Proprietà intellettuale e startup. La tutela degli asset immateriali spiegata dall’avvocato

Quali sono le regole da seguire per tutelare il patrimonio più prezioso di una startup, i suoi asset immateriali? Risponde l’avvocato Umberto Locatelli.

  • Gli asset immateriali sono il patrimonio più prezioso di una startup. Il sistema di proprietà intellettuale quindi salvaguarda chi innova, anche in chiave sostenibile.
  • Possono essere suddivisi in due grandi famiglie: la proprietà industriale comprende invenzioni (brevetti), marchi, disegni e modelli industriali; i diritti d’autore (copyright) invece riguardano le opere letterarie, artistiche, musicali e architettoniche.
  • I fondatori delle startup dovrebbero occuparsi della proprietà intellettuale prima ancora di lanciare il proprio brand o prodotto sul mercato, per verificare che esso non si sovrapponga a realtà preesistenti.
  • Quando si presenta la propria startup a soggetti terzi (investitori, partner, fornitori), è bene non svelare gli elementi che potrebbero essere oggetto di brevetto. In alternativa, si può chiedere la firma di un non-disclosure agreement (nda).

Il patrimonio più prezioso di una startup non si può toccare né chiudere in una cassaforte. È rappresentato dalle sue invenzioni, dal suo marchio, dagli elementi che è stata capace di portare sul mercato prima di chiunque altro. In sintesi, dai suoi asset immateriali. La legge li tutela, suddividendoli in due grandi famiglie: la proprietà industriale comprende invenzioni (brevetti), marchi, disegni e modelli industriali; i diritti d’autore (copyright) invece riguardano le opere letterarie, artistiche, musicali e architettoniche. Il sistema di proprietà intellettuale, di fatto, salvaguarda chi innova e gli permette di costruire un progetto imprenditoriale. Merita quindi di essere considerato come un volano per la crescita e lo sviluppo, anche in chiave sostenibile.


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Fin qui sembra tutto cristallino ma, quando è il momento di scendere nella pratica, arrivano i primi dubbi. Completamente assorbiti dalla missione di gettare le basi della propria startup, alcuni founder perdono momentaneamente di vista l’esigenza di tutelare i propri asset immateriali, salvo poi accorgersene quando è troppo tardi. Oppure vorrebbero farlo, ma non sanno a chi rivolgersi e sono intimoriti dai costi. O ancora, si precludono delle opportunità – come un pitch davanti a un pubblico di potenziali investitori o la partecipazione a una challenge lanciata da una grande azienda – perché hanno paura di svelare troppo e farsi soffiare il proprio progetto.

Per chiarire questi e altri interrogativi ci siamo rivolti all’avvocato Umberto Locatelli, partner dello studio legale Uno Quattro di Milano, specializzato proprio nel ramo della proprietà intellettuale e profondo conoscitore del mondo delle startup.

Quali sono le esigenze più comuni per cui le startup si rivolgono al suo studio?
Tra le casistiche legate alla protezione degli asset immateriali delle startup, al primo posto c’è la registrazione del marchio, cioè il “biglietto da visita” di un’impresa, rappresentato da una parola, un disegno, la forma di un prodotto, un suono o una combinazione di questi elementi. La validazione della brand identity è uno dei principali motivi che avvicinano le startup al mondo degli asset immateriali.

Tante, però, non si aspettano di dover svolgere un’attività preliminare: semplicemente, creano un brand e vogliono registrarlo. Al contrario, appena si inizia a ragionare su un nome e un logo bisognerebbe procedere con la ricerca di anteriorità, cioè verificare l’esistenza di altri segni anteriori che risultano in conflitto con il marchio oggetto di registrazione e che quindi potrebbero impedire di tutelarlo.

Quale altro consiglio darebbe a una startup che si appresta a depositare il suo marchio?
Siccome si deposita un marchio scegliendo una o più classi merceologiche, consiglierei di guardare al futuro ed estendere la propria ricerca anche alle classi affini a quelle in cui opera la startup. Questo serve sia per valutare una copertura più ampia in caso di futura espansione, sia per verificare l’esistenza di terzi soggetti con nomi similari. Una startup food, per esempio, dovrebbe accertarsi del fatto che non esistano imprese dolciarie che hanno un nome uguale o simile al suo. In sintesi, non bisogna ragionare per compartimenti stagni.

In molte occasioni le startup sono chiamate a presentare la loro idea attraverso pitch, incontri con gli investitori, challenge. Come evitare che qualcun altro se ne appropri in modo indebito?
Quando si trasmettono informazioni riservate a un soggetto terzo, è bene chiedergli di firmare un nda (non-disclosure agreement). Un accordo di riservatezza può prevedere sia l’applicazione di penali in caso di violazioni, sia un patto di non concorrenza con il quale si limita la facoltà del fornitore o del partner si svolgere attività concorrenziali.

In alcuni contesti, però, questo non è possibile: durante un pitch per esempio non si può far firmare un nda a tutto il pubblico! In tal caso, l’ideale sarebbe evitare di diffondere informazioni tecniche su processi relativi ad aspetti innovativi del progetto, cioè quelle che in futuro potrebbero essere tutelate mediante un brevetto. Anche durante le challenge bisognerebbe avere quest’accortezza.

non-disclosure agreement
Quando è necessario divulgare aspetti confidenziali a terzi, è bene chiedere loro di sottoscrivere un non-disclosure agreement (nda) © AndreyPopov/iStock

Ma si possono proteggere le idee?
No, ed è questo il vero problema. Per poterle proteggere, le idee devono essere concretizzate attraverso un’opera artistica come un libro, un film o un progetto architettonico (in tal caso si parla di diritti d’autore o copyright) oppure attraverso invenzioni, marchi, disegni e modelli industriali (che ricadono nella categoria della proprietà industriale).

Quando non c’è la possibilità di brevettare subito la propria invenzione, per motivi economici o perché mancano ancora questi requisiti, la strada da percorrere è sempre quella della riservatezza. Quindi firmare accordi di riservatezza stringenti, prestare attenzione alla durata del vincolo di riservatezza, creare contratti di know-how blindati.

asset immateriali
L’idea, da sola, non è un asset immateriale che può essere tutelato. Lo diventa nel momento in cui viene espressa attraverso un’opera creativa nell’ambito artistico o tecnico © Kvalifik/Unsplash

Ha citato i motivi economici. Quanto costa brevettare un’invenzione? E registrare un marchio?
Ci sono due fattori che incidono sul costo del brevetto: la ricerca della prior art, cioè di altre invenzioni precedenti simili alla propria, e il costo di deposito della domanda di registrazione, italiana o europea.

I costi per la registrazione di un marchio invece sono molto più variabili. In Italia, il costo di base per una singola classe merceologica è di 101 euro, più altri 42 di imposta di bollo; per ogni classe aggiuntiva bisogna spendere altri 34 euro. Per un marchio europeo, invece, il costo di base è di 850 euro; la seconda classe ne costa 50 e le successive 150 ciascuna. A questi importi vanno aggiunti i costi del professionista che cura il deposito, oltre all’eventuale fase di ricerca.

Lo startupper può occuparsi da solo della ricerca di anteriorità, oppure deve rivolgersi a un consulente?
Per quanto riguarda i brevetti, è difficile svolgere in autonomia la ricerca della prior art perché serve un consulente brevettuale, spesso affiancato da un ingegnere.

Per i marchi invece esistono alcuni tool, quindi diventa più facile organizzarsi in autonomia. Bisogna però prestare attenzione a diversi indizi che non sono immediati per chi è digiuno dell’argomento: oltre a verificare se esistono possibili conflitti con altri marchi preesistenti del proprio settore, infatti, conviene anche estendere l’indagine ad altre classi merceologiche.

Insomma, fare da soli significa risparmiare la parcella del consulente ma, dall’altro lato, espone a rischi molto più grossi. Se un domani qualcuno fa opposizione al suo marchio, la startup si trova costretta non solo ad andare alla ricerca di un consulente per difendersi nella fase di opposizione, ma anche a fare rebranding e gettare alle ortiche tutti gli investimenti fatti fino a quel momento.

Ma cosa succede in caso di contestazione?
Per quanto riguarda i marchi, si apre un procedimento di fronte all’ufficio marchi che sta seguendo la pratica di registrazione. La fase di opposizione al marchio è un procedimento in contraddittorio in cui le parti devono portare elementi a sostegno delle proprie tesi per far valere i propri diritti. Se l’ufficio ritiene che un marchio sia in conflitto con un altro preesistente e violi quindi i diritti del titolare anteriore, può disporre la sua cancellazione. In tal caso, l’imprenditore perde i suoi investimenti in marketing, le tasse di registrazione pagate al momento del deposito della domanda e anche i costi legali sostenuti per difendersi.

Una ricerca fatta bene non esclude al 100 per cento i casi di opposizione, ma tipicamente dà un’idea chiara degli eventuali problemi che potrebbero insorgere in case di registrazione. L’imprenditore può decidere di rischiare e andare avanti, oppure di progettare da subito un nuovo brand.

Insomma, rivolgersi subito a un consulente può evitare brutte sorprese in futuro…
Mettiamola così: il founder di una startup deve già pensare a tante cose. Per affrontare anche tematiche che non sono nelle sue corde e che al tempo stesso sono così importanti, come la tutela degli asset immateriali, è meglio che si appoggi a un consulente.

Anche per questo il mio studio ha messo a punto i legal boxes, prodotti legali che racchiudono al loro interno un servizio di assistenza a costo fisso. Questo perché vogliamo facilitare la vita a startup e professionisti, offrendo soluzioni chiare, rapide ed efficaci a esigenze specifiche che per loro sono all’ordine del giorno. Come, appunto, la tutela degli asset immateriali: registrare un marchio, stipulare un nda, trasferire asset dai founder alla società, fare sorveglianza sul marchio e così via. Abbiamo cercato di standardizzare il know-how che abbiamo sviluppato in quindici anni di attività, affiancandogli una parte di assistenza personalizzata.

Tanti hanno paura di chiamare l’avvocato proprio perché non hanno idea di quanto possa costare, ma il nostro mestiere deve anche andare incontro alle esigenze di aziende che nascono con poche risorse, hanno un grande potenziale e meritano di ricevere un’assistenza di ottimo livello.

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