
L’Agenzia europea per l’ambiente ha valutato le perdite in termini economici e di vite legate agli eventi estremi tra il 1980 e il 2023.
Il 2017 è stato il secondo anno più caldo mai registrato, mentre continua il declino del ghiaccio artico. In 30 anni abbiamo perso una superficie pari a 4 volte quella dell’Italia.
C’è sempre meno ghiaccio nell’Artico. Il 2017 ha infatti fatto registrare l’ennesimo record in negativo: lo scorso marzo, quando la superficie di ghiaccio invernale dovrebbe essere al suo massimo, si è toccato invece il minimo storico, mai osservato da quando vengono eseguite le misurazioni (1979). Se nel 1985 il ghiaccio più vecchio di quattro anni costituiva il 16 per cento del pack, a marzo 2017 era solo lo 0,9 per cento. Oggi il 79 per cento del ghiaccio è quello più giovane, ovvero ghiaccio che si forma nel giro di una stagione.
Cosa significa tutto ciò? Significa che in 30 anni abbiamo perso una superficie grande quasi quattro volte l’Italia. La superficie ghiacciata a marzo è stata inferiore dell’8 per cento rispetto alla media 1981-2010, ferma quindi a 14,42 milioni di chilometri quadrati.
I dati provengono dall’ultimo rapporto Arctic report card, pubblicazione annuale a firma della Noaa, l’amministrazione americana per gli oceani e l’atmosfera, che racchiude il lavoro e le pubblicazioni scientifiche di 85 ricercatori, provenienti da dodici Paesi diversi. “L’Artico non dà alcun segno di poter tornare ad essere la regione ghiacciata di qualche decennio fa”, scrive la Noaa in una nota stampa. “Le temperature in questa regione continuano ad aumentare ad una velocità doppia rispetto all’aumento della temperatura globale”.
Una “nuova normalità”, la definiscono i ricercatori. Infatti secondo gli studi paleoclimatici (Kinnard et al., 2011), l’attuale tasso di declino dei ghiacci marini e di aumento delle temperature osservati, sono più alti che in qualsiasi altro momento negli ultimi 1.500 anni. E ciò va di pari passo all’aumento della concentrazione di CO2 (anidride carbonica) nell’atmosfera e di un conseguente aumento delle temperature medie globali. Aumenti che combaciano con l’inizio della prima rivoluzione industriale.
Did you know: According to the the US National Oceanic and Atmospheric Administration, 75 to 80% of the Arctic’s permanent ice has melted in the last 35 years, mainly as a result of burning #fossilfuels and #deforestation @NOAA #climatechange pic.twitter.com/JMFy1ttcIl
— UN Climate Change (@UNFCCC) 17 gennaio 2018
Il 2017 è stato inoltre il secondo anno in cui si è registrato un valore di temperatura dell’aria più alta della media: +1,6 gradi rispetto al periodo che va dal 1981 al 2010. Anche le acque superficiali sono più calde: nel Mare di Barents e nel mare dei Ciukci le temperature ad agosto 2017 erano più alte rispetto alla media di ben 4 gradi.
Una minore copertura nevosa va ad innescare un processo di feedback (retroazione) che concorre ad accrescere le temperature in maniera più decisa. Questo perché il ghiaccio permette di riflettere parte dei raggi solari e quindi ridurre la quantità di energia che arriva sulla superficie terrestre. Più sole e più caldo significa quindi una crescita del fitoplancton e delle piante marine nei mari artici, tendenza registrata anche nella tundra, con un progressivo scioglimento del permafrost. Alberi e arbusti più grandi, che vanno ad occupare quelli che erano pascoli e tundra.
Il corposo rapporto fa il paio con le ultime conferme rilasciate da Nasa e Noaa: anche senza l’effetto del El Nino, il 2017 è stato il secondo anno più caldo mai registrato. “Le temperature di tutto il pianeta nel loro insieme continuano la rapida tendenza al riscaldamento che abbiamo visto negli ultimi 40 anni”, ha dichiarato il direttore del Giss (Goddard institute for space studies) Gavin Schmidt. “La temperatura media della superficie del pianeta è aumentata di poco più di 1° Celsius nell’ultimo secolo, un cambiamento guidato in gran parte dall’aumento di anidride carbonica e delle altre emissioni rilasciate dall’uomo in atmosfera”.
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