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Le proteste in Venezuela sono figlie di una crisi che dura ormai da anni. E che ha cancellato i successi sociali ed economici degli anni di Hugo Chavez.
La fotografia di una donna che blocca un mezzo blindato a Caracas ha fatto il giro del mondo e diventerà probabilmente uno dei simboli del movimento di protesta che da tempo attraversa il Venezuela guidato dal presidente Nicolàs Maduro. Negli ultimi anni si sono susseguite infatti numerose ondate di manifestazioni, che nelle ultime settimane hanno portato all’organizzazione di numerosi grandi cortei, con l’obiettivo di chiedere elezioni anticipate e il rispetto delle prerogative del Parlamento.
#Caracas like Tiananmen: Woman stands up to police tank in #Venezuela. (photo AP) #venezuelaencrisis pic.twitter.com/PWz5rwjoZx
— The European Post (@theEUpost) 20 aprile 2017
Le proteste sono sfociate in scontri e violenze costate la vita a 26 persone, alle quali si aggiungono decine di feriti. Ciò nonostante, mercoledì 19 erano ancora migliaia i militanti dell’opposizione al governo a manifestare in piazza nella capitale Caracas. E una nuova protesta è stata organizzata nella giornata di lunedì 24 aprile: il bilancio è di quattro persone uccise. L’opposizione ha puntato il dito contro “le forze paramilitari del Partito socialista unito del Venezuela”, ovvero il Psuv di Maduro. Mentre Tarek Saab, presidente dell’Autorità di vigilanza sul rispetto dei diritti umani, ha fornito una versione diametralmente opposta, almeno per una delle persone uccise, che sarebbe stato in realtà un sostenitore del governo, “che stava manifestando pacificamente ed è stato colpito da una pallottola”.
https://www.youtube.com/watch?v=nKbPXluGK-0
La situazione in Venezuela appare d’altra parte precaria ormai da tempo: la sconfitta registrata da Maduro alle elezioni legislative nel mese di dicembre del 2015 nasce infatti dal malcontento cresciuto attorno al successore di Hugo Chavez, leader della “rivoluzione bolivariana”, arrivato al potere nel 1999 e morto nel 2013 dopo quattordici anni alla guida della nazione latino-americana. Nel corso del suo lungo periodo al governo, infatti, Chavez aveva ottenuto anni di indiscussi successi economici e sociali. Sul piano internazionale, aveva sfidato a viso aperto quella che definì la “dominazione degli Stati Uniti”, riuscendo tra le altre cose ad imporre un prezzo più alto per le vendite del petrolio prodotto in Venezuela. Lanciò inoltre una politica di rigido controllo dell’industria, utilizzando i proventi della vendita di greggio per finanziare numerose riforme sociali a sostegno della popolazione. Ciò ha consentito nel tempo di ridurre fortemente la povertà, di sradicare l’analfabetismo e di garantire l’accesso universale alle cure mediche.
Il Venezuela non è però riuscito a completare il lavoro diversificando il proprio sistema produttivo: la dipendenza dall’oro nero è rimasta troppo marcata, e il crollo del prezzo del barile (dai 107 dollari del luglio 2014 ai 56 del 2015 fino ai 30 del 2016) ha costretto Maduro a sopprimere molti degli aiuti concessi ai cittadini. Le importazioni sono inoltre diventate in breve estremamente difficili, il che ha fatto mancare lo scorso anno circa numerosi generi di prima necessità, compresi cibo e medicinali, imponendone il razionamento. Il tasso di mortalità infantile è così aumentato del 45 per cento rispetto al 2013, la recessione si è fatta inarrestabile (-18 per cento nel 2016 secondo le cifre provvisorie rese note dalla banca centrale) e l’inflazione è arrivata a toccare il 150 per cento nel 2015 (con punte del 350 per cento per i generi alimentari). L’aumento dei prezzi è diventato poi insostenibile nel 2016 (+800 per cento) e sembra destinato ad aumentare ulteriormente nel 2017. Il rapporto tra deficit è Pil ha inoltre raggiunto il 20 per cento e molti osservatori nutrono ormai dubbi sulla capacità dello stato di far fronte al debito pubblico.
È proprio la crisi economica, dunque, ad aver rappresentato il motore della contestazione. Maduro ha visto la popolarità della presidenza (altissima ai tempi di Chavez) scendere al 24 per cento nel 2015. La criminalità e le violenze sono al contempo aumentate fortemente, tanto da rendere il Venezuela il paese meno sicuro al mondo dopo El Salvador. Le opposizioni hanno così guadagnato terreno, fino ad ottenere i tre quinti dei seggi in Parlamento: quanto basta per chiedere un referendum finalizzato alla destituzione di Maduro. Le firme necessarie sono state raccolte (1,8 milioni) e la consultazione è stata convalidata nell’agosto del 2016, ma ancora non è stata indetta: l’autorità elettorale ha infatti riscontrato alcune irregolarità e bloccato il processo. https://www.youtube.com/watch?v=S5ZblQ36zvI
Così, a partire dall’inizio di aprile, l’opposizione è tornata in piazza chiedendo elezioni anticipate, rispetto alla naturale scadenza del mandato del governo, prevista nel 2018. Il 7 aprile, infine, il capo dell’opposizione Henrique Capriles Radonski è stato privato dei diritti politici per quindici anni, il che ha esacerbato ancor di più gli animi. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha lanciato perciò un appello affinché si eviti un’escalation e si riprenda il dialogo.
ridurre al silenzio l’opposizione attraverso detenzioni preventive, il rapporto sul #Venezuela https://t.co/onwvrOBtYK
— amnesty italia (@amnestyitalia) 26 aprile 2017
Da parte sua, Amnesty International ha denunciato quelle che ha definito “azioni illegali” commesse dal governo venezuelano: “Anziché ostinarsi a far tacere ogni voce dissidente, le autorità del Venezuela dovrebbero concentrarsi nella ricerca di soluzioni concrete e sostenibili per la crisi profonda che sta fronteggiando il paese”, ha dichiarato la direttrice dell’associazione umanitaria per le Americhe, Erika Guevara Rosas. Il dito della ong è puntato in particolare su alcuni “arresti senza mandato” che sarebbero stati effettuati dai servizi segreti (il Sebin, Servizio bolivariano dell’intelligence nazionale), nonché su alcuni processi di civili che sarebbero stati effettuati da tribunali militari.
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