I terroristi dell’Isis sono tombaroli

Quelli dell’Isis sono terroristi, ma non sono ignoranti, anzi. La distruzione sistematica e a sfondo propagandistico delle statue di Ninive e Nimrud e dei resti del palazzo di Assurbanipal II nei pressi di Mosul, in Iraq, sarebbe servita a mascherare furti ben più ingenti di materiale archeologico di valore da rivendere al mercato nero per

Quelli dell’Isis sono terroristi, ma non sono ignoranti, anzi. La distruzione sistematica e a sfondo propagandistico delle statue di Ninive e Nimrud e dei resti del palazzo di Assurbanipal II nei pressi di Mosul, in Iraq, sarebbe servita a mascherare furti ben più ingenti di materiale archeologico di valore da rivendere al mercato nero per cifre da capogiro.

 

Lo ha riferito stamattina all’Associated Press Qais Hussein Rashid, capo del Consiglio di Stato iracheno per le Antichità e per il Patrimonio, secondo cui i tori alati presi a trapanate, le statue assire divelte dai loro supporti e l’intero palazzo, vecchio di 3000 anni, raso al suolo dalle ruspe del Califfato altro non sarebbero se non diversivi per distogliere l’attenzione dal vero obiettivo dei miliziani: i reperti piccoli e preziosi che dovrebbero servire per continuare a finanziare le attività terroristiche.

 

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Foto: © Corriere.it

Altro che cancellazione dei resti di una religione infedele, dunque. I “falsi Dei” vanno benissimo quando si tratta di fare affari. Sempre secondo Rashid, l’Isis, dopo aver occupato il sito, avrebbe prima scavato in diversi punti dell’area archeologica non ancora indagata, recuperato i reperti come statuette o gioielli, li avrebbe nascosti in attesa di rivenderli per milioni di dollari e avrebbe poi filmato la distruzione del sito a scopo propagandistico, come copertura.

 

Ricordiamo che Nimrud fu, nel 1989, il luogo della più importante scoperta irachena, con il ritrovamento del tesoro di una tomba reale ricca di ori e gioielli.

 

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Foto: © Getty Images

L’attività da tombaroli dei sostenitori del Califfato sarebbe iniziata diversi giorni prima delle riprese “di propaganda”, come confermato da foto satellitari che avrebbero documentato il saccheggio. Non vi sono stime certe sul possibile guadagno complessivo dell’operazione, ma i funzionari statali ipotizzano che i pezzi, immessi sul mercato nero, potrebbero valere milioni di dollari.

 

Non è la prima volta che i siti iracheni vengono saccheggiati: capitò anche nel 2003 al museo archeologico, dopo la caduta di Saddam, e ai siti del sud del Paese. Secondo i servizi segreti americani, statuette e tavolette iscritte servirono, all’epoca, per finanziare Al Qaeda. Ma allora si trattava di saccheggi sporadici, oggi l’attività sarebbe ben più sistematica, anche nei siti siriani. Si ritiene che la vendita di antichità sia una delle principali fonti di finanziamento per l’Isis, insieme al controllo petrolifero e ai riscatti dei sequestri.

 

Secondo gli esperti, i pezzi sarebbero dapprima rivenduti in Turchia, passerebbero per la Bulgaria e le aree balcaniche e da qui arriverebbero in Europa occidentale, pronti per essere acquistati da collezionisti benestanti e amanti dell’arte a cui non interessa se la vendita dei reperti sia legale o meno.

 

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 Foto: © Getty Images

L’Iraq ha inviato al Consiglio Internazionale dei Musei, alla Nazioni Unite e all’Interpol elenchi di reperti che potrebbero essere stati rubati (e non distrutti) al museo di Mosul. Più difficile è un riconoscimento di opere mai viste e mai catalogate.

 

Nel frattempo in Egitto, al Cairo, si sta tenendo una conferenza dal titolo “I beni culturali a rischio”, per invitare la comunità internazionale a prendere le adeguate contromisure.

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