La fine dell’energia nucleare è scritta

La famosa rinascita del nucleare con i reattori di quarta generazione non ha preso corpo. Anzi, le imprese del settore sono sempre più in crisi

Le aziende del nucleare stanno soffrendo in tutto il mondo ad eccezione della Cina dove si procede a costruire reattori nucleari chiudendo gli occhi sulla sicurezza. La notizia dell’addio della multinazionale giapponese Toshiba alla costruzione di nuovi reattori è solo il più recente tra i tanti segnali delle difficoltà di un settore che si scontra con il problema della sicurezza, dello stoccaggio delle scorie e dei sempre più alti costi di costruzione e reperimento delle materie prime.

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Il nucleare è cresciuto del 5,7 per cento negli ultimi dieci anni.

La crescita a rilento del nucleare 

A livello mondiale, il settore dell’energia nucleare ha mostrato segni di stagnazione durante gli ultimi 20 anni. Secondo i dati dell’Associazione mondiale per il nucleare e dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, la capacità nucleare globale è cresciuta del 12,7 per cento negli ultimi 20 anni e del 5,7 per cento negli ultimi dieci anni. Ma queste cifre sono state giudicate fuorvianti in quanto includono nel calcolo anche l’apporto di reattori ora inattivi in Giappone, come ha sottolineato Steve Kidd ex dirigente dell’Associazione mondiale per il nucleare. Il “World Nuclear Industry Status Report”, pubblicato a luglio 2016,  riprova a fare il calcolo, esclude 34 reattori inattivi tra Giappone, Taiwan e Svezia. Dai suoi calcoli, la capacità nucleare attuale è cresciuta dell’1,7 per cento nel corso degli ultimi 20 anni ed è diminuita del 4,6 per cento negli ultimi dieci anni.

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L’andamento del numero di reattori nucleari presenti nel mondo e la loro capacità operativa. Fonte: World Nuclear Industry Status Report, 2016

La Cina, prima nel nucleare a scapito della sicurezza

La debole crescita della produzione di energia nucleare si deve al contributo di un solo paese, la Cina. Secondo il “World Nuclear Industry Status Report”, nel mondo, la produzione è aumentata dell’1,3 per cento grazie esclusivamente all’aumento del 31 per cento registrato in Cina. Dei dieci reattori avviati nel 2015, otto sono cinesi, tutti costruiti prima del disastro di Fukushima.

Il paese ha però anche un altro primato. Con 35 reattori attivabili, 22 in fase di costruzione e molti altri in cantiere, la Cina rimane l’unico paese che ha definito significativi piani di espansione del nucleare. Una crescita che contiene in sé un elemento sinistro: la paura che possa verificarsi un nuovo grave incidente nucleare. Un’opzione tanto più probabile a causa degli inadeguati standard di sicurezza richiesti dalla Cina, di una regolamentazione carente, della mancanza di trasparenza e di accordi di assicurazione e responsabilità peggiori del mondo. Egli Zuoxiu, uno dei principali scienziati cinesi, aveva già avvertito nel 2015: “Negli ultimi quattro anni ci sono state discussioni interne sul miglioramento degli standard, ma questo richiederebbe molti più investimenti che potrebbero pregiudicare la competitività e la redditività del nucleare. I costi energetici nucleari sono a buon mercato perché abbiamo abbassato i nostri standard”.

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L’andamento del numero di reattori nucleari presenti nell’Europa a 28 e la loro capacità operativa. Fonte: World Nuclear Industry Status Report, 2016

I giganti nucleari europei in crisi

A luglio 2016, operavano 127 reattori distribuiti su 28 paesi dell’Europa allargata, corrispondenti a circa un terzo del totale mondiale, sebbene dopo il picco massimo toccato di 177 unità toccato nel 1989 siano diminuiti di 16 unità a seguito dell’incidente di Fukushima. In generale il nucleare europeo non gode di buona salute tanto che, in Europa, giganti dell’energia come le francesi EDF ed Engie, le tedesche E.ON e RWE o la svedese Vattenfall, così come le utility TVO in Finlandia e CEZ in Repubblica Ceca, sono stati tutti declassati dalle agenzie di rating rispetto all’anno scorso. E tutte le utilities hanno registrato gravi perdite sul mercato azionario. La francese AREVA ha accumulato negli ultimi cinque anni 10 miliardi di euro di perdite. Standard & Poor ha declassato le sue azioni a BB+ a novembre 2014, scendendo poi BB- nel marzo 2015. La società è sull’orlo del baratro e l’utility statale EDF sta tentando di sostenerla, sebbene il piano di salvataggio non sia stato approvato dalla Commissione Europea.

I colossi del nucleare si trovano oggi a dover affrontare non pochi problemi, come si legge nel report “World Nuclear Industry Status Report. Molte delle utilities basate su programmi tradizionali legati al nucleare e ai combustibili fossili sono oggi alle prese con una drammatica caduta dei prezzi dell’energia all’ingrosso, la contrazione della base di clienti, il calo del consumo di energia, gli elevati carichi di debito, l’aumento dei costi di produzione di strutture datate e una forte concorrenza che arriva soprattutto dalle fonti rinnovabili. È evidente la necessità di ripensare a un modello energetico non più basato sui vecchi sistemi, ma che guarda sempre più alla generazione distribuita da fonti rinnovabili che ormai sono diventate economicamente competitive rispetto alle fonti fossili.

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Centrale nucleare di Bellefonte in Alabama, Stati Uniti.

La mancata rinascita del nucleare negli Usa

Anche negli Stati Uniti, la cosiddetta rinascita nucleare per i reattori full size sembra giungere al capolinea. Sebbene l’industria nucleare abbia segnato un paio di vittorie dello scorso anno, convincendo gli stati di New York e dell’Illinois a sborsare miliardi per mantenere alcuni vecchi reattori nucleari in funzione, il numero di reattori azionabili è diminuito negli anni recenti da 104 a 99. Un lento declino che continuerà molto probabilmente nei prossimi anni vista l’età dei reattori: 44 su 99 hanno 40 anni o più di attività sulle spalle.

Ed è notizia dei giorni scorsi che la multinazionale giapponese Toshiba, entrata nel mercato del nucleare nel 2005, dovrebbe dare l’addio alla costruzione di nuovi reattori, ritirandosi dal business dell’energia nucleare, affondata da miliardi di dollari di perdite e svalutazioni accumulate negli ultimi anni. Un passivo dovuto a ritardi e superamento dei costi relativi a progetti di costruzione di centrali nucleari realizzati proprio negli Stati Uniti e che potrebbe raggiungere i 9,1 miliardi di dollari americani.

Il nucleare di quarta generazione che non decolla

Qualche anno fa il nucleare sembrava pronto a vivere una nuova primavera grazie ai reattori di quarta generazione, sistemi completamente innovativi che promettevano di riutilizzare le scorie come nuovo carburante, risolvendo in un solo colpo il problema dell’approvvigionamento e del costo dell’uranio e quello dello smaltimento, conservazione e disattivazione dei detriti radioattivi. Ma è andata in modo diverso e oggi parlare di quarta generazione è come parlare di una fantasia tecnologica.

Intanto stiamo ancora cercando di gestire i problemi legati ai progetti di terza generazione. “Costosi ritardi, una crescente complessità e nuovi requisiti di sicurezza sulla scia dell’incidente di Fukushima stanno macchinando per contrastare una nuova era di costruzione del reattore nucleare” scrive Bloomberg. La cosiddetta “generazione di reattori III+” avrebbe dovuto avere una progettazione semplice e caratteristiche di sicurezza adatte a evitare il tipo di disastro visto in Giappone, quasi sei anni fa. Invece, i nuovi reattori in costruzione confliggono con le norme più severe e progettazioni poco pratiche, accumulano ritardi nella costruzione e sollevano dubbi sul fatto che le scoperte siano troppo complesse e costose da realizzare senza aiuti di Stato.

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