
Attraverso la creazione di un’autorità pubblica, nel gennaio 2023 Lione riprenderà la produzione e la distribuzione di acqua potabile.
Gli abitanti di 17 paesi del mondo sono sottoposti ad uno stress idrico elevatissimo. Siamo di fronte ad una vera e propria crisi globale, secondo il World resources institute.
Un quarto della popolazione mondiale vive in condizioni di stress idrico estremo. Ovvero, dove l’acqua scarseggia e nascono conflitti per accaparrarsela.
Lo ha rivelato il World resources institute (Wri), che ha stilato una classifica di 164 nazioni sulla base della loro disponibilità di risorse idriche. Sono 17 quelle che maggiormente rischiano di restare a secco, 12 delle quali si trovano nel Medio Oriente o nel Nordafrica: in cima alla lista ci sono Qatar, Israele, Libano, Iran e Giordania; al 13 posto troviamo l’India, che quest’anno ha fatto parlare di sé perché colpita dalla peggiore ondata di calore della sua storia, tanto che città come Chennai sono rimaste senz’acqua.
In questi luoghi – dove l’agricoltura, l’industria e le città consumano annualmente l’80 per cento delle acque superficiali e sotterranee – l’arrivo del cosiddetto day zero, il giorno in cui le autorità sono costrette a chiudere i rubinetti, è una minaccia concreta.
“Stiamo attualmente affrontando una crisi globale”, ha commentato Betsy Otto, direttrice del programma per la gestione delle risorse idriche del Wri. “La popolazione in aumento e l’economia in crescita richiedono sempre più acqua. Ma l’approvvigionamento è minacciato dai cambiamenti climatici, dagli sprechi e dall’inquinamento”. Le ondate di calore sono e saranno sempre più frequenti; luglio 2019 è stato il mese più caldo della storia. A proposito di sprechi, invece: in Italia, che si trova al 44esimo posto nella fascia dei paesi ad elevato stress idrico, ogni anno perdiamo per colpa delle falle il 41,4 per cento dell’acqua che viene immessa nelle rete idrica.
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Anche all’interno di nazioni dove la situazione non è così grave, talvolta ci sono regioni che rappresentano l’eccezione. Gli Stati Uniti, ad esempio, si trovano al 71esimo posto della classifica, ma il Nuovo Messico è spesso costretto ad affrontare periodi siccitosi. Questi ultimi possono a loro volta causare carenze alimentari. Attualmente in Zimbabwe, collocato al 72 posto, più di due milioni di persone stanno soffrendo la fame per colpa della siccità che ha danneggiato i raccolti, e non hanno accesso all’acqua potabile. Lo stress idrico è spesso causato anche dal water grabbing, fenomeno che si verifica quando attori potenti prendono il controllo di risorse idriche preziose o le deviano a proprio vantaggio, sottraendole a comunità locali o intere nazioni. Il che origina guerre, migrazioni, l’instabilità finanziaria.
“La mappa che abbiamo disegnato permette di osservare e comprendere meglio i rischi che stiamo correndo, così da poterli gestire”, ha dichiarato Andrew Steer, presidente del Wri. “Sta emergendo una nuova generazione di soluzioni, ma troppo lentamente. Se falliremo, il prezzo da pagare in termini di vite umane sarà elevatissimo”.
In effetti, esistono diverse strategie da mettere in campo alla svelta: prima di tutto, migliorare l’efficienza nel settore agricolo. Come raccomandano i membri del forum, “gli agricoltori possono utilizzare sementi che richiedano meno acqua e migliorare le tecniche d’irrigazione”, intervenendo solamente quando e dove necessario. È importante, da questo punto di vista, anche il contributo da parte dei consumatori, che sono chiamati a ridurre il proprio spreco di cibo oltre che a modificare, se possibile, le proprie abitudini alimentari. Non dimentichiamo, infatti, che per produrre un hamburger servono 2.400 litri d’acqua.
Un’altra tattica è quella di investire nelle infrastrutture, soprattutto in quelle naturali quali “muri” di alberi e “argini” di mangrovie. È fondamentale al tempo stesso prendersi cura del paesaggio, bonificando le paludi ed attuando opere di riforestazione. Oltretutto il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (Ipcc) ha ricordato, nel rapporto speciale pubblicato l’8 agosto, che “una gestione sostenibile del territorio può contribuire ad affrontare i cambiamenti climatici”.
Non ci si deve scordare, infine, di riciclare le risorse: “Bisogna di smettere di pensare alle acque reflue come ad un rifiuto”, concludono gli esperti. Una volta depurate possono essere riutilizzate, per irrigare i campi ad esempio; contengono inoltre biosolidi che possono essere impiegati come fertilizzanti. Ancora una volta l’economia circolare si rivela essere la scelta migliore, anzi l’unica, che ci può salvare. In altre parole, tornare al passato è la chiave per il nostro futuro.
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