La Cop28 è finita, ma bisogna essere consapevoli del fatto che il vero test risiede altrove. Dalla disinformazione al ruolo delle città, ciò che conta avviene lontano dai riflettori.
Carlo Carraro. Parigi è solo l’inizio della lotta al riscaldamento globale
È uno degli economisti italiani più importanti al mondo, nonché direttore dell’International centre for climate governance (Iccg). Per questo Carlo Carraro è uno degli autori scelti dall’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici che fa capo alle Nazioni Unite, per elaborare gli ormai celebri rapporti sul riscaldamento globale. Quelli che i politici dovrebbero seguire nell’adozione
È uno degli economisti italiani più importanti al mondo, nonché direttore dell’International centre for climate governance (Iccg). Per questo Carlo Carraro è uno degli autori scelti dall’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici che fa capo alle Nazioni Unite, per elaborare gli ormai celebri rapporti sul riscaldamento globale. Quelli che i politici dovrebbero seguire nell’adozione di misure concrete per la riduzione delle emissioni di CO2. Carraro ha una visione diversa su ciò che ci si deve aspettare da Parigi. Niente proclami che gridano al fallimento, niente “o dentro o fuori”, l’importante è che dalla Cop 21 esca un accordo il più esteso possibile.
Per molti, incluso il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, la conferenza sul clima di Parigi (Cop 21) è un appuntamento fondamentale dal quale non ci si può aspettare null’altro che un successo pieno. Lei è d’accordo?
A Parigi avremo una raccolta di impegni volontari da parte dei paesi che fanno parte dell’Unfccc che saranno insufficienti per arginare il problema dei cambiamenti climatici. Ma questo non deve essere considerato un fallimento perché il vero obiettivo della Cop 21 non è raggiungere un accordo profondo, ambizioso, ma un accordo molto ampio. In passato il numero di paesi che ha adottato politiche concrete per controllare il riscaldamento globale era limitato. Alcuni di questi si sono tirati persino indietro. Basti pensare agli Stati Uniti, al Canada o al Giappone che non hanno mai applicato il protocollo di Kyoto. A Parigi invece avremo una base molto più ampia grazie a questo nuovo approccio negoziale bottom up (ndr, dal basso verso l’alto). L’80-85 per cento delle emissioni globali di gas serra sarà sotto controllo. Ma la storia non finisce qui. Controllare le emissioni non significa ridurle, per questo non bisognerà lamentarsi se dalla conferenza di Parigi non uscirà un obiettivo di riduzione sufficiente. Io sarò soddisfatto se da Parigi uscisse un accordo ampio, con un sistema di governance che sarà poi in grado di applicare, correggere e migliorare gli obiettivi, per diventare sempre più ambiziosi.
Cosa bisogna aspettarsi dai paesi emergenti, come Cina e India, che oggi sono tra i maggiori responsabili delle emissioni di CO2 in atmosfera?
Se la Cina dovesse rispettare la promessa fatta di raggiungere il picco di emissioni entro il 2030 e se i paesi industrializzati mantenessero i loro obiettivi, saremmo sulla traiettoria giusta per limitare l’aumento della temperatura media globale entro i 2 gradi centigradi, come promesso nel 2009 alla conferenza di Copenaghen. La vera questione è cosa si farà dopo il 2030. Parigi non è lontana dal rispettare l’obiettivo dei 2 gradi, soprattutto se si guarda ai prossimi 15 anni.
I cambiamenti climatici son sempre apparsi come una questione puramente tecnica. Oggi, invece, molte personalità popolari si stanno spendendo in prima persona. Papa Francesco con la sua enciclica, Naomi Klein con il suo ultimo libro. Come influisce questa rinnovata passione sociale sui negoziati?
In realtà i negoziati dal punto di vista tecnico sono chiusi, quindi l’influenza che si può avere sulla Cop 21 è pressoché nulla. Ma la pressione della società civile può influenzare concretamente la partita del dopo Parigi. Una volta che i governi si saranno impegnati a ridurre le emissioni, bisogna essere sicuri che questi mantengano le promesse. La pressione sociale, etica e religiosa è dunque fondamentale nella fase successiva. Il pericolo più grande è che una volta spenti i riflettori su Parigi, il mondo si dimentichi velocemente delle promesse fatte. Parigi non è la fine, è solo l’inizio.
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