![In Kazakistan cresce l’ecoturismo, tra la steppa e le montagne dell’Asia](https://cdn.lifegate.it/4n5r3I7l4oVne9wWsSSlQd1OP7E=/470x315/smart/https://www.lifegate.it/app/uploads/2024/07/kazakistan.jpg, https://cdn.lifegate.it/gLEgAEVR7hIWmzXuPgPfPcFO6c0=/940x630/smart/https://www.lifegate.it/app/uploads/2024/07/kazakistan.jpg 2x)
Aumentano le opportunità per fare esperienze di viaggio eco-friendly in Kazakistan, anche grazie ai nuovi incentivi per lo sviluppo del turismo legato alle comunità locali
La sua vita di grande fotografo, visionario e personaggio cult della pop art, Peter Beard Ha visto con i propri occhi l’inizio della fine dell’Africa
Peter Beard Ha visto con i propri occhi l’inizio della fine dell’Africa vissuta
ed evocata dai nomi Karen Blixen , Ernest Hemingway, George
Adamson: perchè dal 1961, dopo una laurea a Yale e il
trasferimento in Kenya, Beard si divide tra il suo Hog Ranch (a
pochi km da Nairobi) e Long Island, New York, dove ha una galleria
permanente.
I suoi diari fotografici (il primo libro, The End of the Game,
1965, è un classico della letteratura sull’Africa)
documentano il dramma e la bellezza, con la sua terribile poesia,
di un continente che affronta la modernizzazione: l’abbattimento
dei suoi animali, la cattiva gestione dei suoi parchi, la fine
dell”era dell’abbondanza’.
I suoi libri sono insieme un collage di testimonianze dell’Africa
perduta e di immagini composte con ogni sorta di materiale
(fotografia, disegni, china, sangue).
La grande mostra “Oltre la fine del Mondo” (dall’omonimo libro) a
Palazzo Reale, Milano, nel ’97 ha portato dritto al cuore la
denuncia di Beard della decadenza dell’uomo di fronte alla natura,
con i giganteschi pannelli raffiguranti carcasse di elefanti
decorate da simboli del consumismo, grondanti di rosso.
La forza e la bellezza delle immagini di Beard sta nella
verità: “Io esprimo come sento ciò che mi appare
evidente: è fin troppo ovvio quello che sta accadendo. A
meno che non si dia loro un valore commerciale, ormai gli animali
sono spacciati “. Beard lo sa bene : lavoro’ nel ’64 e ’65 nel
parco nazionale Tsavo (Kenya), e di quell’epoca denuncia ancora il
punto di svolta: “Coloro che tentavano di pianificare una gestione
oculata a lungo termine non sono stati ascoltati”.
E oggi “i missionari, le raccolte di fondi, il turismo, le mille
giuste cause… tutta questa pseudo-beneficenza scaturisce dal
grande senso di colpa dell’uomo progredito; eppure tra tanti
benefattori, la gente non vuole sentire risposte serie,
perchè sono piu’ antipatiche e meno sentimentali. Ma gli
africani non riusciranno a gestire la nostra manipolazione della
realtà”.
Impossibile restare indifferenti di fronte all’opera di Beard, lui
stesso opera sua: oggi il sessantenne di eterna avvenenza è
ancora protagonista eccentrico del jet set americano.
Esteta arrabbiato e viveur, firma i suoi autografi immergendo le
dita nell’inchiostro a creare figure dotate di vita propria: in
genere elefanti. E ammonisce : “Non si puo’ giocare con madre
natura, noi siamo artificiali, lontani da essa. Saremo il suo
disastro”. Parola di Beard.
Silvana Olivo
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