Sara Roversi. Ecco le innovazioni che ci permetteranno di produrre cibo in maniera sostenibile

Dal 2014 il Future food institute, fondato da Sara Roversi, lavora per favorire lo sviluppo di innovazioni nel settore agroalimentare. Per produrre cibo in maniera sostenibile, ridurre gli sprechi e assicurare la sicurezza alimentare a livello globale.

È una delle grandi sfide del prossimo futuro, quella di assicurare la disponibilità di cibo per tutti e di sviluppare nuove soluzioni perché l’intera filiera diventi sostenibile e in equilibrio con le risorse disponibili. Meno spreco, meno disuguaglianze, più ricerca e più sicurezza alimentare. In un mondo sovrapopolato e dove la maggior parte delle persone vivrà nei grandi agglomerati urbani, produrre cibo in maniera sostenibile sarà una priorità.

Sara Roversi, fin dai primi anni del nuovo millennio, ha lavorato nel settore del food e dell’imprenditoria e negli anni ha sviluppato una particolare sensibilità per ciò che riguarda il futuro del cibo e il cibo del futuro. Nel 2014 fonda il Future food institute con la missione di favorire la nascita e la crescita di giovani imprenditori e food innovator, “responsabili e visionari”, capaci di generare un impatto positivo sulla società, agendo su tutta la filiera agroalimentare. Nel 2016 nasce così il Master food innovation program di cui Sara è direttore esecutivo e che prevede un percorso per mappare le tecnologie critiche per plasmare l’agricoltura, la distribuzione alimentare, la vendita al dettaglio e il consumo di prodotti alimentari. L’abbiamo intervistata.

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Sara Roversi a sinistra, insieme a Matteo Lepore, ex vice sindaco di Bologna e Patrick Romano © Robin Marchant/Getty Images

Dando un’occhiata al suo percorso professionale, lo si potrebbe definire quantomeno vulcanico. E il cibo è stato sempre al centro di questo cammino, fin dalla nascita del più recente Future food institute. Qual è il percorso che l’ha portata a questo punto, ossia “innescare un cambiamento radicale, un impatto positivo a favore della comunità”?
Con mio marito Andrea Magelli siamo imprenditori cosi detti “seriali” e il settore nel quale siamo maggiormente coinvolti è quello del food. Nel 2013 sono stata coinvolta in una missione internazionale per partecipare al G20 della Young entrepreneurs alliance ed in quel contesto per la prima volta, parlando con altri giovani imprenditori provenienti da tutto il mondo ho cominciato ad aprire gli occhi e a comprendere il valore e la responsabilità nel lavorare in questo settore. Il cibo ci sostiene, ci nutre e ci collega gli uni agli altri. Il cibo non è solo un mezzo per costruire relazioni con gli amici e la famiglia, ci connette con le persone attraverso gli oceani, le culture e le economie, in modi sempre più complessi. Questa complessità è tra le maggiori fonti di sfide per l’umanità che le affronta attraverso l’innovazione. Innovazione che non trovavo nel mio contesto, dove parlare di innovazione era ancora qualcosa che “spaventava”. Così abbiamo deciso di cominciare il nostro percorso di scoperta per conoscere chi fossero gli innovatori nel food partendo da trascorrere qualche mese in Silicon Valley per studiare l’ecosistema della Food innovation. Alcuni incontri hanno davvero segnato il nostro cammino: Michiel Bakker, il creatore del Google food lab o Tim West vero “Food Hacker” e tante startup impegnate nel trovare soluzioni per rendere questa industria più sana e sostenibile. Grazie a loro abbiamo guardato il nostro Paese con occhi nuovi, abbiamo capito con quanta stima il mondo guarda all’eccellenza delle nostre filiere produttive, abbiamo scoperto che ci studiano ed abbiamo capito che era necessario facilitare il dialogo tra il mondo dell’innovazione, i talenti globali e le imprese, connettendolo in primis con il nostro territorio ed oggi in una rete davvero globale. È nata così l’idea del Future food institute, una organizzazione che guarda al futuro del cibo senza dimenticare il passato, che dialoga con realtà locali e globali. Solo in questa dimensione di condivisione, che è poi caratteristica del cibo, uno dei più importanti elementi di scambio tra culture, si può arrivare a generare un impatto positivo nelle comunità.

Cambiamenti climatici, eventi estremi, crescita della popolazione e risorse più scarse. Per garantire la sicurezza alimentare ai nove miliardi di individui attesi per il 2050, avremmo bisogno di sforzi titanici, in tutti i settori. Quali sono le sfide più importanti che dovremo superare?
Come nutrire il pianeta, senza distruggerlo, è una delle tematiche più rilevanti del nostro tempo, che nel 2015 con Expo Milano ha trovato in Italia la massima concentrazione di conoscenza condivisa su questo tema. Le sfide a tal proposito riguardano due aspetti correlati tra loro: da un lato il cambiamento di alcune abitudini alimentari da parte dei consumatori, dall’altro il cambiamento delle modalità di produzione e distribuzione nella food chain.

Si pensi al tema delle proteine alternative, visto che il consumo di carne ai ritmi attuali non è più sostenibile. I burger di Beyond Meat ad esempio hanno l’aspetto e il sapore di quelli normali; sanguinano, sfrigolano in padella ma sono al 100 per cento vegetali. Realtà come queste hanno riscosso enorme successo tra i venture capital ed ambiscono ad affermarsi come realtà rilevanti nel settore nei prossimi anni. Ahimi invece, prodotto creato dallo chef James Corwell, che appare nella lista dei 60 masterchef statunitensi, è il primo tonno vegano fatto di pomodori, acqua, salsa di soia, olio di sesamo e zucchero, che ha lo stesso colore rosso di quello vero. Questo futuristico sushi vegetale ci permette di non rinunciare al piacere del palato e di preparare piatti raffinati in un’ottica di sostenibilità ambientale.

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La Green Bronx Machine di Stephen Ritz, ha trasformato le scuole dei quartieri degradati in vere e proprie fattorie nei quali lavorano i più giovani © Future food institute

La Food Innovation Global Mission è stata un’importante iniziativa che ha visto ricercatori di tutto il mondo partecipare alla scoperta delle migliori pratiche e innovazioni nel settore alimentare. Da maggio a luglio avete praticamente girato il mondo. Quali sono state le iniziative che più vi hanno colpito?
La Global Mission, un viaggio di due mesi alla scoperta dei più importanti tech hub di ricerca alimentare di 12 diverse città del mondo, è una parte fondamentale della formazione degli studenti perché è un tuffo nel mondo reale e allo stesso tempo un assaggio di futuro, l’anticipazione di ciò che sarà possibile e di ciò che possono contribuire a costruire. Tra le realtà visitate mi hanno colpita i progetti di agricoltura urbana di New York. Su tutti la Green Bronx Machine di Stephen Ritz, che ha trasformato le scuole dei quartieri degradati in vere e proprie “farm” dove insegnando ad amare e coltivare il cibo sta in realtà crescendo una generazione di cittadini responsabili ed educati alla salute: oggi il progetto di Stephen è adottato da migliaia di scuole.

Coltiveremo sempre di più nelle grandi città, dove tra 10 anni vivranno i 2 terzi della popolazione mondiale. Se colmiamo il deserto alimentare delle periferie disagiate, la qualità della vita migliora. Pensando inoltre al riciclo degli scarti alimentari Dyelicious di Hong Kong è sicuramente una realtà originale che sta cercando di fare la differenza sempre partendo dall’educazione. Gli scarti di frutta e verdura vengono infatti riutilizzati e trasformati in colori per tessuti e oggetti. Dagli avanzi di cipolla, ananas e zenzero ad esempio, è possibile ricavare una bellissima tintura di colore giallo. In Cina, scandali alimentari come intossicazioni alimentari o contaminazioni si verificano su base abbastanza regolare, come l’incidente della melamina nel 2008. Vitargent Biotechnology, sempre ad Hong Kong, è una realtà che mira a rivoluzionare il modo in cui i prodotti vengono testati per le tossine utilizzando embrioni di pesce. Attraverso l’uso di una piattaforma per la sicurezza dei cibi che consumiamo quotidianamente, sono in grado di rilevare oltre un migliaio di tipi di tossine in un periodo di tempo relativamente breve. Gli embrioni di pesce imitano il sistema metabolico umano rendendoli adatti per lo screening di sostanze chimiche dannose. Queste sono solo alcune delle oltre 170 realtà visionate dai nostri ricercatori che appena tornati da questa esperienza si sono subito messi a lavoro, in attesa di presentare i risultati nei prossimi mesi.

Raggiungere la “fame zero” è uno degli Obiettivi di sviluppo del millennio. Per arrivarci dovremmo ridurre gli sprechi alimentari, migliorare la produzione e l’educazione alimentare. Ricerca e tecnologia da sole potranno aiutare a raggiungere questo obiettivo?
Ricerca e tecnologia porteranno al raggiungimento di questo obiettivo solo se avranno in sé due caratteristiche: scalabilità e circolarità. Una delle challenge della nostra Global Mission era proprio dedicata a queste tematiche ossia, Scalable Sustainability & Circular Systems, nell’ottica di un mondo realmente incentrato sulla sostenibilità. Le organizzazioni hanno infatti l’impellente necessità, oltre alla responsabilità etica, di cercare in modo proattivo soluzioni in grado di muoversi verso sistemi più sostenibili. I piccoli e grandi attori internazionali stanno dando il loro contributo dando vita a varie soluzioni che possono essere implementate e integrate. La sostenibilità da sola però non basta. Tali modelli devono essere scalabili e replicabili. Solo queste condizioni potranno garantire il raggiungimento di questo obiettivo. A questo aspetto legato è strettamente legato il tema della circolarità che prevede una drastica diminuzione della produzione di scarti alimentari: bisogna reintrodurli nel sistema produttivo e così restituirgli valore.

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I fondatori di Vitargent Biotechnology di Hong Kong © Future food institute

Lavorando insieme a così tanti “talenti” e “innovatori”, come si sente di definire le nuove generazioni?
I giovani sono i veri protagonisti della “food revolution”. Già oggi spendono in cibo più delle generazioni precedenti e, al tempo stesso, sono più informati su ciò che mangiano e sulla provenienza e la tracciabilità del cibo che consumano. Il loro potere sta nella possibilità di creare nuovi network come il nostro che permettono di condividere idee, buone pratiche e tecnologie a livello globale. Con Food innovation program, le nostre summer school,o gli hackathon abbiamo formato giovani da tutto il mondo che oggi sono i primi ambasciatori del Future food nei loro rispettivi paesi e in prima linea come attori del cambiamento. Siamo felici di sapere che non siamo un caso isolato e che sempre più realtà si muovono in questa direzione. Per citare il nostro motto “Innovation is a cooperative effort”.

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