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Una società pubblica finlandese ha simulato il recupero di petrolio riversato in mare sotto la calotta glaciale, in condizioni meteorologiche estreme.
“Milioni di litri di greggio si stanno disperdendo sotto la calotta glaciale. Navi speciali lavorano giorno e notte nel tentativo di circoscrivere la fuga di petrolio, ma le condizioni sono proibitive: il freddo dell’inverno, il vento, il buio prolungato, il ghiaccio e la nebbia densa impediscono alle centinaia di uomini e mezzi inviati sul posto di operare alla velocità che sarebbe necessaria. Le ore, nel frattempo, passano, e lo scenario assomiglia sempre più a quello di una catastrofe”.
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Fortunatamente, questa non è la cronaca di un evento realmente accaduto. Ma la minaccia esiste. Ed è per questo che l’impresa pubblica finlandese Arctia ha deciso di verificare concretamente cosa accadrebbe se davvero le sue rompighiaccio fossero chiamate a tentare di recuperare del petrolio al di sotto di un mare artico. “Dovremmo riuscire innanzitutto a separare il petrolio dal ghiaccio – spiega all’agenzia Afp uno specialista a bordo della nave “Atho” – perché di certo non potremmo portare tutto a terra”.
Ancora oggi (nonostante alcune retromarce dovute ai costi delle operazioni e al calo del prezzo del petrolio) numerose compagnie petrolifere trivellano nella regione artica e un incidente non può essere escluso. Ma la minaccia arriva anche dalle numerose petroliere che attraversano l’area: un numero che negli ultimi anni è andato via via crescendo, a causa del riscaldamento globale dell’atmosfera che ha aumentato le zone navigabili.
Al fine di ricreare nel modo più fedele possibile le condizioni del Polo Nord, Arctia ha deciso di effettuare il test nelle acque del mar Baltico. L’area si presta infatti particolarmente bene per questo tipo di esercizio, essendo per metà ricoperta di ghiaccio in inverno. Con 350mila traversate di navi all’anno, tra l’altro, essa stessa potrebbe essere vittima di un disastro.
E se si verificasse qui una fuga di petrolio, le difficoltà non si limiterebbero alle condizioni climatiche estreme, ma anche alla forza delle correnti, alle condizioni del mare e al fatto che nell’oceano artico ci si può trovare anche a giorni di navigazione dai grandi porti settentrionali. La situazione, insomma, potrebbe risultare simile a quella del 24 marzo del 1989, quando l’Alaska venne devastato dall’incidente della petroliera Exxon Valdez, che riversò nel mare 42 milioni di litri di greggio, provocando una delle peggiori catastrofi ambientali della storia.
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