
Superfood di tendenza, secondo le previsioni l’avocado diventerà il frutto tropicale più commercializzato entro dieci anni. Ma dietro la sua produzione si celano deforestazione, perdita di biodiversità, criminalità e inquinamento.
Un grido d’allarme arriva dagli oceani di tutto il mondo. L’eccessivo sfruttamento di alcune limitate risorse ittiche, l’inquinamento dei mari, la pesca illegale e un mercato frenetico stanno mettendo a dura prova l’equilibrio dell’ecosistema marino.
Nel giro di una sola generazione le principali risorse ittiche
si sono ridotte del 90%. Nonostante i nostri mari offrano centinaia
di specie commestibili, quelle che effettivamente vengono consumate
sono poco più di una decina (tonno, pesce spada, merluzzo,
salmone, gamberi, solo per citarne alcune). Il danno che si crea
è duplice: da una parte si sfrutta eccessivamente un
ristretto numero di specie portandole al collasso, dall’altra il
consumatore si priva della possibilità di acquisire una
più ampia cultura gastronomica e di accrescere il piacere
sulla propria tavola.
Non tutto però è perduto. La soluzione è a
portata di mano e, dato confortante, è proprio nelle mani
del consumatore, che può generare un’inversione di tendenza
con un semplice gesto: modificare la propria lista della spesa,
acquistando specie meno conosciute ma altrettanto gustose.
Normalmente i pesci che si vendono in tranci o bastoncini – tonni,
squali, merluzzi – sono i più acquistati e anche quelli
maggiormente in pericolo. Sarebbe pertanto meglio limitarne al
massimo l’acquisto.
Si devono poi sfatare alcuni luoghi comuni.
Mangiare pesce fa bene alla salute, ma è anche vero che
alcune varietà, come lo spada, il tonno, gli squali, le
anguille, lo sgombro cavalla, possono talvolta contenere sostanze
inquinanti come PCB, diossine o metalli pesanti. I pesci
maggiormente ricchi di grassi “buoni” generalmente noti come
omega-3, sono i piccoli pesci azzurri, come acciughe, sgombri,
sardine ma se si vuole fare il pieno di questi preziosi grassi, si
può anche optare per i semi di lino, semi di girasole, noci
e i rispettivi oli, così come rosmarino, fagioli e salvia.
Infine, non è sempre corretto pensare che il pesce
più costoso sia anche il più pregiato: il prezzo sale
perché ce n’è poco o, in altre parole, ce lo siamo
quasi mangiato tutto! Lasciamoci quindi guidare dal prezzo basso
che, nel caso del pescato, è indice di
sostenibilità.
Un elenco con le indicazioni dettagliate specie per specie è
consultabile all’indirizzo http://www.consumaregiusto.it,
l’utilissima guida per orientarsi verso un consumo sostenibile…
stay tuna!
A cura di Daniele Tibi
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