Per Cingolani la sicurezza nazionale dipende da due nuovi rigassificatori

Secondo il ministro della Transizione ecologica Cingolani, la sicurezza energetica dipende dai rigassificatori di Piombino e Ravenna. Ma a che prezzo?

Aggiornamento del 25 ottobre.  La Regione Toscana ha deliberato il rilascio dell’autorizzazione al rigassificatore di Piombino. “Ho appena firmato l’autorizzazione all’installazione del rigassificatore nel porto di Piombino. La realizzazione di questa grande opera significa per 60 milioni di italiani abbassare le bollette e ricevere gas senza dipendere dalla Russia” ha spiegato il presidente della Regione Toscana, e commissario per la realizzazione dell’opera, Eugenio Giani.

L’autorizzazione è legata a un memorandum composto da 10 punti, tra cui il finanziamento per completare l’infrastruttura portuale sia per banchina del rigassificatore, sia per le attività locali come pesca, itticoltura e turismo; agevolazioni per almeno il 50% sulle bollette energetiche per imprese e famiglie residenti nei Comuni compresi nell’area di crisi industriale complessa di Piombino; finanziamento di 200 mln di Euro per la rimozione e gestione dei cosiddetti cumuli exsiderurgici abbancati nelle aree pubbliche del SIN (esterne al perimetro del Gruppo JSW Steel); finanziamento di 100 milioni di euro per il parco delle energie rinnovabili per Piombino e la val di Cornia connesso sia ad impianti fotovoltaici ed eolici. Il sindaco di Piombino, Francesco Ferrari, di Fratelli d’Italia ma contrario all’opera, ha annunciato che farà ricorso al Tar.

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La sicurezza nazionale dipende da due rigassificatori. Nella settimana che di fatto chiude la sua esperienza da ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani ha fatto il punto sulle capacità di approvvigionamento energetico dell’Italia, e dove aver spiegato che per l’inverno 2023 dovremmo essere apposto, annuncia che per il futuro prossimo non possiamo stare altrettanto tranquilli. A meno che, appunto, non si acceleri con la rigassificazione del gas naturale liquefatto (gnl) in arrivo dagli Stati Uniti. “Tutti gli altri paesi stanno facendo una cosa simile, tutti stanno spostando il baricentro sul gnl”, dice Cingolani intervenendo ai Green Talks di Rcs Academy. Repower Eu verso l’Unione energetica. “È urgentissimo che dall’inizio dell’anno prossimo ci sia almeno il primo rigassificatore, quello di Piombino da 5 miliardi di metri cubi, ed entro inizio 2024 il secondo”.

gnl lituania
Una nave trasporta gas naturale liquefatto © Paulius Peleckis/Getty Images

Cosa sono i rigassificatori

Intanto, cos’è un rigassificatore. Si tratta di un impianto capace di trasformare il gas naturale liquefatto (gnl) in gas attraverso un processo in più fasi: il gas liquefatto viene trasportato nelle navi a una temperatura di -162°C, necessaria per garantirne lo stato liquido e poi viene riconvertito in gas tramite un processo di riscaldamento controllato, effettuato all’interno di un vaporizzatore. Il riscaldamento avviene facendo passare il gas naturale liquefatto all’interno di tubi immersi in acqua marina, che hanno una temperatura più alta. È per questo motivo che gli impianti si trovano sulla costa o in mare a poca distanza dalla costa (piattaforme offshore).

Quanto manca al nostro Paese

Ad oggi, l’Italia ha sostituto i 29 miliardi di metri cubi l’anno di gas che prendeva dalla Russia con 18 miliardi di gas provenienti da altri Paesi, con il ricorso alle rinnovabili e con la messa a pieno regime delle centrali a carbone. Mancano all’appello ancora 11 miliardi di metri cubi, che sarebbero quasi completamente coperti da due nuovi impianti: di fatto due navi, già acquistate da Snam (il principale operatore europeo nel trasporto e nello stoccaggio di gas naturale) da posizionare al largo di Piombino e di Ravenna e da dismettere dopo 3 anni. Oltre naturalmente ai tre impianti  già attivi a Panigaglia, in provincia di La Spezia, nelle acque di Porto Vigo, in provincia di Rovigo, e al largo di Livorno. Ma allora perché molti, soprattutto ambientalisti e associazioni dei territori interessati, non vogliono queste navi?

Le proteste delle comunità di Piombino 

Il caso più eclatante è quello di Piombino, dove dovrebbe essere collocato il primo dei due nuovi rigassificatori. Secondo i quattro comitati locali che si sono costituiti contro l’opera e hanno attivato anche una petizione su Change.org, vi sono criticità tanto rilevanti da non poter essere accettate. Infatti “i rischi possibili sono molti: centinaia di migliaia di metri cubi di gas liquefatto che, tornato allo stato gassoso, aumenta il proprio volume fino a 600 volte”.

Inoltre la nave “avrà un inevitabile impatto sull’ambiente: lo scambio termico alla base del processo di rigassificazione prevede l’utilizzo dell’acqua di mare e ciò comporterà l’immissione in mare di ingenti quantità di acqua fredda clorata e di schiume in un golfo con scarsa circolazione di correnti, con conseguenze sull’ecosistema e sulla fauna marina”. Infine “ci chiediamo quale possa essere la fascia di sicurezza per il porto di Piombino, considerati gli intensi traffici marittimi e la contiguità della banchina con la terraferma”.

Ma non è solo questo. Le istituzioni vorrebbero infatti realizzare l’opera senza effettuare la consueta valutazione dell’impatto ambientale, che viene fatta a monte di ogni opera, per questioni di urgenza. Inoltre, spiegano i comitati, le navi metaniere che si accostano alle navi rigassificatrici potrebbero interferire con il traffico turistico, come il traghetto d’Elba. E, in ultimo, il rigassificatore potrebbe interferire con attività di itticoltura.

Quanto ci costa il gas liquefatto 

C’è poi la questione economica. E geopolitica. Ed ambientale. Come ricorda l’Istituto per gli studi di politica internazionale, l’Europa dal punto di vista energetico sta spostando sempre più la propria dipendenza dalla Russia agli Stati Uniti, cui proviene e proverrà buona parte del gas liquefatto: l’accordo siglato tra la Commissione europea e la Casa Bianca prevede infatti che l’Europa acquisti almeno 50 miliardi di metri cubi all’anno fino al 2030.

 

Ma a parte il fatto che gli Usa sono stati accusati di estrarre il proprio gas in Alaska ricorrendo al fracking (la controversa pratica di perforare il terreno fino a raggiungere i giacimenti di gas naturale, accusata di inquinare le falde acquifere e creare scosse telluriche), a una maggiore affidabilità del nuovo partner corrisponde anche un prezzo più alto.

Per via del doppio processo di trasformazione dallo stato gassoso a liquido e poi di nuovo da liquido a gassoso, e per il trasporto via nave, il Gnl costa molto di più del gas russo. A dicembre 2021, prima dell’esplosione della bolla del gas, il prezzo del gnl americano era di 415,3 dollari per mille metri cubi di gas, ovvero 34,4 euro per megawattora; quello del gas fornito fa Gazprom attraverso i gasdotti era di 273 dollari, cioè 22 euro per megawattora. Sarà per questo che l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, sempre ieri ha detto che “l’inverno 2023-2024 sarà il più caro”? Allora, posta la necessità di affrancarsi dalla pericolosa dipendenza dalla Russia, perché non investire piuttosto sulle rinnovabili?

Anche perché il costo non è solo economico, c’è anche quello ambientale: secondo un rapporto condotto dal Centro studi Carbon 4 sull’approvvigionamento energetico francese nel 2019, l’impronta di carbonio del gnl è risultato 2,5 volte superiore a quella del gas trasportato tramite gasdotto. Nulla fa pensare che in Italia l’impatto possa essere inferiore. Senza contare che il gas naturale liquefatto, come impatto sull’effetto climatico, non è molto migliore del carbone.

La deadline del 27 ottobre 

Eppure, nonostante le manifestazioni di protesta (l’ultima il 9 ottobre a Piombino), il progetto va avanti: il 13 ottobre si è tenuta

 

una importante riunione tra tutti i ministeri competenti (transizione ecologica, sviluppo economico, infrastrutture), Istituto superiore di Sanità, ministero dello Sviluppo economico, Ispra insieme alla Soprintendenza archeologica belle arti e paesaggio delle province di Pisa e Livorno, l’autorità di bacino e l’ufficio dogane di Livorno.

Quindi il 21 ottobre l’ultima riunione della conferenza dei servizi, e infine entro il 27 Eugenio Giani, contemporaneamente presidente della Regione Toscana e commissario per il rigassificatore, dovrà esprimere il parere finale sull’opera. “Penso che a chiederci questo moralmente sono gli italiani che pagano delle bollette sempre più esose – ha detto ieri Giani, dopo le parole di Cingolani – Imprese che vedono sempre più difficoltà con la crisi energetica che stiamo vivendo, e in generale il buon senso sul fatto che anche l’Italia deve trovare sempre maggiore autosufficienza e le due navi di rigassificazione a Ravenna e a Piombino. Tutti ci rendiamo conto quanto sia importante poterle attivare al più presto”. Il finale, dunque, appare scontato.

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