L’amministrazione Usa ha sospeso le domande per l’immigrazione delle persone provenienti da 19 paesi. Nel frattempo vanno avanti le retate nelle città.
Il Parlamento europeo ha votato l’avvio della procedura prevista dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea contro l’Ungheria di Viktor Orban.
“L’Ungheria ha imbavagliato i media indipendenti, limitato il settore accademico, ha sostituito i giudici indipendenti con altri più vicini al regime, ha reso la vita difficile alle ong”. Il rapporto presentato contro il governo di Viktor Orban dall’eurodeputata olandese Judith Sargentini – del gruppo ddei Verdi/Alleanza libera europea – è un “j’accuse” senza appello. “Noi tutti – ha affermato la parlamentare – abbiamo il compito di tutelare i cittadini europei per farli vivere nei valori della solidarietà, della parità tra uomini e donne, giustizia”.
Un’arringa durissima, che però ha raccolto un larghissimo consenso in seno all’organismo legislativo dell’Ue: alla fine, il rapporto è stato approvato con 448 voti a favore, 197 contrari e 48 astensioni. In questo modo, le istituzioni comunitarie avviano la procedura prevista dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea, soprannominata “opzione nucleare”.
Essa prevede la possibilità di sospendere i diritti di adesione di un paese membro (ad esempio il diritto di voto in sede di Consiglio) in caso di violazione grave e persistente dei principi sui quali poggia l’Unione. Ovvero libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo, delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto. Si tratta, in altre parole, della posizione più dura che può assumere Bruxelles nei confronti di una nazione europea.
Proprio in virtù della sua gravità, la procedura è tuttavia particolarmente lunga e complessa, tanto da essere stata utilizzata soltanto una volta, in precedenza: alla fine del 2017, nei confronti della Polonia. L’iter prevede che, dopo il voto del Parlamento, il dossier debba essere posto al vaglio del Consiglio. Sono dunque gli stati membri che devono analizzarlo. E approvarlo con una maggioranza qualificata pari ad almeno i quattro quinti del totale dei votanti.
Poland says it will block any EU sanctions against Hungary https://t.co/6O9y8re9GQ pic.twitter.com/fPo6jMwlIB
— Reuters Top News (@Reuters) 13 settembre 2018
A quel punto vengono avviate delle consultazioni con il governo del paese coinvolto, nel tentativo di convincerlo a modificare le proprie scelte (ma, ad esempio, Varsavia non ha finora accettato di modificare la sostanza delle sua riforma della giustizia, giudicata problematica dall’Europa). Da parte dell’Ungheria, tuttavia, le reazioni non appaiono affatto di apertura: “La decisione di oggi non è altro che una piccola vendetta dei politici pro-immigrazione contro il nostro paese”, ha replicato da Budapest il ministro degli Affari esteri Peter Szijjarto.
Va detto però che a schierarsi contro Orban è stata una porzione maggioritaria dello stesso Partito popolare europeo, gruppo conservatore del quale fa parte il primo ministro ungherese, che fino ad ora si era mostrato piuttosto tenero nei confronti di Budapest. Proprio dal Ppe, che può contare su 218 parlamentari, dipendeva d’altra parte l’esito della votazione. Ebbene, sono 116 i deputati di centro-destra che hanno votato a favore della procedura ex articolo 7 contro l’Ungheria.
Joseph Daul, presidente del partito conservatore, aveva d’altra parte usato toni particolarmente fermi dopo il discorso di Orban, che ha accusato Bruxelles di operare “un ricatto”. “L’Unione europea – ha scritto in un tweet il deputato del Ppe – si fonda sui principi di libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto, rispetto dei diritti umani e su una società civile libera. Sono valori inviolabili. Non faremo compromessi su questo, a prescindere da ogni considerazione politica”.
The European Union is based on #freedom, democracy, equality, academic liberty, #RuleOfLaw, respect for human rights & a free civil society. These are inviolable values @EPP will not compromise irrespective of political affiliation.
— Joseph Daul (@JosephDaul) 11 settembre 2018
Difficile immaginare però quali saranno le scelte future del Ppe, dal momento che il partito è fortemente diviso al suo interno. Nella riunione tenuta alla vigilia del voto – con Orban presente – nessuno ha chiesto l’espulsione del leader ungherese.
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