Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah dal 1992, è stato ucciso nel bombardamento israeliano nella periferia sud di Beirut.
Yemen. La guerra, il silenzio e l’ipocrisia
Il conflitto, iniziato nel marzo 2015, ha portato il paese alla catastrofe umanitaria. I bambini sono le prime vittime di una guerra che l’Occidente ha deciso di ignorare, continuando a vendere armi all’Arabia Saudita.
Alla fine la guerra ha raggiunto Hodeida. La città portuale affacciata sul mar Rosso, approdo strategico di generi alimentari e beni di prima necessità, è teatro di violenti combattimenti e bombardamenti dell’aviazione saudita. Che la posta in gioco sia alta e che la battaglia per il controllo della città sia cruciale per gli esiti del conflitto, è dimostrato dai numeri: nei primi quindici giorni di novembre sono state uccise più di 600 persone.
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L’obiettivo del governo di Abd ar-Rabbo Mansour Hadi, sostenuto dall’Arabia Saudita, è cacciare dalla città i ribelli houthi sostenuti da Teheran. E per farlo sono disposti a far pagare alla popolazione civile il prezzo più alto. Assediare Hodeida vuol dire nei fatti paralizzare l’intero paese: è da qui, infatti, che prima della guerra passava il 70 per cento delle importazioni di cibo, aiuti e carburante.
La guerra per procura tra Arabia Saudita e Iran per il controllo e le sfere d’influenza nel grande Medio Oriente ha di fatto ridotto lo Yemen in ginocchio. Ma le atrocità di un altro conflitto, quello nella martoriata Siria, hanno finora oscurato le vicende di quella che secondo le Nazioni Unite è la peggior crisi umanitaria degli ultimi 100 anni. Alla ‘distrazione generale’ nei confronti dei crimini commessi in Yemen, contribuisce una difficoltà oggettiva di reperire dati aggiornati e verosimili sulle vittime della guerra.
Le origini del conflitto nello Yemen
La data di inizio del conflitto risale ufficialmente a marzo 2015, quando gli aerei dell’Arabia Saudita, sostenuti da una coalizione di altri otto paesi arabi, hanno iniziato a bombardare le postazioni dei ribelli sciiti houthi che, scendendo dal nord verso la capitale Sana’a, avevano conquistato in pochi mesi ampie fette del paese. La crisi tuttavia, affonda le sue radici più in là nel tempo, alle rivolte di piazza che nel 2012 portarono alla caduta dell’allora presidente Ali Abdullah Saleh (alla guida del paese per oltre trent’anni).
Il nuovo presidente Abdel Rabbo Mansour Hadi, sostenuto dagli Stati Uniti e dall’Egitto oltre che dai paesi del Golfo, non è mai riuscito a prendere del tutto il controllo del paese, né ad avviare le riforme promesse, ovvero formare un governo che includesse anche i gruppi che erano stati oppressi o discriminati da Saleh. Dal 2014 in poi gli houthi, appoggiati dall’Iran e frustrati nelle loro richieste di autonomia per il nord del paese, hanno dato il via a una campagna che li ha portati in poche settimane a prendere il controllo della stessa capitale Sana’a. La rapida avanzata dei ribelli, sostenuti da Teheran, ha convinto l’Arabia Saudita ad intervenire militarmente allargando il conflitto e trasformandolo in una crisi regionale.
Il mistero dei numeri
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, i caduti nel conflitto iniziato nel marzo del 2015 sarebbero almeno 10mila. Un bilancio moderato, considerata la violenza dei combattimenti e i bombardamenti indiscriminati. Le vittime potrebbero essere molte di più secondo le organizzazioni umanitarie. Ora un conteggio del gruppo di ricerca indipendente Armed conflict location and event data project ritiene che almeno 56mila persone siano state uccise da gennaio del 2016, quindi dieci mesi dopo l’inizio della guerra saudita. Il numero non comprende quelli che sono morti di fame e di malattia.
Di certo, ci sono cifre che alimentano il rischio di una catastrofe umanitaria: ad oggi, circa 22 milioni di persone su una popolazione di 28 milioni soffrono di carenze nutrizionali. Tra loro, soprattutto bambini a rischio fame e malattie. Sono 20mila i casi di contagio da colera.
L’inferno dei bambini
“Lo Yemen oggi è un inferno in terra per i bambini”: a squarciare il velo sulla disastrosa situazione nel paese, è stato lo scorso 4 novembre un alto funzionario dell’Unicef, Geert Cappelaere, snocciolando dati impietosi sulle condizioni dei più piccoli. Nello Yemen di oggi – ha denunciato – ogni dieci minuti muore un bambino per malattie che si possono prevenire facilmente. Circa 1,8 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta e di questi 400mila rischiano la vita. Inoltre, 30mila bambini sotto i cinque anni di età muoiono ogni anno per malattie che hanno come concausa la malnutrizione. “Le sofferenze di milioni di bambini nello Yemen sono causate dall’uomo. Se ci troviamo di fronte al rischio di una carestia non c’è una sola causa naturale. È per motivi di cui sono responsabili gli adulti, ma per i quali i bambini pagano il prezzo più alto”.
Yemen is “a living hell for every single boy and girl” in the country, @UNICEFmena Regional Director @gcappelaere said on Sunday.#ChildrenUnderAttack #UNNewsStoryhttps://t.co/SA9iV8SPEv
— UN News (@UN_News_Centre) 4 novembre 2018
Il caso Khashoggi
Ma qualcosa, nella comunità internazionale, ha cominciato a smuoversi dopo anni di indolenza. Ad innescarla, non è stata l’indignazione per la devastazione e la morte di tanti bambini, ma l’omicidio di un giornalista avvenuto lo scorso 2 novembre a Istambul in Turchia. L’esecuzione nel consolato saudita di Jamal Khashoggi, critico nei confronti di Riad e dell’erede al trono Mohammed Bin Salman – principale artefice della guerra in Yemen – si è intrecciata fin da subito con le sorti del conflitto. Dalle indagini sul giornalista e la sua attività, è venuto fuori che Khashoggi intendeva denunciare l’utilizzo di armi chimiche da parte dell’aviazione saudita nei territori controllati dagli houthi.
#UN #journalists hail #Turkish #probe into #Khashoggi #murderhttps://t.co/70oA1zB6td pic.twitter.com/4oxtCVJrRJ
— Yeni Şafak English (@yenisafakEN) 11 novembre 2018
Lo sdegno per il coinvolgimento – prima negato, poi parzialmente ammesso – delle alte sfere saudite nell’omicidio, ha costretto i principali sostenitori di Riad, Stati Uniti, Francia e Inghilterra, a confrontarsi con l’opinione pubblica internazionale. E per la prima volta le tre diplomazie hanno intensificato gli sforzi per costringere le parti in lotta verso un’uscita dal tunnel bellico.
Lo Yemen e l’ipocrisia dell’Occidente
Ma l’atteggiamento occidentale è quanto mai ipocrita: secondo uno studio effettuato dal portale statunitense Middle East Eye, tra il 2015 e il 2016 i paesi europei hanno venduto ad Arabia saudita ed Emirati arabi, in prima linea nel conflitto yemenita, 86,7 miliardi di dollari in armi, 55 volte di più delle donazioni al piano di aiuti umanitari delle Nazioni Unite. Secondo Mee, nel 2016 ben 17 paesi hanno dato l’ok alla vendita di 50 miliardi in armi.
Nello stesso periodo alla campagna Onu Yemen Humanitarian Response Plan, l’Unione europea (come insieme di stati) ha donato 1,56 miliardi di dollari, l’1,8 per cento del valore delle armi vendute.
La guerra e le armi made in Italy
Un mercato ricco, quello della vendita di armi, a cui partecipa volentieri anche l’Italia. Da anni le organizzazioni per la difesa dei diritti umani invocano uno stop alla fornitura di armamenti made in Italy ai sauditi. Lo scorso giugno più di 10 milioni di euro, per l’esattezza 10.453.696 euro, di armi e munizioni sono state esportate dalla Sardegna all’Arabia Saudita. Il dato è nel lungo elenco del database dell’Istat che riporta le esportazioni mensili di ogni prodotto dall’Italia nel mondo.
Anche se nel database non è possibile rintracciare il numero di ordigni esportati, sappiamo che si tratta delle bombe aeree della serie MK prodotte a Domusnovas in Sardegna dall’azienda tedesca Rwm Italia, che ha la sua sede legale a Ghedi, Brescia, e che vengono utilizzate dall’aeronautica militare saudita per bombardare indiscriminatamente lo Yemen. Secondo le Nazioni Unite questi bombardamenti rappresentano dei crimini di guerra.
Insomma, tutto dipenderà dalla volontà politica di chi governa. Intanto sullo Yemen e sui suoi cittadini, continuano a piovere bombe.
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