Diritti umani

Dai bordelli del Bangladesh, le voci delle prostitute costrette nelle prigioni del sesso

I bordelli di Faridpur, in Bangladesh, sono prigioni con porte invisibili dove le donne sono costrette in un circolo di schiavitù ed emarginazione, le cui catene sono difficili da spezzare.

“Anche se non mi trucco abitualmente, mi sono fatta prestare i trucchi da un’amica. Mi sentivo bene oggi e quindi l’ho fatto”. Un sorriso illumina il viso di Tompa mentre si osserva riflessa in un piccolo specchio appeso al muro della sua stanza. “Guadagno circa 3mila taka (31 euro) per una giornata. Mi sveglio presto al mattino, mi faccio una doccia e mi presento ai clienti – sorride leggermente –. Ai clienti piaccio, entrano volentieri nella mia stanza. Vengono qui per un’ora ma restano molto di più”. Tompa è una delle quasi 700 prostitute che vivono all’interno del “Town brothel” e del “C&B Ghat compound”, i due bordelli di Faridpur, centro urbano dell’omonima provincia a poco più di 100 chilometri da Dacca, la capitale del Bangladesh. Tompa dice di avere quasi 22 anni, ma i lineamenti del suo volto e il suo atteggiamento fanno pensare che abbia un’età ben inferiore. “I clienti vengono tutti i giorni. A volte uno, a volte due”. Tompa è giovane e bella, qualità che le permettono di guadagnare anche mille taka, poco più di 10 euro, con un solo cliente.

All’interno del Town brothel, bordello di Faridpur

Il Town brothel si trova nel mezzo del centro cittadino, è nato in epoca coloniale e ha più di cent’anni. È un dedalo di casupole in cemento e tetti in lamiera senza servizi igienici al quale si accede entrando in un vicolo nascosto da un telo di juta ormai lacero. Fra le oscure e anguste viuzze piene di rifiuti in cui frugano gli animali c’è un piccolo mondo fatto di modeste baracche e negozi che vivono dell’indotto del bordello. Giovani donne vestite con sari variopinti cercano di attirare i clienti dall’uscio delle loro stanze, mentre questi ultimi passeggiano fumando o attendendo il loro turno seduti a bere.

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La stanza di Tompa si trova nel punto nevralgico del bordello. Due palazzi di quattro piani dai muri giallastri e sudici che, bucherellati da piccole finestre sbarrate da grate, emergono dal mare di baracche e somigliano più a una prigione. “Sono qui da circa due anni perché il mio compagno mi ha venduta a un protettore per fare soldi – spiega Tompa –. Grossa parte dei miei guadagni devo consegnarla alla mia madame. Chi non consegna la sua quota viene picchiato o rinchiuso in camera senza cibo per giorni”. Il suo racconto sui metodi delle madame, termine usato per indicare le sfruttatrici che sono spesso anziane ex-prostitute, è terribilmente ordinario. Le schiave del sesso dei bordelli bengalesi sono il più delle volte vittime della tratta di esseri umani interna al paese.

La tratta degli esseri umani in Bangladesh

Dei 166 milioni di abitanti del Bangladesh, circa il 24 per cento vive al di sotto della soglia di povertà, spesso persone originarie delle zone rurali, secondo i dati della Banca Mondiale. Ed è proprio su questo sfondo che agiscono i trafficanti, ingannando giovani donne, promettendo loro un lavoro e una vita migliore. Per pochi soldi le ragazze vengono vendute direttamente dai compagni o dalle famiglie con l’acqua alla gola, o in altri casi rapite e drogate perché poi vengano fatte sparire le loro tracce.

In Bangladesh il traffico di esseri umani per il lavoro forzato o lo sfruttamento sessuale sta aumentando. Il paese è stato declassato perché che non sta lavorando bene per contrastare questo crimine, e dichiarato “vulnerabile” dall’Ufficio per il monitoraggio e il contrasto del traffico di persone del dipartimento di Stato Usa nel suo rapporto 2018. Non esistono dati certi sul numero delle vittime, ma molte, soprattutto donne, vengono mandate nei paesi del Golfo, più in generale in Medio Oriente e in Malesia, altre nello stato indiano del Bengala occidentale, e le restanti rimangono all’interno del paese. Il Bangladesh ha inasprito le pene per i trafficanti, introducendo una legge per la prevenzione e la lotta alla tratta di esseri umani (il Psht act) nel 2012. Nonostante siano stati istituiti tribunali speciali, i risultati continuano a essere modesti. Le vittime ogni anno rimangono migliaia a fronte di un solo caso di condanna nei confronti di un trafficante, avvertono le ong e le organizzazioni internazionali.

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Poli è una delle prostitute schiave intrappolate nei bordelli di Faridpur, in Bangladesh © Marco Simoncelli

La vita delle donne intrappolate

“Il problema è che nel sistema del traffico che gestisce i bordelli sono immischiate anche persone importanti e uomini di potere”, afferma Hasina Akter Lovely, avvocatessa che fornisce assistenza legale alle prostitute di Faridpur attraverso l’ong Blast. È ormai chiaro a molti osservatori che la complicità e la corruzione di politici, giudici e poliziotti ha un ruolo importante nel favorire la rete criminale. “Le donne dei bordelli vivono una vita davvero miserabile – aggiunge l’avvocatessa –. Sono in trappola perché ingannate da trafficanti o tradite dai loro cari, e non conoscono i loro diritti. Vengono torturate dalle madame a cui devono pagare il debito del loro acquisto. Come se non bastasse, hanno paura di far sapere della loro condizione alle famiglie e nei villaggi d’origine per via dell’alto rischio di stigmatizzazione ed emarginazione. Finiscono per perdere la speranza e tirarle fuori di lì è davvero difficile”. La prostituzione è infatti vista in maniera estremamente negativa dalla società bengalese. Alle prostitute viene spesso negata la sepoltura e in passato hanno anche subito attacchi da estremisti religiosi.

Un altro grande problema è quello sanitario. Le ragazze spesso non hanno denaro a sufficienza nemmeno per mangiare né tantomeno la possibilità di curarsi, in mancanza di strutture. Per sopravvivere arrivano ad accogliere anche otto clienti al giorno, e così malattie sessualmente trasmissibili, tra cui l’Hiv e l’Aids, dilagano. Al piano terra della palazzina adibita a casa chiusa, la 31enne Poli è intenta a cucinare per i suoi due figli di cinque e due anni. “Sono qui da molto tempo. Mi avevano promesso che avrei fatto la domestica e invece sono finita così. Prima ero sotto a un capo, ora lavoro come indipendente. I pochi soldi che guadagno servono per vitto e alloggio e così non posso pagare nessuno che si occupi dei bambini. Quando se ne vanno in giro accolgo i clienti, oppure li faccio sedere lì…”, dice con un filo di voce indicando uno sgabello fuori dalla porta.

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Tra le prostitute schiave nei bordelli di Faridpur, in Bangladesh © Marco Simoncelli

L’abuso di sostanze per attirare i clienti

Shati ha 20 anni, in braccio tiene il figlio di pochi mesi avuto da un cliente. “Di solito le ragazze si drogano e bevono perché questo le aiuta a fare questo lavoro. Io no, perché non ne ho bisogno, come non uso medicine. Dio mi ha dato un buon fisico e quindi non mi serve”. Nel Town brothel di Faridpur gli spacciatori vendono per lo più marijuana e yaba (pastiglie che contengono un misto di metanfetamina e caffeina, molto diffuse nel Sudest asiatico) alle prostitute e alle madame, ma quando Shati parla di medicinali, allude a un altro prodotto in commercio: l’oradexon. Si tratta dello steroide desametasone utilizzato per curare patologie come artrosi e allergie e, in dosi massicce, anche dagli allevatori per gonfiare il bestiame prima di venderlo sul mercato.

Usato abitualmente, è un metodo veloce ed economico perché il corpo acquisti forma, e quindi per attirare più clienti. Ma è provato che provochi dipendenza e gravi effetti sulla salute, specie al fegato e ai reni. Le madame e i protettori obbligano le ragazze ad assumerlo. In questo modo, i corpi smunti da denutrizione e fatica o quelli di gracili ragazze minorenni non ancora sbocciati si trasformano, per il piacere dei clienti. Nessuna delle lavoratrici intervistate ha dichiarato di assumere l’oradexon, ma tutte hanno affermato di “conoscere molte che lo usano”. Basta osservare i rifiuti del bordello per individuare numerosi blister vuoti.

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Tra le prostitute schiave nei bordelli di Faridpur, in Bangladesh © Marco Simoncelli

Prostituzione al confine tra legalità e sfruttamento

Dal 2000 il Bangladesh è una delle poche nazioni a maggioranza musulmana in cui la prostituzione è legale e secondo diverse stime, attualmente nel paese ci sarebbero tra le 140 e le 180mila lavoratrici del sesso, con un’età tra i 14 e 35 anni. Per legge una donna può prostituirsi solo se maggiorenne e firmando un affidavit in cui dichiara di non riuscire a trovare altra occupazione e di agire di sua spontanea volontà. Dallo stesso anno è in vigore il Repression of women and children act (legge sulla repressione delle donne e dei bambini) che rende illegale la prostituzione minorile e quella forzata con pene severe per clienti e sfruttatori, ma il sistema criminale ha trovato diversi espedienti per eludere le norme.

“È estremamente facile. Le ragazze vengono vendute dai trafficanti a sfruttatori e madame per prezzi tra 200 e mille euro, a seconda di età, bellezza e verginità. Questi poi le obbligano a firmare gli affidavit e corrompono le autorità per farle dichiarare maggiorenni. E il gioco è fatto”, spiega Chanchala Mondol, presidente dell’ong Shapla che lavora con le prostitute di Faridpur e i loro figli. Nel descrivere lo stato mentale delle ragazze l’attivista racconta che lavorano come schiave per ripagare le madame: “Inizialmente sognano di riuscirci per poter tornare libere e rifarsi una vita, ma col tempo cambiano idea”. Alla fine, difficilmente lasciano il bordello una volta pagato il debito e restano come lavoratrici indipendenti affittandosi una stanza. “Pensano di non far più parte della società, di non avere più una vita”, conclude Mondol. Una rassegnazione che emerge in modo brutale nei vicoli e nelle stanze buie del bordello di Faridpur. Una condizione di accettazione che fa a pugni con le decine di bambini senza padre che giocano davanti alle porte del quartiere. E soprattutto, un circolo difficile da spezzare.

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