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Architetto e fondatore di Turntoo, Thomas Rau propone di rivedere il concetto di crescita economica lineare ed infinita. Come? Dando un passaporto ai materiali, cosicché i rifiuti possano tornare ad essere risorse.
“Il pianeta? È un’edizione limitata. Come limitate sono le risorse che abbiamo a disposizione”, esordisce così Thomas Rau, durante il suo intervento a Klimahouse a Bolzano. È una visione obiettiva e allo stesso lungimirante quella dell’architetto fondatore di Turntoo e autore del volume “Material Matters. L’importanza della materia”. Un concetto non nuovo per chi è del settore, ma pratico e funzionale, espresso non solo nei suoi testi, ma anche nella pratica. Rau infatti è stato il primo architetto a progettare un edificio “circolare”, ormai quasi dieci anni fa. Quando l’economia circolare era solo un concetto per pochi.
In un pianeta dalle risorse limitate ma votato alla crescita, abbiamo raggiunto un momento storico in cui i materiali e i prodotti che vengono buttati a fine vita, causano un cortocircuito. E ciò accade perché le risorse naturali sono un’entità “finita” e “determinata”. In quest’ottica Rau parla di “responsabilità estesa del produttore”, nel senso che il produttore di beni e servizi deve farsi carico delle conseguenze che le sue azioni hanno sull’intero sistema. Nasce così, nel 2010, il modello Turntoo, ovvero “un modello in cui potere e responsabilità non vengono più separati, neanche temporaneamente. È un modello in cui il produttore sa che le conseguenze delle sue azioni saranno a carico suo: resta comunque proprietario del prodotto, e quindi dei materiali utilizzati per produrlo”.
Da qui nasce il concetto di prodotto come servizio. Non acquisto più l’auto, la noleggio perché mi trasporti da A a B: la proprietà resta del produttore, così come la sua gestione. È una delle versioni di quella definita anche come “sharing economy”, dove non è la più la proprietà a dare valore al prodotto, ma piuttosto la sua possibilità di utilizzo. Per spiegare questa idea Rau racconta il caso in cui, durante la ristrutturazione degli uffici olandesi dello studio di architettura, ha portato la Philips a farsi carico sia dell’illuminazione che della fornitura delle lampadine.
“Vorrei un’illuminazione di qualità, e per questo mi sono rivolto alla Philips, ma ho deciso che non voglio possedere le lampade. Voglio solo la luce”, disse così all’azienda. “Anche la bolletta della luce è per la Philips, ovviamente. Le vostre lampade non funzionano senza elettricità, sono progettate così, ma io ho ordinato solo la luce, nient’altro”. A quel punto l’azienda ha rivisto totalmente il progetto di illuminotecnica, fornendo una soluzione dove bastavano meno lampadine e meno elettricità per fornire lo stesso “servizio”. Era nato un nuovo modello dei ricavi: Pay per Lux, o Light as a service (Laas), nel frattempo promosso dalla Philips in tutto il mondo come Circular Lighting (pp. 89 – Material Matters, Ed. Ambiente).
Partendo dall’idea che la nostra economia vada riformata in modo tale che “tutto ciò di cui disponiamo in misura limitata (materie prime, materiali e suolo) diventi continuamente utilizzabile”, Rau spiega che “dobbiamo separare la crescita economica e il benessere dal consumo di materie prime. Il concetto di prodotto come servizio può ridurre gli sprechi, come dimostrato, ma non è sufficiente”. Ecco allora l’idea di un “passaporto dei materiali”, una sorta di carta d’identità dei materiali, un modo per evitare che i materiali finiscano nell’anonimato come rifiuti o vadano perduti. Sì ma come? Il primo settore in cui l’idea di Rau è stata messa in pratica è quello dell’edilizia: “Se i materiali vengono inventariati in anticipo è possibile adattare le tecniche di costruzione e di progettazione in modo che l’intero edificio possa essere smontato; questo significa che tutti i materiali, senza perdita di valore, possono venire recuperati”. Economia circolare per definizione. Ma dopo aver dato un passaporto ai materiali è necessario che questi vengano registrati, in una sorta di catasto pubblico e centralizzato.
Così nel 2017 Rau e i suoi collaboratori lancia il Matasto, acronimo tra “Catasto” e “Materiale”, una banca dati online in cui l’identità e l’ubicazione temporanea dei materiali vengono documentate sotto forma di passaporti dei materiali. “In tal modo – spiega Rau – siamo certi che l’identità dei materiali possa essere effettivamente riconosciuta e individuata”. Da settembre 2017 la piattaforma è online e accessibile a chiunque: privati, aziende, amministrazioni e studiosi e ad oggi è presente in 10 paesi con la partecipazione attiva di decine di aziende. Un segnale indiscutibile del cambiamento in atto.
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