Torture, stupri, desaparecidos e fosse comuni: un mese di proteste in Colombia

Il primo mese di proteste in Colombia è stato caratterizzato dalle brutali violenze di polizia ed esercito, tanto che l’Onu ora ha chiesto un’indagine indipendente.

Le proteste che da fine aprile agitano la Colombia sono ormai sfociate nella vera e propria tragedia umanitaria. I morti tra i manifestanti sarebbero almeno 63, di cui 14 solo nell’ultimo fine settimana a Calì, i feriti sono più di 3mila, gli arresti arbitrari hanno superato quota mille, i desaparecidos sono centinaia e gli stupri per mano della polizia 22. L’Onu ha chiesto un’indagine indipendente sulle violenze in corso messe in atto dalla forze di sicurezza, con la denuncia di ripetuti episodi di tortura. Intanto la distanza tra il governo Duque e le organizzazioni rappresentative dei manifestanti è ancora ampia e un accordo che possa tranquillizzare la situazione appare lontano.

Un mese di violenze e proteste in Colombia

Il popolo colombiano è sceso in piazza a partire dal 28 aprile, dopo che il governo presieduto da Ivan Duque ha annunciato una serie di riforme di stampo neoliberista, tra cui una tributaria e una sanitaria. La Colombia è un paese molto diseguale, dove la ricchezza è in mano a pochi, la povertà tiene in ginocchio la gran parte della popolazione e ci vogliono 11 generazioni perché un colombiano povero possa raggiungere il reddito medio.

Le nuove misure sponsorizzate dal Fondo monetario internazionale rischiavano di esacerbare questa situazione, in un paese dove il Covid-19 ha già lasciato strascichi economici e sociali molto pesanti. Le proteste della prima settimana hanno convinto il premier a fare un passo indietro, ma ormai era troppo tardi perché le ragioni dei manifestanti erano già andate ben oltre a quello specifico pacchetto neo-liberista. 

Nel mirino c’è il governo stesso, la sua incapacità in questi anni di offrire un sostegno ai milioni di cittadini in difficoltà e la sua responsabilità nel peggioramento delle loro condizioni di vita. Ma le proteste hanno finito per autoalimentarsi, dal momento che la brutalità con cui la polizia ha cercato di sedarle è diventata essa stessa una ragione per scendere in piazza. In questo primo mese di proteste sono morte almeno 63 persone secondo le rilevazioni dell’organizzazione non governativa Human rights watch, 2.300 persone risultano ferite, oltre 1.300 hanno subito arresti arbitrari, in centinaia sono scomparsi, 22 persone avrebbero subito stupri e si denunciano altri migliaia di casi di violenze ingiustificate, compresi la tortura. L’ultimo fine settimana è stato particolarmente duro a Cali, uno degli epicentri della protesta, con 14 manifestanti morti e decine di feriti per mano dell’esercito, schierato in città per ordine del governo che ha mandato nell’area circa 7mila soldati.

L’Alta commissaria Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha chiesto un’indagine indipendente sulle violenze operate dalle forze di sicurezza, mentre le organizzazioni per i diritti umani denunciano episodi molto gravi. Si parla di fosse comuni dove sarebbero stati gettati i corpi dei giovani manifestanti morti, ma anche di privati cittadini che sparano e uccidono manifestanti sotto gli occhi passivi della polizia, a volte infiltrati. 

Nessun accordo con i manifestanti

Le manifestazioni non si sono mai fermate in questo mese e il popolo colombiano non ha intenzione di arretrare, almeno fino a quando il governo non darà segno di un cambiamento capace di risollevare realmente il paese. In realtà in queste settimane il premier Duque ha approvato una serie di misure con cui combattere la povertà e la disoccupazione, con incentivi per le imprese che assumono i più giovani e sussidi per le famiglie in difficoltà. Novità non giudicate sufficienti, anche perché nel frattempo proseguono le violenze sui civili delle forze di sicurezza senza che il Parlamento accolga però la destituzione di Diego Molano, il ministro della Difesa che fa loro capo.

Nei giorni scorsi il governo e una delle organizzazioni a capo delle proteste, il National strike committee, avevano raggiunto un pre-accordo che definiva garanzie dei diritti dei manifestanti e l’avvio di un dialogo vero per le riforme economiche. Altre sigle coinvolte nei cortei sono però rimaste escluse, motivo per cui il documento è apparso da subito zoppo, inoltre lo stesso National strike committee ha denunciato che il governo non lo ha più ratificato e sta facendo ostruzionismo. Il motivo è che Duque e i suoi non sono disposti ad ascoltare i manifestanti fino a che questi ultimi non la smetteranno con i blocchi stradali, che in queste settimane hanno paralizzato il paese, causato perdite in termini commerciali per 2,7 miliardi di dollari ma che proprio per questo si stanno rivelando la migliore arma per farsi sentire.

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