrando sul potenziamento delle infrastrutture, giustamente dal mio punto di vista. Dobbiamo solo sperare che quelle infrastrutture diventino all’avanguardia, pulite e smart, in grado di fare la differenza. Ecco perché dobbiamo incoraggiare e non giudicare.
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