Investimenti sostenibili

Tutti gli investimenti sostenibili promessi a Parigi per il clima

Dal One Planet summit di Parigi sono arrivate molte promesse, soprattutto da parte di soggetti privati. Occorrerà verificare, però, che esse si traducano in azioni concrete.

Sono numerose le iniziative annunciate nel corso del One Planet summit, la conferenza organizzata da Francia, Nazioni Unite e Banca Mondiale con l’obiettivo di trovare i finanziamenti necessari per la lotta ai cambiamenti climatici. A cominciare da dodici di promesse, battezzate “Clim’acts”, che spaziano dalla risposta agli eventi meteorologici estremi alla protezione delle risorse naturali, passando per misure di sostegno alla mobilità sostenibile, alla ricerca e e alle iniziative per favorire metodi di produzione ecosostenibili.

Una coalizione di fondi sovraniguidata dalla Norvegia e che comprende anche Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Nuova Zelanda – si è impegnata a lavorare per rendere più “verdi” i propri portafogli. La Francia ha chiesto che almeno il 5 per cento degli investimenti sostenibili di tali fondi sia “compatibile con gli impegni assunti attraverso l’Accordo di Parigi”. Ciò nonostante, come sottolineato dal quotidiano Le Monde, per ora nulla di concreto è stato deciso.

L’impegno di Michael Bloomberg, Bill Gates e Richard Branson 

Al contempo, un gruppo di filantropi, tra i quali Michael Bloomberg, Bill Gates e Richard Branson, si è impegnato ad incrementare il quantitativo di fondi che sono consacrati ad iniziative ambientali (di strada ce n’è parecchia da fare, poiché, ad oggi, la quota è compresa tra il 3 ed il 5 per cento). Gates, in particolare, ha promesso di consacrare fino a 424 milioni di euro ad un programma di ricerca sull’impatto dei cambiamenti climatici sul settore agricolo. Circa cento tra fondi d’investimento e fondi pensione, inoltre, hanno promesso che “verrà garantita trasparenza sugli impatti ecologici dei loro investimenti” e che “sarà elaborata, entro dodici mesi, una strategia collettiva di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra”.

Un pacchetto che però convince solo parzialmente le organizzazioni non governative: “Dal One Planet summit si esce con alcune iniziative interessanti, molte cose riciclate e l’assenza di un impegno forte da parte della politica”, ha commentato Armelle Le Comte, di Oxfam France, sottolineando come manchino misure fiscali e legislative vincolanti. In altre parole, tutto si basa sulla buona volontà dei singoli attori pubblici e privati.

Axa disinvestirà 3,6 miliardi di euro dalle fonti fossili

Come nel caso della compagnia d’assicurazione Axa, che ha annunciato di voler disinvestire circa 3,6 miliardi di euro dalle energie fossili. Il gruppo ha già ritirato 500 milioni di euro dal settore del carbone e ha promesso di non sostenere più alcuna impresa che costruirà nuove centrali o che estragga più di 20 milioni di tonnellate all’anno di tale fonte fossile. Axa si ritirerà inoltre dai business delle sabbie bituminose e delle pipeline associate.

Similmente, il presidente della Banca Mondiale, Jim Yong Ki, ha promesso che non finanzierà più programmi basati sui combustibili fossili a partire dal 2019. Inoltre, nei giorni che hanno preceduto il One Planet summit, quattro ministri francesi – Bruno Le Maire (economia), Nicolas Hulot (Transizione ecologica), Jean-Yves Le Drian (Affari esteri) e Frédérique Vidal (Ricerca) – hanno proposto l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, i cui proventi dovrebbero essere utilizzati per sostenere la lotta ai cambiamenti climatici. Anche in questo caso, però, non si tratta di certo di una novità: da anni undici governi europei hanno avviato negoziati per introdurre il prelievo, attraverso una cooperazione rafforzata. Senza che, però, si sia mai riusciti a trovare un’intesa.

Proposta una tassa europea sui profitti per finanziare la lotta ai cambiamenti climatici

Più innovativa è la proposta giunta da un gruppo di personalità del mondo economico, scientifico e politico, che ha proposto un “patto finanza-clima europeo”. Da un lato, esso si baserebbe sull’introduzione di una tassa europea sui profitti, utile per finanziare la transizione energetica. Dall’altro, su una nuova governance della creazione di moneta da parte della Banca centrale europea.

Nel mirino, c’è il cosiddetto quantitative easing, ovvero la manovra decisa dalla Bce al fine di contrastare la crisi economica, che è consistita nell’iniezione di enormi quantitativi di denaro nelle banche commerciali europee (nella speranza che queste ultime li facessero arrivare a cittadini e imprese, sotto forma di prestiti e investimenti). “La banca centrale – ha spiegato l’economista Pierre Larrouturou – ha messo a disposizione delle banche commerciali circa 2.500 miliardi di dollari a partire dal mese di aprile del 2015. Ma solo l’11 per cento è arrivato all’economia reale. Il resto, è stato utilizzato dagli istituti di credito per operazioni speculative”.

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