
Un nuovo rapporto delle Nazioni Unite spiega che le promesse dei governi sul clima sono ancora del tutto insufficienti.
C’è ancora molto da fare, ma la coalizione del One Planet summit, ii paesi che hanno voglia di fare, ha deciso di mettersi al lavoro perché “stiamo perdendo la battaglia del clima”, ma la guerra è ancora lunga.
Una Cop 23-bis con l’obiettivo di raccogliere finanziamenti per il clima. Più o meno è stato questo il One Planet summit che si è tenuto il 12 dicembre a Parigi, capitale francese, per celebrare i due anni dalla firma dell’Accordo di Parigi, il trattato internazionale sottoscritto dall’intera comunità internazionale (Stati Uniti a parte) il 12 dicembre 2015 per contrastare e arrestare l’avanzamento inesorabile dei cambiamenti climatici causati dal riscaldamento globale. L’Accordo di Parigi, infatti, chiede di arrestare l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi.
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“Quello che si sta verificando è esattamente ciò che la scienza ha predetto – ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres – e i progressi tecnologici hanno svelato le bugie che affermavano che combattere i cambiamenti climatici rappresentava una minaccia all’economia”. Tutte bufale, per Guterres “il green business è good business” perché stanno nascendo “nuove imprese, nuovi mercati, ambienti più salubri. Più occupazione”. Ecco perché il messaggio del One Planet summit è chiaro: “Coloro che non scommettono nell’economia verde vivranno in un futuro grigio”.
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Nell’auditorium alla Seine musicale che ha ospitato la plenaria erano presenti 60 capi di stato e di governo da tutti i continenti. C’era il primo ministro delle isole Figi e presidente della Cop 23 – la conferenza sul clima che si è tenuta a novembre a Bonn, in Germania – Frank Bainimarama, c’erano i primi ministri e presidenti – tra gli altri – di Messico, Grecia, Spagna, Portogallo, Regno Unito, c’era il re del Marocco, c’era il boliviano Evo Morales, c’erano decine di capi di stato e di governo del grande continente africano. C’era, insieme a Guterres, Jim Yong Kim, il medico che presiede la Banca Mondiale dal 2012, l’istituto internazionale in grado di muovere e decidere le politiche economiche di interi gruppi di Paesi.
“Ci sono molte possibilità sul tavolo – ha dichiarato Jim Yong Kim – e dobbiamo lavorare con urgenza unendo la finanza, le organizzazioni multilaterali, i governi per definire accordi concreti. Dobbiamo aumentare le ambizioni dei Paesi e arrivare preparati alla Cop 24 con più risultati così da poter raggiungere l’obiettivo dei 2 gradi e lasciarlo nelle mani dei nostri figli”. Per fare tutto la Banca Mondiale ha affermato di non voler più finanziare programmi incentrati sui combustibili fossili a partire dal 2019.
C’erano gli irriducibili Mike Bloomberg (ex sindaco di New York e fondatore del network di città per il clima C40) e Arnold Schwarzenegger (noto attore ed ex governatore della California) che ha tenuto un discorso davanti a decine di ragazzi, esortandoli a pensare come comunità, come “noi”, e non più come individui, come “io”. C’erano anche il fondatore di Microsoft Bill Gates – che ha anticipato che con la sua fondazione donerà altri 300 milioni di dollari per il clima – e quello del gruppo Virgin Richard Branson. C’erano, infine, l’attore americano Sean Penn e l’attrice francese Marion Cotillard.
Una lista infinita di personalità che fa spiccare ancor di più gli assenti: come immaginabile non c’era il presidente statunitense Donald Trump, al contrario è difficile comprendere l’assenza del primo ministro italiano Paolo Gentiloni e della cancelliera tedesca Angela Merkel. Al posto di Gentiloni, in platea, c’era il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti “impossibilitato” a salire sul palco dei politici visto che il presidente francese Emmanuel Macron aveva rivolto l’invito al summit espressamente a presidenti e premier che avevano voglia di rimboccarsi le maniche per creare una “coalizione”.
Macron ha parlato un sacco. E da padrone di casa ha voluto lanciare un messaggio ai tanti giovani, anche loro invitati, presenti in sala: “Lo dico qui, di fronte ai tanti giovani che sono presenti: stiamo perdendo la battaglia del clima”. Usa la parola battaglia Macron, ma non guerra e cerca di spronare i leader alle sue spalle affinché spingano sull’acceleratore: “Non stiamo andando abbastanza velocemente, è questo il dramma. Di questo passo l’aumento della temperatura sarà di più di 3 gradi” e questo “non serve a nulla”. Gioca sulle coscienze dei leader Macron affermando che “nessuno potrà dire che non lo sapevamo”.
Il presidente della Bolivia Evo Morales, invece, ha voluto affrontare il problema da un altro punto di vista. Non quello delle imprese, non quello dei paesi che crescono a ritmi “industriali”, ma da quello dei paesi che lottano per i diritti fondamentali e contro gli effetti peggiori del riscaldamento globale. “Il sistema economico attuale non è in armonia con lo sviluppo sostenibile e con le risorse che ci mette a disposizione Madre Terra”, ha affermato Morales. “I paesi del sud del mondo sono ancora sfruttati come fossero colonie, senza una compensazione giusta e sono le prime vittime dei cambiamenti climatici” e l’Accordo di Parigi non garantisce loro il trasferimento di denaro e tecnologie.
Secondo Morales, trovare queste risorse nel settore privato è un errore: “Non si può delegare al capitalismo, che è la causa del riscaldamento globale, e ai privati il compito di trovare la soluzione per salvare la Terra. È come se dessimo alla volpe la responsabilità di proteggere il gregge”. Parole chiare e dirette rafforzate da due richieste ben precise: la creazione di un tribunale di giustizia sul clima vincolante e la necessità di dar vita a un nuovo ordine economico mondiale fondato sulla solidarietà.
Il One Planet summit ha chiarito un punto fondamentale. L’economia globale deve cambiare velocemente e radicalmente e per farlo c’è bisogno dell’impegno di ogni sua componente. Delle imprese, che rappresentano il motore dello sviluppo sostenibile; della società civile, che deve dimostrare di aver capito la portata della sfida per le future generazioni; dei leader politici, che in questi vertici hanno una responsabilità enorme: coordinare e adottare politiche lungimiranti che dettino la linea da seguire. E di questi tempi, dominati da messaggi tanto veloci quanto vuoti, questa sembra essere la sfida più difficile in assoluto.
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