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Onlus e ong, cosa cambia con il nuovo codice del terzo settore
Onlus e ong riunite sotto la definizione di enti del terzo settore. Circa 300mila associazioni si occupano di tematiche di interesse generale: dalla salute alla cooperazione, un mondo molto vasto.
C’erano una volta le organizzazioni non governative (ong) e le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (onlus): oggi ci sono ancora, ma chiamiamole pure tutte enti del terzo settore (Ets). Da due mesi è in vigore ormai il nuovo Codice del terzo settore, anche noto come “decreto Bobba” dal nome del sottosegretario al Lavoro che se n’è occupato, che riordina e ridefinisce il vastissimo panorama italiano del mondo del volontariato senza fini di lucro. Il codice fa parte della più ampia riforma del terzo settore, che ha avuto il suo primo passaggio ufficiale lo scorso giugno anche se è destinata a completarsi solo entro l’anno prossimo, quando sarà firmato l’ultimo dei 42 atti necessari tra deleghe governative e ministeriali e autorizzazioni europee. Quello che è certo al momento è che le organizzazioni interessate, che saranno censite e messe in rete tramite l’istituzione di un registro, sono circa 300mila, che impiegano circa un milione di lavoratori e che producono il 4,3 per cento del prodotto interno lordo (pil) italiano.
Il volontariato secondo @LuigiBobba (e la nuova #RiformaTerzoSettore) https://t.co/uGbkHCemgU L’intervista di @AISM_onlus al sottosegretario
— VITA.it (@VITAnonprofit) 19 settembre 2017
Chi sono gli enti del terzo settore
Innanzitutto, una definizione chiara: secondo il nuovo codice, sono enti del terzo settore
“le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi”.
Una definizione piuttosto ampia, che però permette innanzitutto di andare per esclusione: non faranno parte del registro del terzo settore, e dunque non vi si applica il codice, le fondazioni bancarie (nonostante siano separate dalle banche stesse da cui originano e siano comunque delle onlus), le amministrazioni pubbliche, le associazioni politiche, i sindacati. Discorso diverso per gli enti religiosi civilmente riconosciuti, per i quali le norme del codice si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività di utilità sociale.
Qualche esempio pratico di onlus e ong
La definizione di “interesse generale” è volutamente ampia: sono comprese le attività nel campo dell’assistenza sociale e sanitaria, dell’arte e della cultura, della ricerca e della formazione, dell’ambiente e degli animali, dello sport e del tempo libero, della tutela dei diritti civili, e ovviamente della cooperazione internazionale, come nel caso delle grandi ong italiane tipo Save The Children e Amnesty International che operano anche all’estero. E rientreranno nel registro associazioni, dalle più grandi e conosciute alle più piccole e locali, di diverso tipo: dalle organizzazioni di volontariato in senso stretto, come l’Avis che si occupa della raccolta o donazione del sangue, o l’Anpas che gestisce il servizio volontario sulle ambulanze, fino alle cosiddette associazioni di promozione sociale, che si rivolgono non solo a terzi ma anche agli associati, tra cui alcune delle più note sono Acli, Arci, Legambiente (che a loro volta rientrano anche tra le reti di associazioni, perché formate da centinaia di associazioni sul territorio).
Quella degli enti filantropici è una nuova figura introdotta dal codice: si tratta per la maggior parte di fondazioni di impresa, ovvero enti no profit create da aziende private (la fondazione Vodafone, come molte altre), e che hanno un compito che si limita alla distribuzione di fondi. Le imprese sociali sono società vere e proprie, per azioni o a responsabilità limitata, e vi rientrano in particolare le cooperative sociali, cioè che gestiscono servizi socio-sanitari ed educativi, oppure attività di vario genere finalizzate all’inserimento nel mercato del lavoro di persone svantaggiate, come negli ultimi mesi i migranti richiedenti asilo: tra le più grandi in Italia vi sono il consorzio Gino Mattarelli o il consorzio InRete.
Le società di mutuo soccorso invece, come spiega Massimo Novarino, responsabile del Centro studi del Forum Terzo Settore, “nascono a fine Ottocento ma stanno riscoprendo una nova vita perché col ridursi dei sistemi di servizi sociali statali si affiancano con assicurazioni sociali, previdenziali, sanitarie. Un grosso esempio è la Cesare Pozzo, nata per l’assistenza sanitaria integrativa dei salumieri e oggi la più grossa in Italia”. Infine, il codice prevede un’opportunità anche per gli enti religiosi cattolici, come la Caritas o la Comunità di Sant’Egidio, o di qualunque confessione che abbia stretto un accordo con lo Stato, che abbiano una natura associativa attività di interesse generale. “A patto che anche in questo caso”, avvisa Novarino, “questi enti abbiano una contabilità separata e una definizione precisa delle attività e del numero di volontari”.
Il registro come garanzia per i cittadini
Tutte queste associazioni potranno attingere, con la riforma, al fondo da 20 milioni di euro del ministero del Lavoro ma anche, a partire dal 2018, ai 223 milioni di euro stanziati dal ministero dello Sviluppo economico. In più, aumenteranno le detrazioni fiscali per le donazioni agli enti e sarà facilitato il recupero di immobili pubblici inutilizzati, sul quale ci saranno imposte più vantaggiose.
Tutte agevolazioni a cui ogni ente potrà accedere solamente se iscritto al registro del terzo settore e se si impegnerà a rispettare una serie di obblighi riguardanti la democrazia interna, la trasparenza nei bilanci che dovranno essere pubblicati annualmente nel registro, i rapporti di lavoro e gli stipendi, che non potranno essere più bassi del 40 per cento rispetto ai contratti nazionali, l’assicurazione dei volontari, la destinazione degli eventuali utili. Tutti elementi di garanzia e trasparenza utili anche al cittadino che volesse decidere a chi destinare una propria donazione.
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