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Le uova: sono buone, fanno bene alla salute. Ma attenzione molto dipende da ci
Mentre in Germania cresce l’allarme per il pollame biologico
avvelenato dal Nitrofen, un pesticida anticrittogamico vietato da
tempo perché sospettato di provocare il cancro, vediamo come
può orientarsi il consumatore di casa nostra nella scelta
delle uova.
La loro commercializzazione è regolata da innumerevoli
norme, sia italiane che europee. Tanto per cominciare si trovano in
vendita sfuse o confezionate. Le sfuse possono essere comprate
direttamente dal produttore (nell’allevamento, al banco del
mercato), ma contrariamente alle confezionate non sono accompagnate
da alcuna indicazione di categoria di qualità e di peso. Chi
le acquista non può fare altro che fidarsi di quanto
dichiara il venditore.
Sulle confezionate, invece, ci sono diverse indicazioni. E’
d’obbligo quella della freschezza: “extra” (o extra fresche) e “A”
(fresche). “Extra” sta per uovo che non ha più di 7 giorni
dall’imballo. La data di imballo non corrisponde a quella di
deposizione dell’uovo da parte della gallina, che avviene in genere
due giorni prima.
Gli allevamenti di grandi dimensioni inseriscono anche la data di
deposizione.
Dall’ottavo giorno e sino al ventunesimo giorno dall’imballo le
uova diventano di categoria “A” e dovrebbe essere rimossa la
fascetta extra; in alternativa l’etichetta dovrebbe riportare la
dicitura “extra sino al…”.
Trascorso il 21° giorno le uova non sono più adatte al
consumo diretto e dovrebbero essere avviate all’uso industriale.
Fra le categorie di peso – è tassativo indicarle – le
differenze sono solo di grandezza: la sigla “XL” sta per uova
grandissime, la “L” grandi, “M” medie e “S” piccole.
A partire dal 2004 si dovrà fare riferimento al sistema di
allevamento delle galline, oggi facoltativo: “uova di galline
allevate in voliera”, “uova di galllina allevate a terra”.
Le diciture che offrono più garanzie? “Uova di allevamento
all’aperto-sistema estensivo e “uova di allevamento all’aperto”. Di
qualità superiore le uova ottenute con metodo biologico:
galline non allevate in gabbia, semmai in capannoni con
possiblità di accedere a parchetti all’aperto, divieto di
antibiotici, libertà di movimento, mangimi da agricoltura
biologica.
Massimo Ilari
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