Il docufilm ‘La fattoria dei nostri sogni’ e l’agricoltura delle origini

Arriva in Italia La fattoria dei nostri sogni, il documentario autobiografico che racconta l’impresa visionaria di John e Molly Chester: aprire una fattoria da fiaba, rispettando l’unico equilibrio possibile. Quello con Madre Natura.

I successi più grandi iniziano sempre con le idee più folli. Quella di John e Molly Chester era di lasciare il loro appartamento di Santa Monica per trasferirsi in una grande fattoria di campagna. Ma non una qualsiasi. Una fattoria da fiaba. Un luogo in cui coltivare, allevare e vivere in perfetta armonia con la natura, seguendo i criteri della coltivazione biologica e di una completa sostenibilità ambientale. Un sogno divenuto realtà e che i due hanno personalmente documentato per ben otto anni, dando vita al documentario autobiografico The biggest little farm, diventato un piccolo grande caso cinematografico negli Stati Uniti, dove grazie al passaparola e all’entusiasmo della critica, è passato dalle cinque sale in cui era programmato a conquistarne ben 285. Dal 5 settembre è arrivato anche in Italia con il titolo La fattoria dei nostri sogni, distribuito da Teodora Film.

 

La fattoria dei nostri sogni, la trama

È il 2010. John è un regista e cameraman specializzato in documentari naturalistici. Sua moglie Molly è uno chef privato e una blogger esperta in cucina tradizionale e biologica. Vivono a Santa Monica, in un piccolo appartamento, che da un giorno all’altro diventa rifugio del trovatello Todd. Quando i padroni non ci sono però, il cane non fa altro che abbaiare, costringendo l’amministratore condominiale a presentargli lo sfratto.

Paradossalmente, il problema si trasforma subito in un’inattesa opportunità. Per John e Molly è giunto il momento di provare a buttarsi nel sogno di una vita: lasciare la città per trasferirsi in una grande fattoria. Così parte il passaparola per la ricerca di investitori, che possano aiutarli in quella che, ai più, sembra una “folle impresa”. Per loro fortuna qualcuno, invece, decide di credere in quel sogno e nel giro di qualche mese, la coppia si trova a gestire Apricot Lane, una fattoria che sorge su un terreno in disuso di 200 acri, a un’ora di strada da Los Angeles.

Una vista delle colture di Apricot Lane dall'alto. Estesa su 200 acri di terreno la fattoria ospita 850 animali e 75 varietà di coltivazioni biodinamiche
Una vista delle colture di Apricot Lane dall’alto. Estesa su 200 acri di terreno la fattoria ospita 850 animali e 75 varietà di coltivazioni biodinamiche © The Biggest Little Farm

L’impresa appare subito difficilissima. Il terreno, infatti, è praticamente “morto” e fauna e flora non vi prosperano più da un po’. Da questo momento si entrerà nel vivo della storia, e il documentario, accompagnato dalla voce narrante dello stesso John, ci racconterà, anno per anno (fino al 2018), come i due sono riusciti a trasformare un appezzamento desolato in una rigogliosa fattoria, che oggi ospita circa 850 animali e 75 varietà di coltivazioni biodinamiche e, dal dicembre 2015, anche Beauden, il primo figlio di John e Molly.

Un viaggio straordinario che, come nella più classica delle fiabe, incontrerà grandi ostacoli, ma anche bellissime sorprese e saggi mentori (l’esperto in agricoltura tradizionale Alan York), in grado di aiutare gli “eroi protagonisti” nel loro cammino. Fino allo sperato happy ending, in cui il ciclo vitale di piante, bestiame e fauna selvatica troverà effettivamente un suo equilibrio.

Un momento molto emozionante del film è quando un enorme sciame di api torna a popolare i prati di Apricot Lane, attirato dal rifiorire della vegetazione
Un momento molto emozionante del film è quando un enorme sciame di api torna a popolare i prati di Apricot Lane, attirato dal rifiorire della vegetazione © The Biggest Little Farm

La disarmonia sostenibile

Riattivare un processo vecchio miliardi di anni, partendo dalla rigenerazione del suolo e mirando a un equilibrio favorevole per tutti, attraverso la diversificazione delle colture e degli allevamenti (in controtendenza con le dilaganti monocolture intensive). Questo in sintesi lo sforzo e l’obiettivo raggiunto da John e Molly Chester, che hanno deciso di impostare tutta la loro attività agricola su metodi biodinamici, accettandone le tempistiche e tentando di trasformare ogni problema in opportunità. Un’ennesima follia, a cui riusciamo a credere solo guardandola coi nostri occhi, attraverso le immagini del film.

“Come in un cerchio le cose si genereranno e si sistemeranno da sole” li rassicura all’inizio del documentario il consulente-guru Alan York, convinto che proprio “la diversificazione delle colture sia la chiave di tutto”. Quella che a lungo andare “semplificherà le cose”. E così davvero accade. Anche se ciò significa (inizialmente) accettare che il 70 per cento della frutta sia rovinato da uccelli e insetti, o che li porta a non abbattere tutti i coyote che ammazzano il pollame e a non spruzzare agenti chimici sui limoni, per cacciare via migliaia di lumache. A tutto si troverà un rimedio alternativo, attraverso fatica e sudore, ma soprattutto sfruttando l’intelligenza umana, non per prevaricare sulla natura e sui suoi ritmi, ma andandole incontro, bilanciando le esigenze della fauna selvatica a quelle della fattoria.

Uno sforzo che ad Apricot Lane, oggi meta di turisti di tutto il mondo, ha portato non solo a rigenerare un terreno ma a ricreare un intero meraviglioso habitat, brulicante di vita. Una rigenerazione andata oltre l’agricoltura e che ha richiesto allo stesso John di andare oltre il puro idealismo, accettando talvolta anche dei compromessi. Uno scenario che lui ora definisce una “disarmonia sostenibile”.

pecore apricot lane
Apricot Lane Farms si trova a Moorpark, in California ed è una fattoria tradizionale, basata sull’idea che la biodiversità sia la migliore strategia per coltivare e per allevare il bestiame © The Biggest Little Farm

Un racconto reale ed emozionante

“Abbiamo girato 365 giorni all’anno per quasi otto anni”, racconta il protagonista e regista John Chester. “In questa avventura c’è stata una tensione costante per me tra i bisogni della fattoria e quelli del film. La cosa bella della natura e di una fattoria, in ogni caso, è che hanno dei ritmi propri e si può prevedere in anticipo cosa sta per succedere. Si tratta di osservare e stare lì ad aspettare che accada qualcosa. Questa è ovviamente la formula perfetta per girare un documentario sulla natura, ma è buffo che valga anche per mandare avanti una fattoria: osservare e giocare d’anticipo”. Il risultato cui questa strategia ha portato è un racconto reale, capace di incantare ed emozionare grandi e piccoli, restituendo senza censure (nel bene e nel male) la dimensione fiabesca e talvolta spietata della natura. Un’occasione preziosa per riscoprire la possibilità e la convenienza di vivere, rispettando l’equilibrio del nostro ecosistema.

Jack e Molly Chester
Jack e Molly Chester, per riuscire a realizzare il loro sogno, hanno accolto nella fattoria giovani di tutto il mondo, dando vita a un team straordinario che sposa la loro idea di agricoltura tradizionale © The Biggest Little Farm

Immagini spettacolari da gustare “in grande”

La bellezza della storia raccontata nel film è enfatizzata da una regia attenta e discreta, che ci regala una visione in cui immergersi sullo schermo più grande possibile, insieme a tutta la famiglia.  Alle iniziali riprese casalinghe, più amatoriali e spontanee, seguono sequenze animate e immagini degne dei migliori documentari naturalistici. La mano esperta di John e il suo profondo coinvolgimento nella storia sono il mix vincente del film, dove le viste aeree e i cieli notturni si alternano alle incredibili sequenze al time lapse e al microscopio, che ci permettono di assistere da vicinissimo al miracolo della natura. Dal respiro di una famiglia di porcellini addormentati, al primo volo spiccato da un uccellino dal suo nido. Ma la bravura del regista è stata anche quella di trasformare alcuni degli animali della fattoria in “personaggi”, che diventano i protagonisti di storie buffe e commoventi, come quella dell’amicizia tra un gallo e una scrofa o di un agnellino rimasto orfano.

La scrofa Emma e il gallo Greasy
Uno dei momenti più divertenti del film è quello in cui si documenta l’insolita “amicizia” tra la scrofa Emma e il malconcio gallo Greasy (unto) © The Biggest Little Farm

Una metafora del nostro pianeta

La forza dirompente de La fattoria dei nostri sogni è che tutto il film può essere letto come una grande metafora del nostro pianeta e del nostro tempo. Una storia particolare, di portata universale e piena di speranza, in cui quei 200 acri aridi, trascurati e apparentemente morti di terreno, ci ricordano lo stato in cui abbiamo ridotto la Terra. Uno scenario disarmante che riesce miracolosamente a rifiorire, trasformandosi in un paradiso. Un nuovo eden, da cui ricominciare e in cui  John e Molly, come due novelli Adamo ed Eva, riescono a cambiare il destino della storia, perseverando nell’unica direzione possibile: quella del ritorno alle origini.

Tutt’altro che una favoletta, il racconto non censura le enormi difficoltà e gli imprevisti, talvolta catastrofici, che possono spazzare via anni di lavoro e destabilizzare anche gli animi più tenaci.  Un aspetto messo in chiaro da subito nel film, che apre con un flash forward, mostrandoci una fattoria già avviata, improvvisamente messa a rischio dai terribili incendi che hanno devastato la California. “La vera sfida per me è stata la decisione di filmare anche tutti i problemi che stavamo vivendo e gli errori che abbiamo commesso”, ammette il regista. “Ho dovuto mettere da parte il mio orgoglio ma sono felice del risultato finale, perché il film è molto più credibile e coinvolgente”.

Un film che, in questa fase così critica e cruciale per il nostro pianeta, rappresenta un’autentica iniezione di speranza.

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