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La pedalata realizzata dalle donne islamiche per le strade di Milano è il sintomo della voglia di cambiamento insieme nel volere l’autonomia che meritano e che nessuno dovrebbe negare. Una domenica “pedalosa”, come hanno scritto sulla pagina Facebook di Progetto Aisha, tra coloro che hanno voluto questa giornata dedicata alla libertà delle donne,
La pedalata realizzata dalle donne islamiche per le strade di Milano è il sintomo della voglia di cambiamento insieme nel volere l’autonomia che meritano e che nessuno dovrebbe negare.
Una domenica “pedalosa”, come hanno scritto sulla pagina Facebook di Progetto Aisha, tra coloro che hanno voluto questa giornata dedicata alla libertà delle donne, proprio in chiusura della settimana in cui cade l’Otto marzo. Una pedalata di circa otto chilometri a cui hanno partecipato tante donne, con o senza velo, come anche quegli uomini d’accordo con le ragioni profonde di questa allegra manifestazione.
Il supporto del sistema di bike sharing milanese BikeMi è stato importante per la riuscita di questa pedalata in rosa. Sono state trasportate un bel numero di biciclette con un rimorchio ma nonostante tutto c’era una lunga lista di richieste.
Ma per quale motivo è nata questa pedalata di protesta?
Qualche settimana fa l’imam della moschea di Segrate ha rilasciato alle telecamere di Striscia la notizia delle dichiarazioni sul fatto che sia meglio che una donna non vada in bicicletta, opinione rilanciata anche da altri intervistati e che ha indignato molte donne musulmane che non ritengono che gli uomini debbano dirle cosa possano fare o meno.
In una intervista video su Repubblica vengono spiegate le ragioni di questa pedalata dalle dirette interessate: “Per rilanciare i diritti delle donne musulmane, contro la violenza e contro la discriminazione delle donne musulmane. (…) C’erano state delle interviste che chiedevano ad alcuni uomini se erano d’accordo o meno sull’utilizzo della bici da parte delle donne, alcuni avevano detto di no…e noi diciamo di sì”. Risposta semplice quanto determinata, se gli uomini hanno qualcosa in contrario che le donne prendano una bicicletta e girino in città è semplicemente un problema loro.
Un’altra donna prova a spiegare perché una parte degli uomini ha questo atteggiamento autoritario e possessivo: “È legato a una questione di mentalità antica, usanze e culture del Paese di origine, ormai nemmeno più nel Paese di origine tantomeno nei Paesi europei dove viviamo”. Insomma il divieto o dissenso per le donne di andare in bici non è legato all’Islam o al Corano ma è una questione culturale che può e deve essere superata, in Italia come in tutto il mondo.
Alla manifestazione di domenica 13 marzo era presente con la sua bicicletta anche Rajae Bezzaz, l’inviata di striscia la Notizia nata a Tripoli da madre marocchina e papà berbero, che ha indirettamente spinto le donne musulmane a farsi sentire con grinta e a mettersi in sella di una bici. Rajae è anche andata a trovare un gruppo di donne che stanno imparando ad andare sulla bici, grazie all’istituto Luigi Cadorna. Una possibilità che sta dando loro maggiore coraggio con un’attività divertente che aumenta la propria sicurezza e l’emancipazione.
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