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Una rovere di quasi mille anni, cresciuta resistendo alle intemperie, è la testimone che servirà per capire come è cambiato e cambierà il clima nel bacino del Mediterraneo.
Un versante scosceso, esposto alle intemperie, ai forti venti, alla neve e al sole. Difficile da raggiungere se non a scalatori esperti. È qui che è cresciuta Demetra, la rovere più antica al mondo scoperta dai ricercatori nel parco nazionale dell’Aspromonte. “Gli alberi invecchiano molto più a lungo in ambienti difficili, dove mantengono una dimensione più ridotta”, racconta Gianluca Piovesan a LifeGate, docente dell’università degli studi della Tuscia e tra gli autori della scoperta. Ed è in questi ambienti che gli scienziati sono riusciti a datare l’età di cinque grandi roveri (Quercus petrea) utilizzando il metodo del radiocarbonio e rivelando una longevità sorprendente finora sconosciuta, che arriva fino ai (quasi) mille anni. Per l’esattezza 934 anni, senza contare l’incertezza della misurazione.
La scoperta, pubblicata sulla rivista scientifica Ecology e intitolata “Radiocarbon dating of Aspromonte sessile oaks reveals the oldest dated temperate flowering tree in the world”, (DOI: 10.1002/ecy.3179), aggiunge un altro importantissimo tassello alla conoscenza degli alberi secolari e delle foreste vetuste nel mondo. “Si tratta della latifoglia di clima temperato più antica al mondo”, continua Piovesan. “Durante alcuni campionamenti ci siamo accorti di un nucleo di foresta vetusta e di un gruppo di cinque roveri di cui già si conosceva l’età avanzata”. A quel punto i ricercatori hanno deciso di datare gli alberi utilizzando le analisi al radiocarbonio, arrivando al sorprendente risultato che le cinque roveri identificate hanno un’età compresa tra i 934 (±65) e i 570 (±45) anni. Le analisi di datazione al radiocarbonio sono state condotte grazie all’Ams (Accelerator mass spectrometry) presso il Cedad (Center for applied physics, dating and diagnostics) dell’università del Salento a Lecce.
“Gli alberi non muoiono come gli animali perché invecchiano dal punto di vista cellulare, ma perché attaccati da fattori esterni come insetti, fulmini o malattie fungine”, spiega Piovesan. “Crescendo in questi ambienti così estremi, riescono a mantenere integra la propria struttura e crescere per secoli e secoli”. Ma ciò comporta anche delle difficoltà nelle ricerche perché alberi molto vecchi risultano spesso cavi nella parte interna del fusto. E questo significa che gli anelli più antichi sono spesso mancanti o gravemente degradati, rendendo molto difficile l’identificazione e la raccolta degli anelli più vicini al midollo per la datazione con il metodo del radiocarbonio, tanto da aver obbligato i ricercatori ad utilizzare un bisturi per prelevare i campioni più vicini al midollo, e quindi più antichi.
Ma la scoperta rientra in uno studio molto più ampio condotto dai ricercatori della Tuscia in collaborazione con i colleghi spagnoli, per studiare la risposta delle foreste in ambiente mediterraneo ai cambiamenti climatici. L’Aspromonte infatti si trova al centro del bacino del Mediterraneo un’area fondamentale per le ricostruzioni climatiche. Questi alberi “ci possono dire come è cambiato il clima nel centro del Mediterraneo, che è un hotspot di biodiversità ma anche uno dei punti dove il cambiamento climatico sta avvanendo più rapidamente”. Misurando non solo l’ampiezza degli anelli, ma studiando anche la presenza di alcuni isotopi del carbonio, dell’ossigeno e dell’idrogeno ci possono raccontare com’è cambiato l’ambiente nei secoli.
“La scoperta di queste longeve roveri nell’ambiente montano d’alta quota dell’Aspromonte conferma l’elevato livello di naturalità degli ecosistemi forestali nelle aree protette dell’Appennino meridionale”, afferma in una nota Antonino Siclari del parco nazionale dell’Aspromonte. Un valore ecologico enorme, un’altra conferma che il Sud d’Italia è un’area di rifugio della biodiversità, come conferma Piovesan: “Dal Pollino, passando per la Sila, fino all’Aspromonte persiste una biodiversità unica. E sembra che questi ecosistemi abbiano una capacità rilevante di rispondere ai cambiamenti climatici, perché qui non c’è deperimento o morte degli alberi, ma una risposta positiva. Per questo stiamo cercando di capirne il motivo”.
Gli alberi più antichi si trovano tutti qui, al Sud. Non solo Demetra con le altri quattro roveri, ma i due faggi di 620 anni scoperti due anni fa nel parco nazionale del Pollino e soprannominati Michele e Norman, si aggiungono alla lista di alberi scientificamente datati più antichi d’Europa insieme al pino loricato soprannominato Italus. Ragione in più per puntare sulla conservazione di questi ambienti unici, testimoni relitti del passato. Capaci di resistere a ciò che l’uomo non può controllare, il tempo.
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