Olio di palma. Alla fine l’Italia firma la dichiarazione per la coltivazione sostenibile

Con l’adesione del ministro Galletti, l’Italia entra nella dichiarazione di Amsterdam insieme a Danimarca, Germania, Olanda, Francia e Regno Unito. Olio di palma, cosa cambia.

Mancava solo l’Italia tra i firmatari della dichiarazione di Amsterdam. Dichiarazione che impegna i Paesi firmatari a promuovere l’impiego di olio di palma sostenibile entro il 2020. Una firma ancora più importante dato che l’Italia è uno dei maggiori importatori in Europa, secondo solo ai Paesi Bassi. La notizia arriva direttamente dal ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, a pochi giorni dall’inizio del G7 Ambiente.

olio di palma
Vista aerea di una piantagione di palma da olio in Malesia. Foto Mpob.

“Grandi aziende nazionali lavorano da tempo con responsabilità, ottenendo anche autorevoli certificazioni, perché il loro approvvigionamento di olio del frutto di palma avvenga in modo sostenibile”, ha dichiarato il ministro in una nota stampa. “Ricordo che questo è stato anche uno degli argomenti più dibattuti del nostro Expo Milano 2015 e che le stesse associazioni ambientaliste sostengono in modo convinto questa battaglia. Con questa firma vogliamo valorizzare un impegno reale per l’ambiente che non può finire nel calderone delle generalizzazioni che danneggiano l’immagine delle aziende e alterano la concorrenza”.

Cos’è la dichiarazione di Amsterdam sull’olio di palma

Fortemente voluta e supportata dal Governo olandese, la dichiarazione di Amsterdam viene redatta il 7 dicembre 2015 e firmata dai maggiori importatori europei. Un impegno formale per spingere il settore privato a raggiungere il 100 per cento di produzione di olio di palma in maniera sostenibile entro il 2020. “Negli ultimi dieci anni la domanda di olii vegetali è cresciuta per più del 5 per cento l’anno”, si legge nel documento. “L’olio di palma è l’olio vegetale più produttivo e più commercializzato in tutto il mondo, e rappresenta circa il 40 per cento di tutti gli olii vegetali commercializzati nel mondo”.

Ciò significa che se la domanda aumenta, aumenterà di conseguenza anche la pressione sugli ambienti dove la palma da olio cresce, ovvero sulla foresta tropicale. Ad oggi la filiera dell’olio di palma è l’unica ad avere delle certificazioni sulla produzione, lavorazione e commercializzazione, al contrario di tutti gli altri olii vegetali, come soia e colza.

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Una piantagione di olio di palma. Foto via Rspo

La posizione di Rspo

L’associazione che riunisce la filiera dell’olio di palma e punta alla sostenibilità della filiera “accoglie con favore la decisione del ministro dell’Ambiente di aderire alla dichiarazione di Amsterdam per l’utilizzo di olio di palma sostenibile. Ad oggi, oltre 2,5 milioni di ettari di coltivazioni di olio di palma sono certificate sostenibili Rspo, per una produzione di 11,8 milioni di tonnellate, pari al 21 per cento del totale”. “L’Italia – ha sottolineato Danielle Morley, european director of outreach and engagement di Rspo –  è infatti uno dei Paesi più importanti in Europa per importazioni di olio di palma, e ospita numerose aziende che hanno fatto dell’approvvigionamento di olio di palma certificato sostenibile un impegno irrinunciabile a favore dei consumatori e dell’ambiente. La presa di posizione del ministro Galletti rappresenta un segnale ulteriore di consapevolezza”.

La posizione di Greenpeace

L’ong ambientalista appoggia l’iniziativa di Rspo, anche se negli anni ne ha criticato il metodo, puntando in particolare sulle lacune della certificazione. A gennaio di quest’anno aveva chiesto ad Hsbc, la più grande banca europea, di non finanziare più “le più distruttive società indonesiane del settore dell’olio di palma”. Secondo Greenpeace “negli ultimi cinque anni, Hsbc ha infatti partecipato a consorzi bancari che hanno prestato circa 16,3 miliardi di dollari, cui vanno aggiunti due miliardi di dollari in obbligazioni, a sei società indonesiane – Bumitama, Goodhope, Ioi, Noble, Posco, Daewoo e Gruppo Salim/Indofood – che producono olio di palma distruggendo vaste aree di foresta pluviale indonesiana, habitat degli oranghi”.

L’appello non è rimasto inascoltato e a febbraio la banca ha pubblicato una nuova politica contro la deforestazione e chiedendo alle società “di impegnarsi a proteggere le foreste torbiere a partire dal 30 giugno 2017, di identificare e proteggere le foreste torbiere che si trovano nei confini di eventuali nuove piantagioni di palma da olio e di assicurare una verifica indipendente del loro impegno contro deforestazione, drenaggio delle torbiere e sfruttamento di lavoratori e comunità locali, a partire dal 31 dicembre 2018”. “Le foreste torbiere indonesiane sono state devastate a una velocità spaventosa e importanti banche internazionali continuano a finanziare questa distruzione”, aveva dichiarato Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia. “L’impegno di Hsbc a rompere i propri legami con le società che producono olio di palma distruggendo le foreste è un esempio che altre banche devono seguire”.

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