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La sperimentazione per rendere più sostenibili e riciclabili le batterie delle auto elettriche continua. Ne parliamo in questo capitolo.
L’auto elettrica consente di abbattere i livelli di inquinamento mentre è in movimento. A questa verità ormai (quasi) assodata, molti detrattori dei veicoli alla spina rispondono che i loro componenti sono tutt’altro che ecologici. A partire da quello principale, la batteria, che sarebbe inquinante da produrre e sostanzialmente impossibile da riciclare totalmente. Il dibattito, vivo già da alcuni anni, “si accende soprattutto quando si discute dell’impatto ambientale delle batterie al litio, minerale ormai preziosissimo la cui estrazione è diventato un business miliardario esposto a molti potenziali abusi”. Roberto Sposini, direttore responsabile di LifeGate, è uno dei massimi esperti in Italia sul tema; coordinatore e moderatore di academy, talk, webinar ed eventi tematici presso enti, istituzioni e imprese, è stato direttore di importanti pubblicazioni nazionali ed è l’autore del libro “Neomateriali nell’economia circolare. Automotive”.
Con riferimento al litio, ci spiega, “le attività estrattive sono costose, inquinanti e spesso attuate nel Sud globale, dove le condizioni di vita e di lavoro dei minatori sono ancora molto difficili e poco tutelate. Tutto vero”. Ma spesso si omette di evidenziare un particolare tutt’altro che irrilevante: “Negli ultimi anni le batterie hanno subito un’evoluzione significativa sia dal punto di vista tecnologico che dei materiali utilizzati”.
Ioni di litio, stato solido, iodio, magnesio. Quando si parla di tecnologie applicate alla produzione delle batterie è importante fare chiarezza in un contesto in continua evoluzione. Di certo le batterie agli ioni di litio hanno già una valida alternativa nelle batterie allo stato solido. Quali sono le differenze? “Semplificando – risponde Sposini – potremmo dire che, mentre nel primo caso si utilizza un elettrolita liquido per trasportare gli ioni tra anodo e catodo, nelle batterie allo stato solido si impiega un elettrolita solido, che offre maggiore sicurezza e densità energetica. Non solo. Le batterie allo stato solido riducono il rischio di incendi e migliorano la stabilità termica”.
In ogni caso l’industria dell’automotive sta esplorando anche altre direzioni, come le batterie al sodio e quelle al magnesio: “Nel primo caso il vantaggio è economico mentre il limite per ora è rappresentato dalla bassa densità energetica, più adatta alle applicazioni di accumulo statico che all’auto; nel caso delle batterie al magnesio, invece, la densità energetica è maggiore rispetto alle batterie al litio con numerosi vantaggi”. In estrema sintesi, immagazzinare più energia in un volume minore vuol dire auto elettriche più leggere, con più autonomia e più veloci da ricaricare. Un’altra possibile soluzione è rappresentata dalle batterie litio-aria, composte da un elettrodo negativo metallico e un elettrodo positivo che utilizza come materiale attivo l’ossigeno presente nell’atmosfera. In ogni caso “l’obiettivo a breve termine resta quello ridurre il costo delle batterie almeno del 20 per cento”. Il tutto in attesa di un nuovo, potenziale arrivo: quello della batteria atomica sviluppata da un’azienda cinese; basata sull’energia nucleare e capace di alimentare un dispositivo per quasi 50 anni, costruita con un isotopo di nichel-63 e un materiale semiconduttore di diamante, per il momento è destinata a settori come l’aerospaziale, l’intelligenza artificiale e i droni, ma non è detto che in futuro non possa alimentare anche un’auto elettrica.
Ma torniamo allo stato attuale delle cose. Se parliamo delle batterie agli ioni di litio, i materiali più utilizzati per produrli sono litio, cobalto, nichel, manganese e grafite. “Ognuno di questi elementi – sottolinea Sposini – ha un ruolo fondamentale: il litio per l’elettrolita e il catodo, il cobalto, il nichel e il manganese nel catodo per migliorare la capacità e la stabilità. Poi c’è la grafite, comunemente impiegata per l’anodo”. In questo quadro l’industria “sta concentrando la ricerca su alternative meno costose e più reperibili, come le ‘combinazioni’ fosfato di ferro e litio (LFP) e nichel-manganese-cobalto (NMC). In particolare, i progressi maggiori si stanno registrando nello sviluppo delle batterie al litio-ferro-fosfato”. Questo perché hanno un funzionamento analogo a quelle agli ioni di litio, ossia sono dotate di anodo e catodo, di separatore e di elettrolita e per funzionare sfruttano il passaggio di ioni di litio tra i due elettrodi nei vari cicli di carica e scarica. Ma “quello che cambia sono i materiali utilizzati per le varie componenti, meno costosi e più facili da reperire. Una chimica inedita, dunque, che potrebbe vedere le prime applicazioni nell’industria automotive già dal 2026, inizialmente a fianco alle batterie tradizionali con chimica nichel-cobalto-manganese”.
Un po’ di dati…
Resta il tema che alcuni di questi materiali sono concentrati in pochi Paesi del mondo. Il che rende fondamentale – in ottica futura – il tema dell’approvvigionamento. Sposini spiega che in questo caso “la questione è soprattutto di natura politica. Anzi, geopolitica. Allo stato attuale la Cina controlla oltre il 60 per cento delle estrazioni di terre rare e oltre l’80 per cento dei loro processi lavorativi”. Dati che spiegano al meglio come ad oggi l’approvvigionamento di materiali critici, a partire dal litio e dal cobalto, sia un tema cruciale per il futuro delle batterie. La concentrazione di queste risorse in pochi Paesi – oltre alla Cina ci sono il Cile, l’Australia e la Repubblica Democratica del Congo – pone “serie questioni legate a rischi geopolitici, oltre che sulla sostenibilità dei vari processi coinvolti”.
E le cose non sono destinate a migliorare in tempi brevi: secondo l’International energy agency, la domanda di litio potrebbe aumentare di 40 volte entro il 2040. La soluzione? Per Sposini è “diversificare le fonti di approvvigionamento e l’investimento in tecnologie di riciclo. Per questo, per le questioni ambientali, per i rischi legati a possibili blocchi commerciali tra superpotenze, è facile capire perché sia diventato sempre più importante riciclare e riutilizzare le risorse impiegate nelle batterie”.
Il tema del riciclo è da affrontare nell’immediato ma soprattutto in prospettiva futura. Secondo Sposini “quando si parla di auto elettrica il dibattito si concentra spesso sulla questione legata alla quantità di metalli (i cosiddetti raw materials) che compongono le batterie e sul fatto che la stessa sia sufficiente o meno a coprire la crescente domanda”. Meno spesso, in effetti, ci si chiede cosa accada dopo a quei materiali, una volta terminata la loro “prima vita”. Ma la verità è che “nel giro di pochi anni il mondo dell’automotive è radicalmente cambiato. Sembra scomparsa ogni titubanza rispetto alle svolte tecnologiche che permetteranno al settore di portare a compimento il proprio percorso di transizione ecologica”. Ormai il riciclo o il recupero di componenti e materiali non riguarda solo le batterie ma anche gli pneumatici, gli oli minerali e tante altre componenti: “Oggi il trend di trasformazione green investe ogni aspetto di questo settore fondamentale dell’economia mondiale, mentre la ricerca viene orientata anche dalla spinta di politiche sempre più ambiziose”.
Se “elettrico” è ormai la parola chiave quando si parla di innovazione, mutano anche i modelli di business e l’attenzione alla circolarità dei processi produttivi. Si reinventano strategie che sembravano immutabili, si ridisegnano gli spazi e gli impatti della mobilità, fino allo stesso rapporto tra uomo e veicolo in un ambito che più di altri sta mettendo a frutto i progressi dei sistemi di intelligenza artificiale. La trasformazione in atto è davvero complessa e non da tutti compresa appieno. Nello specifico, per le batterie, “la tendenza piuttosto che riciclare l’intero componente catodico che con il tempo si degrada, va progressivamente verso processi di upcycling che recuperano i metalli rimettendoli in circolo nella supply chain.
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