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Stare accanto a chi ha bisogno, è il vero obiettivo dei cooperanti allo sviluppo
L’impatto che la diffusione del nuovo coronavirus ha avuto sul nostro paese ha spinto l’ong Avsi a lanciare un progetto di cooperazione in Italia.
L’emergenza epidemiologica da Covid-19 ha cambiato, forse per sempre, le nostre vite. Forse ormai non ci chiediamo neanche più quando tornerà la normalità, perché questa è la nuova normalità. Con il ricordo delle vittime ancora nel cuore, abbiamo ricominciato a vivere. Perché la vita deve andare avanti, sempre. Come per le altre specie animali, anche dentro di noi è radicato l’istinto di sopravvivenza. Insieme alle nostre abitudini, alle nostre modalità d’incontrare gli altri, è mutato anche il nostro modo di lavorare. I settori che maggiormente hanno dovuto adattarsi alla nuova situazione sono probabilmente quelli che facevano del viaggio il proprio cardine. Come la cooperazione allo sviluppo. Che però, pur essendo profondamente cambiata, è rimasta perfettamente uguale. Perché l’obiettivo di chi opera in quel campo è solo uno: aiutare chi ha bisogno. Ovunque si trovi.
Ed è quello che ha fatto Avsi, organizzazione non profit nata nel 1972. A questo proposito abbiamo intervistato Annalisa Costanzo, institutional partnership & project design officer.
Com’è nata la tua passione per la cooperazione allo sviluppo e qual è il tuo ruolo in Avsi?
La mia passione è nata negli anni dell’università, dove ho studiato relazioni internazionali e pian piano ho deciso di approfondire il tema della cooperazione, soprattutto tramite Avsi, con cui mi capitava durante l’anno di svolgere attività di volontariato per la raccolta fondi.
Avsi è impegnata in 33 paesi nel mondo. Qual è stato l’impatto della pandemia sui vostri progetti?
Sicuramente l’emergenza ha riguardato tutti; chi prima, chi dopo. Abbiamo dovuto ricorrere a strategie alternative, perché pian piano i vari paesi cominciavano ad adottare misure restrittive, applicare forme di quarantena e lockdown. Però da nessuna parte ci siamo fermati: c’è stato da parte di tutti un notevole impegno per stare ancora più vicino alle persone già coinvolte nei progetti. Per questo sono state ripensate molte delle attività, per cercare di rispondere ai bisogni più immediati, chiaramente tenendo sempre in considerazione il rispetto e l’attenzione alla tutela della salute, sia dei colleghi che dei beneficiari. Alcuni paesi hanno iniziato a produrre mascherine, a sensibilizzare sull’importanza dell’igiene e sul mantenimento delle distanze, e quindi si è potuto andare avanti.
Recentemente Avsi ha scelto di intervenire in Italia con il progetto Accanto a chi ha bisogno: perché? In cosa consiste?
Davanti alla crisi che stava investendo innanzitutto il nostro paese, abbiamo deciso di impegnarci attivamente sul territorio, con progetti di aiuto pensati proprio per poter stare accanto a chi aveva bisogno qui. Il progetto si compone di diverse attività: prima di tutto il sostegno alle famiglie in termini economici e tramite la distribuzione di cibo, e poi un intervento a carattere psico-sociale per i bambini e le famiglie più vulnerabili attraverso visite domiciliari e la formazione di educatori, i quali a loro volta si sono dovuti riorganizzare nello svolgimento del loro lavoro introducendo forme di distanziamento. Allo stesso tempo stiamo rifornendo i ragazzi di telefonini, tablet e computer per portare avanti le attività educative, che riteniamo essere le più rilevanti per poter continuare ad avere una sorta di normalità. E per tanti, soprattutto quelli più svantaggiati, non avere gli strumenti adatti, banalmente non potersi collegare, è stato un elemento molto penalizzante. Anche adesso, con l’inizio della scuola, molti avranno una forma di apprendimento mista e noi ci stiamo adoperando per farli riprendere nel migliore dei modi.
Per Avsi la collaborazione è molto importante: come avete organizzato l’intervento in Italia?
In Italia stiamo lavorando con partner che già conoscevamo. A Milano per esempio, nella zona di Corvetto, stiamo collaborando con le suore di carità dell’Assunzione, che sono presenti su quel territorio da tanti anni e quindi molto radicate, veramente preziose nell’individuare il bisogno e implementare la risposta. In altre parti d’Italia operiamo attraverso le Caritas, i banchi di solidarietà, supportando anche le loro iniziative.
Quante famiglie pensate di aiutare?
Si stima di poter raggiungere circa tremila famiglie, anche qualcuna in più, e circa 400 tra bambini e ragazzi.
C’è una storia che ti ha colpito di più?
Direi la storia di Riccardo, che poi abbiamo raccontato anche sui social. È un ragazzo di Milano che già da tempo era seguito dalle suore, frequentava il centro diurno, e proprio quest’anno si è ritrovato a fare la maturità, in una condizione così speciale. Abbiamo avuto l’occasione di poterlo accompagnare il giorno dell’esame e vedere come lui fosse grato di tutto l’accompagnamento che ha ricevuto, di questa rete di rapporti: qualcosa che l’ha fatto fiorire al punto che adesso lui si impegna attivamente nell’aiutare i ragazzini che, come lui, hanno bisogno di intraprendere un percorso, di essere accompagnati. Questa secondo me è una storia positiva perché fa vedere come avere una rete, un supporto veramente cambi la persona, e quindi è proprio quello che cerchiamo di fare.
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