Il futuro della Siria dopo il terremoto: la crisi nella crisi

Gli effetti del terremoto si fanno sentire soprattutto in Siria, dove tra guerra civile, pandemia e sanzioni, gli aiuti e i soccorsi arrivano poco e male.

  • Nelle province siriane colpite dal terremoto aiuti e soccorsi latitano.
  • Gli Stati Uniti, dopo 5 giorni, hanno annunciato una sospensione delle sanzioni.
  • Intanto la Turchia, nonostante la situazione, non ha rinunciato a colpire il Rojava.

Il Grande Khabur è un fiume che nasce nella Turchia sudorientale, per poi proseguire attraverso la Siria fino a congiungersi con l’Eufrate. Ma di grande, negli ultimi anni, aveva ormai ben poco. Almeno nella parte siriana. A causa di una serie di dighe costruire dalla Turchia, infatti, buona parte delle sue acque viene deviata a scopi di irrigazione e, nella parte siriana, il Khabur è ormai ridotto a un wadi, un letto prosciugato. Il tremendo terremoto che ha colpito l’Anatolia nella notte di lunedì ha avuto un effetto collaterale: ha distrutto alcune di queste dighe e l’acqua è tornata a scorrere, per la prima volta dal 2015.

È forse l’unica buona notizia che arriva da lunedì a questa parte dalla zona della Siria colpita dalla Turchia, che già prima della guerra soffriva delle pesanti ricadute derivanti da 12 anni di guerra civile a tutto campo. Al punto che dei 12 milioni di abitanti della aree colpite del sud-est della Turchia, due milioni sono rifugiati siriani che già prima del sisma vivevano per lo più in tende e strutture di fortuna nei campi su entrambi i lati del confine. Nelle aree colpite della Siria nordoccidentale, invece, vivono circa 4,6 milioni di persone. Per buona parte di etnia curda, vessata e perseguitata.

È proprio la parte orientale del confine turco-siriano, al di là del numero delle vittime, che ad oggi è salito ufficialmente a 21mila, quella che sta soffrendo i maggiori ritardi nei soccorsi, e che probabilmente soffrirà altrettanto in fase di ricostruzione.

Dall’Onu aiuti per 43mila persone su 285mila

Il World food program, l’agenzia Onu per la sicurezza alimentare, ha annunciato finora la consegna di una prima parte di aiuti alimentari in Siria, per 43 mila persone. Ma nella stessa nota il Wfp parla però di 285 mila nuovi sfollati, proprio a distinguere con quelli pre-esistenti: in pratica, dopo 5 giorni sono stati raggiunti dagli aiuti più o meno il 20 per cento di coloro che ne avrebbero davvero bisogno.

In particolare, nella Siria nordoccidentale, circa 23.850 persone colpite hanno ricevuto razioni alimentari pronte all’uso per una settimana. Ad Aleppo, cinquemila persone colpite hanno ricevuto razioni alimentari pronte all’uso attraverso i partner, seimila persone hanno ricevuto pasti caldi per il quarto giorno consecutivo e quattromila bambini hanno ricevuto panini nei rifugi temporanei nelle ultime 48 ore. Nei governatorati di Tartous e Lattakia, sulla costa, 1.500 persone colpite hanno ricevuto razioni pronte all’uso e sono stati distribuiti panini per 1.650 persone nei rifugi temporanei.  Ad Hama, il Wfp ha distribuito razioni pronte all’uso a 1.020 sfollati per una settimana.

E poi basta, o quasi. Mentre in Turchia arrivano copiosi gli aiuti alimentari, monetari e squadre di soccorso sono arrivate nell’immediatezza da ben 18 paesi, compresa l’Italia, in Siria la situazione è ben diversa: a pesare è soprattutto l’embargo finanziario a cui Stati Uniti ed Unione Europea hanno sottoposto il regime di Damasco di Bashar al-Assad.

Terremoto in Siria
Rifugiati siriani nel campo di Zaatari, in Giordania © Jeff J Mitchell/Getty Images

La Siria è un paese diviso in tre parti

Solamente oggi, accogliendo le richieste proveniente dalla società civile di tutto il mondo, il dipartimento del Tesoro degli Usa ha sospeso per 6 mesi le sanzioni, per consentire il passaggio dei soccorsi, destinando aiuti per 85 milioni di dollari tra Turchia e Siria. “Le sanzioni statunitensi in Siria non ostacoleranno gli sforzi per salvare le vite del popolo siriano. Il Tesoro sta rilasciando una licenza generale per autorizzare i soccorsi in caso di terremoto in modo che coloro che forniscono assistenza possano concentrarsi su ciò di cui c’è più bisogno: salvare vite e ricostruire” ha dichiarato in una nota il vice segretario al Tesoro Wally Adeyemo.

Finora però non è stato così. La Siria, paese dove dal 2011 è in atto una terribile guerra civile che ha costretto quasi 15 milioni di persone a lasciare le proprie case. In questi anni Assad non ha esitato ad usare gas letali e bombardamenti contro la sua stessa popolazione, è infatti oggi divisa in tre parti: quella controllata dal regime; la zona del Rojava, una repubblica democratica autogestita dai curdi; infine la zona di Idlib dove c’è ancora una presenza di cellule terroristiche di Al Qaeda e dell’Isis. “La zona di Aleppo e di Idlib, che non è sotto il governo delle forze di Assad, è stata quella più colpita – spiega dalla Turchia Enrico La Forgia, giornalista esperto di Siria di Medio Oriente, vicedirettore della testata di geopolitica Lo Spiegone – Damasco invece, controllata dal regime, ha subito qualche scossa ma non ci sono state perdite”.

Eppure “finora né gli Stati Uniti né l’Europa avevano deciso di rimuovere le sanzioni nelle aree che non sono sotto il controllo di Assad che –  Il governo invece ha gli aiuti delle Nazioni Unite (quelli del World Food programme, appunto, ndr), e di diverse organizzazioni non governative, come la Mezzaluna Rossa, equivalente musulmano della nostra Croce Rossa, o la Croce Rossa del Kurdistan, la Chiesa evangelica di Aleppo”. Tante le raccolte fondi che sono state subito aperte, ma non tutto è filato liscio: “Hanno avuto problemi a ricevere le donazioni, perché non partono i bonifici per via dei blocchi bancari”, del tutto simili a quelli che l’Europa ha imposto alla Russia di Putin.

Anche in Italia nei giorni scorsi si è aperto il dibattito: aiutare o non aiutare direttamente il regime di Assad, in lotta con i ribelli e autore di gravi persecuzioni nei confronti della minoranza curda? Laura Boldrini, ex portavoce dell’Unhcr, aveva invitato l’Italia a trovare canali alternativi per dar arrivare gli aiuti necessari bypassando Damasco. E per il Pd, lo stesso partito di cui fa parte, togliere le sanzioni è una soluzione improponibile. Secondo La Forgia un modo per far arrivare gli aiuti senza farli cadere nelle mani di Assad ci sarebbe: “Si potrebbero usare le basi aeree statunitensi, passando per l’Iraq con gli elicotteri, o con i mezzi di terra. Ma questo richiedere giorni per organizzare la logistica, e potrebbe comportare l’aumento delle vittime”.

Sulla Siria, è come sparare sulla Croce Rossa 

C’è poi, non ultimo, il mai sopito conflitto nel Rojava, la porzione di territorio curdo rivendicato dalla Turchia, che dal 2019 porta avanti attacchi via aerea su obiettivi civili e militari. La Forgia racconta che la situazione venutasi a creare con il terremoto “non ha impedito all’esercito turco e alle milizie alleate di condurre operazioni militari in questi giorni. A Tall Rifaat, cittadina proprio lungo il confine, nella notte tra il 6 e il 7 febbraio e di nuovo nel corso della giornata ci sono stati attacchi di artiglieria e droni, e diverse operazioni nelle stesse aree già bombardate negli scorsi mesi per la costruzione del corridoio di sicurezza di 30 chilometri”, la scusa con la quale la Turchia dal 2019 cerca di espandersi a est. Operazioni, chiosa La Forgia, che significano letteralmente “sparare sulla croce rossa”.

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