Nelle ultime settimane le operazioni militari russe si sono concentrate tra il Donbass e il mar Nero, con la conquista di Mariupol.
Finora in Ucraina sono morti oltre 4mila civili, mentre i soldati caduti in battaglia potrebbero essere decine di migliaia.
La comunità internazionale si muove tra invio di armi all’Ucraina e nuove sanzioni alla Russia, mentre la Nato potrebbe allargarsi.
Sono già passati 100 giorni da quando il 24 febbraio ci siamo svegliati con le notizie dei primi bombardamenti russi sull’Ucraina. 100 giorni che hanno confermato quella versione secondo cui la guerra sarebbe stata molto più lunga di quanto potessimo pensare, 100 giorni durante i quali la Russia ha dovuto fare i conti con la strenua resistenza ucraina e rivedere i suoi piani, concentrando l’offensiva sulla parte orientale del paese a differenza degli attacchi ad ampio raggio delle prime fasi del conflitto.
Il bilancio di questi primi 100 giorni di guerra è devastante, tra città rase al suolo, una diaspora di milioni di persone e massacri come quelli di Bucha. E anche lo scenario internazionale è cambiato, tanto a livello economico quanto strategico, tra sanzioni che hanno avuto ripercussioni sulla Russia stessa ma anche su chi le ha comminate e nuovi paesi come Svezia e Finlandia che hanno espresso la volontà di entrare nella Nato.
100 giorni di combattimenti
All’alba del 24 febbraio 2022 la Russia ha colpito con numerosi raid le principali città dell’Ucraina, dando il via anche all’operazione di terra volta a “denazificare il paese” e rompere l’influenza occidentale, secondo quanto annunciato dal presidente Vladimir Putin. L’attacco era nell’aria, visto che da mesi Mosca aveva radunato quasi 200mila soldati al confine con il paese e le smentite pre-belliche di Putin non avevano convinto nessuno.
L’intensità dei primi attacchi, la loro diffusione territoriale e le repentine conquiste, come la strategica città di Kherson o le centrali nucleari di Chernobyl e Zaporizhzhia, lasciavano pensare che l’intento russo di una guerra lampo potesse realizzarsi, se non nel giro di poche ore, quanto meno di settimane. E invece proprio con il passare delle settimane la situazione si è complicata. L’avanzata russa verso Kiev è stata bloccata dalla resistenza ucraina, che tra cartelli cancellati, ponti abbattuti, imboscate e l’azione efficiente della contraerea rinfrancata anche dalle forniture militari internazionali ha reso impossibile l’ingresso nella capitale. Tant’è che a un mese dall’inizio della guerra le truppe di Mosca, in parte anche demotivate, hanno deciso di lasciar perdere Kiev oltre che alcune aree già conquistate, compresa Bucha e Chernobyl (dove i soldati di Mosca hanno accusato malesseri legati alle radiazioni sprigionate durante i combattimenti), per ridistribuirsi su altri obiettivi, uno su tutti Mariupol. Questo, mentre sullo sfondo Putin ha nominato Aleksandr Dvornikov nuovo comandante delle operazioni nel paese.
Quella di Mariupol, città ucraina meridionale affacciata sul Mar d’Azov e collocata tra il confine russo e la Crimea, è stata la battaglia simbolo dei primi 100 giorni di guerra. Questo perché da una parte ha mostrato la forza della resistenza ucraina, con le truppe di Kiev guidate dal battaglione Azov (noto per le sue posizioni neonaziste) che non si sono arrese fino all’ultimo, e le forze di aggressione russe che hanno messo in pratica i peggiori massacri immaginabili, incontrando al contempo le medesime difficoltà a sfondare le linee nemiche trovate nel resto del paese. Tra bombardamenti di teatri, ospedali pediatrici, edifici comuni, il taglio dell’energia elettrica, dell’acqua potabile e delle linee di rifornimento alimentari e sanitarie, la Russia ha messo in atto un assedio che ha raso al suolo interi quartieri della città. Eppure ha impiegato tre mesi per conquistare di fatto Mariupol, con l’ultimo avamposto ucraino nell’acciaieria Azovstal che a fine maggio si è di fatto arreso, per quanto i generali locali continuino a dire che ci sono ancora soldati impegnati nella resistenza.
Per il resto, l’offensiva russa nelle ultime settimane si è concentrata sul Donbass, a parte alcuni momenti in cui sono ripresi i bombardamenti su Kiev, come quando a fine aprile si trovava in visita in città il segretario Onu Antonio Guterres, e su altre città nel resto del paese, come Leopoli, in risposta al successo simbolico ucraino dato dall’affondamento a inizio aprile dell’incrociatore russo Moskva nel mar Nero. Negli ultimi giorni l’assedio si è concentrato sulla città di Severodonetsk, che potrebbe diventare una nuova Mariupol, ma in generale la Russia, che si pensava potesse trovare la strada spianata viste le linee di rifornimento più corte che dovevano far aggirare i problemi logistici incontrati altrove e che ha come obiettivo la creazione di un corridoio che vada fino alla regione separatista moldava della Transnistria, si trova in una fase di sostanziale stallo e i territori controllati a 100 giorni dall’inizio del conflitto sono indicativamente quelli presi nelle prime fasi dello stesso. E anzi l’Ucraina sta mettendo in atto una controffensiva nei pressi di Kherson e Mykolaiv, a sud, e di Kharkiv, a Est, che le sta permettendo di riprendere il controllo di alcune aree.
100 giorni di tragedia umanitaria
Secondo un’inchiesta di Associated Press, solo nel bombardamento russo del teatro di Mariupol del 16 marzo sarebbero morte almeno 600 persone. Un numero dato dal fatto che l’edificio veniva usato come rifugio dai civili e che lascia immaginare quanto drammatico possa essere il bilancio di 100 giorni di conflitto. A fine maggio sempre a Mariupol sono stati trovati200 cadaveri nei sotterranei di un palazzo. A Bucha, divenuta famosa per le immagini delle fosse comuni e dei corpi riversi in strada, i morti potrebbero essere statialmeno 500.
Questi singoli episodi lasciano bene intendere la tragedia in corso in Ucraina. Secondo gli ultimi dati dell’Unhcr, dall’inizio del conflitto sono morti almeno 4.031 civili, mentre i feriti sono stati almeno 4.062. I bambini uccisi solo almeno 229, i feriti 424. Gli attacchi russi hanno provocato danni a oltre 1.700 scuole e 161 risultano completamente distrutte. L’ultimo dato di inizio maggio parla poi di almeno 400 presidi sanitari danneggiati, mentre anche il sistema infrastrutturale di strade, aeroporti e ferrovie è stato in parte messo fuori uso. L’Ucraina è insomma in ginocchio e la Banca Mondiale ha sottolineato che il tasso di povertà nel paese nel 2022 potrebbe raggiungere il 70 per cento (contro il 17 per cento dell’anno scorso). Questo vuol dire che il 70 per cento della popolazione ucraina rischia di ritrovarsi a vivere con meno di 2 dollari al giorno da qui a fine anno. Di fronte a una situazione di questo tipo, ma già dal momento dei primi bombardamenti alla fine di febbraio, milioni di persone hanno lasciato le proprie case. Secondo le Nazioni Unite, i rifugiati sono a oggi circa 14 milioni, di cui otto milioni sfollati interni e sei milioni migranti verso altri paesi. Tra i paesi di destinazione anche l’Italia, che a oggi ha accolto ufficialmente 116mila persone.
Ma se si parla dei numeri legati ai primi 100 giorni di guerra in Ucraina non si può ignorare quello dei militari caduti in battaglia. Su questo regna l’incertezza dal momento che da una parte e dall’altra non vengono pubblicati grandi aggiornamenti sui propri effettivi, mentre ci si concentra più sulle vittime nemiche in quello che è uno schema classico durante la guerra. Lo Stato maggiore delle forze armate ucraine il 20 maggio ha annunciato28.700 morti tra gli effettivi di Mosca nei primi tre mesi e dieci giorni di combattimenti, mentre 1.250 carri armati e 3mila mezzi militari russi sarebbero stati distrutti. L’ultimo bollettino russo sui propri uomini è stato datoa fine marzo, un elemento che fa capire le difficoltà sul campo, e parlava di 1.351 morti. Lato Ucraina, il presidente Volodymyr Zelensky ad aprile ha fissato a 2.500-3mila i morti nell’esercito del suo paese, mentre da Mosca alzano la stima a decine di migliaia. E sempre a proposito di soldati, il 23 maggio c’è stata la prima condanna per un soldato russo per crimini di guerra dall’inizio del conflitto. Il tribunale di Kiev ha infatti disposto l’ergastolo per il 21enne Vadim Shishimarin.
100 giorni di negoziati
Mentre sul terreno si continua a combattere, la diplomazia in questi 100 giorni non si è mai fermata. Già a inizio febbraio sono partiti i round di negoziati, prima in presenza in Bielorussia e poi in videoconferenza, tra la Russia e l’Ucraina. Ma se quest’ultima ha mandato come propri delegati i ministri più importanti, quelli degli Esteri e della Difesa, la scelta russa di farsi rappresentare da figure di poco conto in termini politici è stato un chiaro segnale fin da subito della poca sostanza delle negoziazioni.
Il massimo che si è riusciti a ottenere è stata la predisposizione di corridoi umanitari a Mariupol e nelle città dove i combattimenti si stavano facendo più duri, corridoi sistematicamente violati come anche in occasione dell’evacuazione delle ultime settimane dell’acciaieria Azovstal. Per il resto, si sono tenute numerose telefonate tra leader occidentali e Vladimir Putin, in primis da parte del presidente francese Emmanuel Macron che in prima istanza ha mantenuto un atteggiamento di dialogo, poi ha riconosciuto come da parte russa non ci fosse alcuna intenzione di trovare un accordo di pace. Lato Ucraina, dopo i numerosi collegamenti del presidente Zelensky con i parlamenti in giro per il mondo, sono cominciate le visite dirette di delegazioni internazionali a Kiev nel momento in cui la situazione nella capitale si è fatta più tranquilla.
Mentre a 100 giorni dall’inizio della guerra il mondo ancora cerca di capire cosa vuole esattamente Putin (prendersi tutta l’Ucraina? Controllare le regioni orientali?), diversi analisti sottolineano che l’operazione sia ormai limitata unicamente al Donbass e all’area che affaccia sul mar Nero al di là della Crimea. A marzo Zelensky aveva aperto a un possibile compromesso sulla regione, ma in un’intervista di maggio il presidente ucraino ha detto che il suo paese non riconoscerà mai l’indipendenza della Crimea né la sua annessione russa, proclamata da un referendum di otto anni fa. Sempre qualche settimana fa Putin ha detto che senza un accordo sulla Crimea e sul Donbass la pace è impossibile, ma la sua richiesta corrisponde a una resa incondizionata dell’Ucraina e questo ha indurito l’atteggiamento di apertura che Zelensky aveva mantenuto nelle prime settimane di conflitto.
100 giorni di sanzioni e contromisure
Subito nei primi giorni di guerra in Ucraina la comunità internazionale, in particolare l’Unione Europea e gli Stati Uniti, si è mossa per comminare sanzioni alla Russia. Che poi sono proseguite con nuovi pacchetti nel corso di tutti questi primi 100 giorni di conflitto. In particolare, a essere colpite sono state individualità e società, con l’obiettivo di indebolire l’economia russa e così il suo finanziamento bellico.
I settori più colpiti sono stati quello tecnologico-militare, con il divieto di esportazione in Russia di materiale di settore; quello finanziario, con l’esclusione di Mosca dallo Swift, il sistema che permette i pagamenti internazionali tra banche; quello energetico, con il divieto di importazione di carbone russo che si appresta a diventare anche un divieto di importazione di petrolio via mare, dopo l’okey dei giorni scorsi del Consiglio europeo; quello sportivo-culturale, con l’esclusione di atleti, squadre, artisti e quant’altro dalle manifestazioni internazionali. Inizialmente l’economia russa ha accusato il colpo, con le maggiori difficoltà portate dal forte deprezzamento del rublo, ma con il passare dei giorni ha mostrato una certa resilienza e come spiega anche un’analisi del settimanale britannico Economist oggi Mosca non se la passa male come ci si poteva aspettare.
Mentre si comminavano e si continuano a comminare alla Russia sanzioni che possano essere il più incisive possibili e si è aperta la partita dei processi internazionali con l’intervento contro Mosca della Corte internazionale di giustizia, la Nato e l’Unione Europea si sono mosse anche su un altro fronte, quello dell’invio di armi all’Ucraina. Si è cominciato con le armi difensive, come lanciamissili per la contraerea, carri armati ed elementi logistici di base quali elmetti e giubbotti. Poi le spedizioni sono diventate più sofisticate, come mostra il recente pacchetto statunitense che contiene anche droni tattici sviluppati appositamente per il contesto ucraino. In generale, sono almeno 31 i paesi del mondo che hanno inviato finora armi all’Ucraina, con lo stanziamento di miliardi di dollari per questo fine (tre solo negli Stati Uniti).
Today, I visited a Lockheed Martin factory in Alabama that’s building the Javelin missiles we’re sending to Ukraine. The weapons built here — now in the hands of Ukrainian heroes — are making all the difference. That’s something we can all be proud of. pic.twitter.com/35hTvlDGSE
Tra chi si è mosso in questo senso ci sono anche paesi considerati storicamente neutrali, come la Svezia. Quest’ultima a marzo ha annunciato l’invio di circa 10mila lanciatori anticarro mentre nelle ultime settimane si sta parlando della sua intenzione di entrare nella Nato. Una discussione in cui è impegnato anche un altro stato, la Finlandia, che confina con la Russia e teme (assieme ai paesi baltici) di poter essere la prossima Ucraina. Se tra gli obiettivi dichiarati di Putin al momento dell’aggressione a Kiev c’era quello di frenare l’influenza dell’Alleanza atlantica in territori considerati storicamente filorussi, a 100 giorni dall’inizio del conflitto chi ne sta uscendo rafforzata in termini di unione di intenti e di possibile allargamento dei suoi membri è proprio la Nato. Uno scenario che rende sempre più difficile un accordo con Mosca, con un rischio escalation su cui aleggia anche un’ipotesi, comunque remota: quella del nucleare.
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