
Dalla spianata dove sorge la moschea Al-Aqsa è partita la scintilla che ora incendia l’intera regione. Una vecchia storia che si ripete.
In Sud Sudan è in corso un conflitto che sta stremando la popolazione. Ora Amnesty International teme il rischio carestia perché i campi non sono stati ancora seminati.
Leggendo il rapporto di Amnesty International pubblicato l’8 maggio sulla situazione in Sud Sudan si ha una brutta sensazione, come di déjà vu. Sembra di rileggere i primi articoli e i primi rapporti che raccontavano del genocidio che si è verificato in Ruanda tra hutu e tutsi nel 1994.
Nel paese più giovane del mondo, indipendente dal 2011, è in corso da dicembre 2013 un conflitto armato di natura politica che vede contrapposti le forze che sostengono il presidente Salva Kiir e i ribelli guidati dall’ex vicepresidente Riek Machar. Dopo la fine della guerra contro il Sudan che li ha visti uniti e vittoriosi nelle fila dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan, il 15 dicembre Kiir ha destituito il governo in carica e preso il potere. Lo scontro politico si è in poco tempo trasformato in etnico con i dinka (filogovernativi) contrapposti ai nuer (ribelli). Le popolazioni dei due gruppi hanno iniziato a subire violenze da parte dei militari solo per la loro origine etnica.
La denuncia di Amnesty International
Il rapporto di Amnesty International sulla situazione in Sud Sudan è basato su testimonianze dirette e indirette di cento persone di tutti gli schieramenti raccolte durante la missione di ricerca condotta a marzo. Il risultato è spaventoso. Nel paese sono in corso crimini di guerra e crimini contro l’umanità nei confronti di civili che stanno causando migliaia di vittime e hanno costretto un milione di persone a lasciare le loro case.
“Le nostre ricerche hanno rivelato l’inimmaginabile sofferenza di molti civili impossibilitati a scappare dalla crescente spirale di violenza: persone massacrate proprio nei luoghi in cui si erano rifugiate, bambine e donne incinte stuprate, anziani e ammalati uccisi nei letti d’ospedale”, ha detto Michelle Kagari, vicedirettrice di Amnesty International per l’Africa orientale. “Entrambe le parti in conflitto hanno mostrato il totale disprezzo per i più elementari principi del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario”.
Il rischio carestia
Oltre ai crimini contro i civili, una delle conseguenze più gravi del conflitto potrebbe non essersi ancora verificata. Le persone che sono scappate hanno anche abbandonato le terre in uno dei periodi più importanti dell’anno: quello della semina. Se non torneranno entro la stagione delle piogge che renderà le strade impraticabili, la crisi potrebbe trasformarsi in una tragedia sotto forma di carestia. Intanto sia i ribelli che le forze governative bloccano la distribuzione degli aiuti umanitari, come cibo e medicine.
Le Nazioni Unite e l’Unione africana hanno adottato misure per aumentare il dispiegamento di caschi blu della Missione Onu in Sud Sudan (Unmiss) e per aprire una commissione d’inchiesta sui crimini in corso. I tempi però, come spesso accade, sono molto lunghi e gli effetti positivi (se ce ne saranno) potrebbero vedersi solo tra mesi.
È presto per dire se il parallelo tra quello che sta succedendo in Sud Sudan e quello che è successo in Ruanda venti anni fa ha un senso. La speranza è che non ce l’abbia e che la comunità internazionale sia ancora in tempo per agire e fermare quella che ha tutti i presupposti per diventare la più grave tragedia del Ventunesimo secolo.
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