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Alberi monumentali di 400 anni d’età, con tronchi fino a 2 metri di diametro, si ergono quasi a proteggere queste terre, tra le più selvagge d’Italia.
Dall’alto della Sila, svettano da secoli come guardiani delle terre calabre, remote ed antiche. Sono i giganti di Fallistro, conosciuti anche come i “giganti della Sila”: almeno 50 esemplari di pino nero calabro (Pinus nigra calabrica), veri e propri alberi monumentali testimoni di tempi andati, di imperi, di guerre e conquiste.
Entrando nel Bosco di Fallistro, gestito dal Fai (Fondo ambiente italiano) in collaborazione col Parco Nazionale della Sila, e visitabile da maggio a ottobre, ci si immerge subito in un’atmosfera suggestiva, dove lo sguardo si perde a mirare le cime dei pini neri calabri, alte 40 metri e che misurano fino a 2 metri di diametro. “Ci troviamo all’interno di una riserva biogenetica, una delle zone più protette della Sila”, spiega la guida Maria Sprovieri. “Qui rimane quella che era l’antica foresta silana, rimasta relativamente intatta fino alla fine della Seconda Guerra mondiale”. Verso gli anni ’40 del secolo scorso inglesi e americani infatti disboscarono gran parte del territorio come bottino di guerra.
Oggi il bosco ricopre poco più di 6 ettari di superficie e racchiude nei suoi confini esemplari di quasi 400 anni. Veri e propri monumenti naturali di eccezionale bellezza, che hanno visto passare tutta la storia d’Italia degli ultimi secoli. Oggi l’altipiano della Sila è il più grande d’Europa, con i suoi 150mila ettari di estensione, ed è uno tra i più ricchi di aree naturali sotto protezione, grazie alla Rete Natura 2000: il 40 per cento di questa Regione è infatti sotto tutela.
Ma il bosco ha una storia antica come antichi sono gli usi che ne fecero gli uomini, già prima dei Romani. “Il pino nero veniva usato sia per la pece, sia per il legname, estremamente duttile e flessibile. Perfetto per la costruzione delle navi, in quanto si potevano ricavare assi lunghe e che al contatto con l’acqua risultavano assai resistenti”, racconta Sprovieri mentre ci guida all’interno della Riserva.
Curiosa la simbiosi con alcuni licheni, che crescono sulla parte del tronco più umida e protetta dal sole: nel tempo staccano i rami più vecchi e inutili all’albero, così da fornire loro una forma tipica. I rami più grandi e resistenti puntano tutti verso una stessa direzione. Delle fronde che paiono guardare in un punto ben preciso, a noi inaccessibile.
Passeggiando tra i sentieri capita anche di poter osservare un particolare endemismo di questa regione, ovvero lo scoiattolo nero meridionale (Sciurus meridionalis) elevato da poco dai ricercatori a rango di specie. Un curioso incontro che conferma l’elevata naturalità di questo luogo.
Il bosco è così protetto che non c’è alcun intervento umano, tanto che si possono ammirare vecchi esemplari morti, divenuti residenze di lusso per le diverse specie di picchi che qui hanno trovato dimora. O sradicati in seguito ad eventi meteorologici estremi, come le abbondanti nevicate. “Particolare fu quella del 1981, quando caddero 4 metri di neve”, ricorda la guida. Ma dai tronchi ormai in decomposizione, affondano letteralmente le radici nuovi individui, che una volta trovato il giusto appiglio, potranno crescere rigogliosi per i secoli a venire.
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