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L’Università di Torino riqualifica un’area abbandonata con 50 metri quadrati di orti urbani. Primo passo per una maggiore sostenibilità dell’ateneo piemontese.
“Per prima cosa, bisogna guardare da che parte splende il sole”, racconta un pensionato a un giovane studente illustrandogli quali sono i primi passi da compiere per realizzare un orto. In questo scambio c’è tutto il senso del progetto di orti urbani inaugurato dal dipartimento di Management ed economia dell’Università di Torino, progetto di riqualificazione urbana dedicato alla coltivazione di frutta e verdura, destinato a tutta la comunità universitaria, associazioni, scuole e cittadinanza.
Nato da un’idea del dipartimento di Management con il dipartimento di Scienze economico-sociali e Matematico-statistiche dell’ateneo, in collaborazione con Unito green office – la struttura che coordina le politiche di sostenibilità ambientale dell’Università di Torino – il progetto ha riqualificato un’area esterna abbandonata di 50 metri quadrati per la coltivazione di frutta e ortaggi in cassoni di legno.
Il nuovo orto è stato realizzato grazie al finanziamento di Eit food, iniziativa europea sull’innovazione alimentare, all’interno di un asse progettuale dedicato al concetto di New European Bauhaus: la Commissione europea ha definito in questo modo tutti quei principi che definiscono il green deal come un’esperienza culturale concreta, specie nel processo di ripresa rispetto alla crisi indotta dalla pandemia.
I lavori di realizzazione dell’orto sono iniziati ad agosto 2021. Nel mese di ottobre è stato organizzato un workshop al quale hanno partecipato pensionati e studenti e durante il quale si sono scelte le soluzioni gestionali per lo spazio, le specie vegetali da coltivare e le strategie per favorire lo sviluppo di una comunità attiva e inclusiva. Nel mese di novembre è invece stato organizzato un momento di pulizia degli spazi con il coinvolgimento degli studenti e il personale docente, con lo scopo di avviare simbolicamente la trasformazione della nuova area.
L’attività di pulizia ha permesso di raccogliere, in poche ore, 860 chili di rifiuti. In aggiunta si è deciso di adottare una filosofia di economia circolare: per la realizzazione delle infrastrutture e degli arredi è stato recuperato legno di scarto da segherie locali e da cantieri edili che operano in bioedilizia, che altrimenti sarebbero diventati rifiuti. Il legno che è stato utilizzato per creare il camminamento che attraversa gli orti urbani è stato realizzato grazie al recupero di 22 quintali di traversine ferroviarie in rovere. Le assi per la realizzazione dei cassoni sono composte da legno che è stato recuperato da cantieri edili e da falegnamerie di Torino.
“Sono stati organizzati alcuni momenti di co-progettazione che hanno permesso di raccogliere idee, spunti e per creare uno spazio capace di raccogliere diversi punti di vista e diverse esigenze”, ha spiegato Laura Corazza, professoressa del dipartimento di Management.
“Durante i diversi incontri con anziani che frequentano abitualmente l’area e che sono cresciuti in questo quartiere, si è ricostruita la storia del sito, anche dal punto di vista delle specie arboricole che erano presenti. La scelta delle piante è stata ispirata dai racconti che abbiamo ascoltato e dalle diverse testimonianze di chi è cresciuto in questi spazi. Riprendere le radici storiche nella scelta delle piante è servito a dare un senso di continuità con il passato, riscoprendo una memoria storica importante”.
“L’orto rientra nelle strategie che l’università di Torino ha intrapreso da alcuni anni verso una maggiore sostenibilità dell’ateneo. In particolare questo è avvenuto attraverso la creazione del green office Unitogo e la promozione e collegamento di una pluralità di iniziative nei diversi contesti locali, valorizzando e coltivando saperi, sensibilità e passioni disseminati presso studenti, personale tecnico-amministrativo e docenti”, ha spiegato durante l’inaugurazione Egidio Dansero, vicerettore dell’Università di Torino.
Negli ultimi anni, sono numerose le università che hanno scelto lo strumento degli orti urbani per rendersi più sostenibili. Ad esempio, il Green Office dell’università di Firenze ha avviato nel 2019 un progetto di orti urbani con gli studenti dell’ateneo e una cooperativa che si occupa del reinserimento lavorativo di soggetti appartenenti a categorie svantaggiate.
Oppure la Luiss di Roma, che ha avviato un orto urbano insieme a studenti e dipendenti dell’università già nel 2014: l’#ortoLUISS è stato uno dei primi esempi di questo genere, avviando di fatto un percorso di public engagement, formazione continua e collaborazione civica.
Insomma, gli orti urbani hanno un grande potenziale e non solo per quanto riguarda gli aspetti agricoli. Lo hanno certificato anche i risultati del progetto SustUrbanFoods, coordinato dall’università di Bologna e dedicato a studiare l’impatto dell’agricoltura in città. Con uno spazio compreso tra 10 e 20 metri quadrati si può produrre abbastanza verdura per soddisfare il fabbisogno annuale di una persona. Pur essendo iniziative locali di piccole dimensioni, la diffusione di aree coltivate in città può generare un impatto significativo su economia, società e ambiente: gli orti urbani utilizzano meno acqua delle colture estensive, meno pesticidi e fertilizzanti chimici e si tratta di prodotto di filiera corta, anzi cortissima. I risultati dei piccoli orti domestici sono più che tangibili nel campo dello sviluppo sostenibile.
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